venerdì 24 maggio 2013

Riccardo Savinelli - Metti una sera


1.

Il silenzio dura ormai da un paio di secondi. Quello a dire il vero è il momento più bello, quando l’aria vibra ancora dell’amplesso in cui corpo e anima si sono fatti una cosa sola.
Infine, sento il primo timidamente, poi, dietro, tutti gli altri. Un boato mi sorprende alle spalle. Mi riprendo dal mio stato di trance. Do la mano al primo violino e faccio alzare l’orchestra. Mi giro.
Alla vista del pubblico un fremito risale la spina dorsale e si dirige fulmineo ai polsi: un auditorium incantato e in piedi esplode in un fragoroso applauso.
-          Bene, sono piaciuto.
Da lì in poi è il solito balletto. Applausi, esco e rientro, faccio alzare l’orchestra, ancora applausi. Questo, due o tre volte, come ad ogni concerto, in fondo.
Mi chiamano una volta in più. L’orchestra batte i piedi a tempo in segno di stima.
-          In effetti questa sera sono stato proprio bravo, solo quella piccola sbavatura all’inizio del secondo movimento, ma dubito che qualcuno se ne sia accorto. Anche l’oboe è entrato senza il mio attacco come se nulla fosse successo.
Esco sorridente dalle quinte e percorro il palco con una camminata grintosa, sferzante. Concedo sorrisi e grandi inchini.
-          Questo pubblico mi ama, si merita la mia mossa speciale.
Sposto un poco il peso del corpo sul piede destro, inclino il capo, muovo leggermente la testa e insieme porto la mano al petto in segno di riconoscenza e timidezza.
Applaudono più forte.
-          Bene, ha funzionato Ora fai un bell’inchino. Tirati su di scatto, alzati sulla punta dei piedi, così. Gran finale, saluta con la mano. Bene, da un lato della sala, dall’altro. Infine in centro. Così.
Temporeggio, ma giusto un poco, faccio un ultimo inchino prima di uscire. Nell’auditorium sono tutti in piedi ad omaggiarmi, tranne uno.


2.

La luce filtra pesante tra le persiane. Mi alzo a mattinata inoltrata e come di consueto trovo in soggiorno la colazione preparata e tutti i giornali freschi di giornata.
Mi metto avidamente a scorrere tutte le pagine dei quotidiani. Scovo tre articoli che parlano del concerto di ieri sera. Un successo unanime di critica e di pubblico. Accenno un sorriso.
Butto i giornali su una sedia. Azzanno un cornetto alla crema e lo finisco in due bocconi. Il resto lo lascio sul tavolo.
Mentre sto per andare a farmi una doccia suona l’Eroica di Beethoven. È il cellulare, il mio agente per la precisione.
-          Signor agente buongiorno.
-          Maestro buongiorno! Letto i giornali? Successo incredibile.
-          No, non ancora. Sai che non amo leggerli. Per me importa la musica e il mio pubblico.
-          Sono tutti entusiasti. La critica non è mai stata così favorevolmente schierata.
-          Sarà, in fondo anche loro devono lavorare.
-          Maestro, oggi dovremmo fare quell’intervista.
-          No senti, chiama e dì che non sto bene. Oggi per me è riposo. In fondo dopo il successo di ieri me lo merito. Ciao.
Metto giù prima che il mio agente mi convinca. Vado a fare una doccia. Acqua bollente, ripenso con gusto alla sera prima. Ripercorro tutto il concerto e in particolare la parte finale. L’ultimo accordo, l’orchestra, e il pubblico in visibilio. Un successo unanime di critica e pubblico. Poi, una smorfia si impossessa del mio volto: mi ritorna in mente quell’unica persona che non si è alzata ad applaudire insieme agli altri.
Mi concentro per ricordare se fosse un volto noto, un collega o un critico. Ma nulla: nonostante lo sforzo non riesco a visualizzare la faccia.
-          Chissà perché non applaudiva. Possibile che non gli sia piaciuto il concerto? Impossibile: tutta la sala era in piedi ad acclamarmi. E poi devo ammettere che è stato proprio un bel concerto. Eppure era lì inerme. Mani sui braccioli. Mi fissava, fermo, muto. Sarà un matto. Ma sì, sicuramente uno un po’ toccato che va ai concerti e non si rende conto di dove si trova.
E se… si è accorto del mio errore?
Improvvisamente l’acqua si interrompe. Come un singhiozzo la doccia risucchia un po’ d’aria e poi sputa un getto gelido e imbizzarrito.
-          Ma che diavolo!


3.

La sera seguente fila tutto liscio – il concerto era previsto in replica il giorno seguente e quello dopo ancora: dopo il pomeriggio di relax affronto il concerto con facilità, se si supera bene la prima, le repliche sono sempre in discesa. Di nuovo grande esecuzione, pubblico in piedi ad omaggiare il mio trionfo. Ringraziamenti, trucchetto strappa applausi, ovazione. Mi decido per l’ultimo inchino quando casualmente mi cade l’occhio in platea. Un brivido risale la schiena, ma questa volta non è l’effetto del successo: in seconda fila, come la sera precedente, rivedo la stessa persona. Stesso atteggiamento, stessa inesorabile astinenza dall’applaudire.
Mi tremano le mani, la vista mi si offusca. Mi volto senza più considerare il pubblico e mi dirigo verso le quinte. Inutili i ripetuti applausi: ormai sono diretto ai camerini.
-          Ma tu guarda che roba. Come si permette questo di ripresentarsi e non applaudire, ancora. A me. Non può non essergli piaciuto il concerto.
Mi si affanna il respiro. Ripercorro velocemente tutta la sinfonia.
-          No, non ho fatto errori. Questa sera sono stato impeccabile, nessuna incertezza, nessuna sbavatura. La gente è proprio strana.
Guadagno i camerini di mal umore. A braccia aperte mi accoglie il mio agente che quasi non considero.
-          Io vorrei sapere chi è quello della seconda fila.
-          Chi?
-          Uno del pubblico, questa sera.
-          Ma perché, l’ha disturbata con le solite caramelline rumorose?
-          Peggio! Non mi ha applaudito.
-          Fa parte del pubblico, può succedere.
-          No che non può succedere. Quello c’era anche ieri. Stesso posto, stessa faccia. Anche ieri non ha applaudito. Ma come si permette? Faccio sold-out tutti e tre i concerti. La critica mi elogia, il pubblico mi osanna e quello non applaude?
-          Io non sarei così tragico.
-          Senti, tu devi scoprire chi è. Devo saperlo. È un critico? Un collega? Ma sì, sarà sicuramente un direttore invidioso del mio successo. Se è uno di quei musicanti da strapazzo non voglio vederlo ai miei concerti, capito? Mai più.


4.

Questa mattina mi sono svegliato con un forte mal di testa. Sono seduto davanti alla tavola imbandita ma non ho voglia di mangiare. Mi massaggio le tempie in cerca di qualche sollievo.
I giornali sono sulla sedia. Non ho voglia di leggerli. A che cosa serve? Giornalisti tanto prodighi di complimenti sono pronti in un attimo ad attaccarti con le critiche più feroci. Basta uno sbaglio, una serata meno in forma e subito si precipitano a scommettere sulla fine di una carriera. Quasi aspettano il momento in cui tu compia un passo falso, basta anche il minimo errore.
Eppure il pubblico era in visibilio. Tutti in sala mi hanno acclamato. Tutti tranne uno. Non faccio altro che pensare al tizio della seconda fila. La notte è stata interrotta e tormentata da incubi. Ho sognato di essere davanti all’orchestra, pronto a dare l’avvio alla sinfonia. In sala un silenzio quasi spettrale. Il primo violino dà un accenno di consenso. Alzo le mani, sguardo fisso sulla punta della bacchetta. Prendo un respiro profondo, preparo il gesto per un attacco deciso, sfrontato, virile ed energico come questa musica richiede. Sono pronto. Do il via e… l’orchestra non suona. Guardo il primo oboe, e poi il primo violino. Mi sento svenire, ma ci riprovo. Probabilmente non sono stato sufficientemente chiaro. Mi concentro, porto di nuovo le mani in posizione, sguardo alla bacchetta e via. Nulla. L’orchestra non suona. Io non so cosa fare. Sono in preda al panico. Dalla sala si sentono i primi rumori, poi qualche commento. Qualcuno comincia a ridere. Una risata acuta e contagiosa. Nel giro di pochi istanti tutto il pubblico si contorce in un enorme spasmo di ilarità generale. Ora, una risata volgare e grassa. Io mi giro e intimo di stare zitti, di non permettersi, ma quelli ridono ancora di più. In preda all’angoscia decido di andarmene ma qualcosa mi blocca, non riesco a scendere dalla pedana. Ho una coda del frac impigliata in un angolo. Cerco di liberare la presa con uno strattone. La giacca si scuce fino ai pantaloni. Il pubblico ride ancora più forte. Io mi metto ad urlare e piango. Piango e cerco di zittirli ma nessuno mi sente perché sono sovrastato dalle risate. Mi sveglio di soprassalto, l’Eroica mi avvisa della chiamata del mio agente. Non rispondo.

Cerco di mandar giù qualcosa per colazione ma non ci riesco. Continuo a pensare al tizio della seconda fila. Non mi capacito di come possa una persona arrivare a seguire due concerti di fila e non applaudire ad entrambi. Tutto il successo, tutto il favore del pubblico vanificati da una sola persona.
-          Una carriera intera messa in discussione dal gesto di uno solo!
Mi massaggio ancora le tempie e penso che forse sto esagerando. Il pubblico è con me. L’orchestra mi stima e mi rispetta. Non ho nulla da temere. Questa sera ultimo concerto. Darò il meglio, come sempre. E poi al diavolo tutta questa storia. Mi prenderò qualche giorno di vacanza e di questa faccenda non rimarrà più nulla.


5.

Sono nel camerino. L’orchestra è già sul palco. L’oboe offre un la che accorda tutti.
Sono agitato. Ho paura che qualcosa vada storto. Ho paura di sbagliare e di avere quei due occhi fissi che mi osservano e mi giudicano in ogni mia mossa.
-          Forse sto perdendo il mio smalto? Ridicolo. Ora vado là fuori e dirigo come so fare. Come sempre. Perché io sono il migliore.
Poco prima di entrare mi raggiunge il mio agente. Mi dice che la sala è strapiena. Non un posto libero. Si è informato sul tizio della seconda fila. È presente anche questa sera.
-          Non lo voglio quello.
-          Ha pagato il biglietto, non posso vietargli di assistere al concerto.
-          Ridagli i soldi, dagli il doppio. Inventati qualcosa.
Si allontana sconfitto e preoccupato di risolvere la faccenda.
Io apro la partitura. Cerco di concentrarmi. Devo stare attento al primo intervento dei fiati. Ieri quasi andavano fuori tempo. Ripenso ai gesti da compiere. Sono pronto. Respiro profondamente. Mi avvio.


Entro a camminata sicura. Il cuore mi rimbalza a casaccio nel petto. Faccio un rapido inchino di circostanza. Non voglio guardare in platea. La mano destra è attaccata alla gamba. Stringo forte la bacchetta. Quasi mi fa male. Ho lo sguardo fisso sulle punte delle mie scarpe lucide. Sono nervoso. Mi rialzo di scatto, mi giro e senza preavviso do l’attacco all’orchestra.
Penso che forse li prenderò di sorpresa, e invece ne esce un accordo iniziale dirompente che mi fa trasalire.
Sono teso, sento i movimenti rigidi. Accompagno la musica con furia, ma mi controllo.
-          Ora i violini, bene. Ora il tema dei violoncelli. Chissà se il tizio della seconda fila è riuscito ad entrare. Ora gli faccio vedere. Ecco il tema dei fiati, allargo il gesto. Piego l’orchestra e la costringo a seguirmi. Rallentando, ecco ancora un poco… Bene, così.
Che maestria. Beccati questa, e vediamo se non applaudi anche sta sera. Già vedo domani le critiche sublimi su questo passaggio. Ora via verso la parte centrale.
Il resto del concerto è un soffio. Senza esitare raggiungo la conclusione. Ultimo accordo, silenzio. La parte che preferisco.
Poi è un boato. Mi riprendo e mi ritrovo con le mani ancora in posizione leggermente alzate. Sono madido di sudore, più del solito. L’orchestra è entusiasta. Batte i piedi già da ora. Un rumore assordante di mani e piedi mi sovrasta.
Sto fermo impalato, con uno sguardo assente che pare inebetito. Riesco a farmi forza e faccio alzare l’orchestra. Finalmente mi giro.
Il pubblico è in delirio. Batte le mani, si lascia andare a fischi e manifestazioni non proprio consoni ad un concerto classico.
Infine dirigo lo sguardo esitante verso la platea. In seconda fila, proprio vicino al corridoio, spunta il rosso acceso di una poltrona vuota. Il tizio della seconda fila non c’è. Sorrido beffardo.
-          E bravo il mio agente. Ben fatto.
Tiro un sospiro di sollievo. Posso finalmente concedermi al mio pubblico.
Ringraziamenti, sorrisi, trucchetto strappa applausi. Il pubblico mi osanna. Mi gongolo e penso ai giornali di domani e al consenso unanime di critica e di pubblico. Ultimo inchino prima di uscire. Poi una smorfia si impossessa del mio volto. Sguardo alla sala: in effetti nell’auditorium sono tutti in piedi ad omaggiarmi, tranne uno.

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