venerdì 31 maggio 2013

Melania David - Il monaco nero

Lesse l'intero racconto tenendo il fiato sospeso. Adorava leggere, anzi divorare, quel genere di racconti con grande avidità. Parola per parola ne assaporava sillabe e immagini, dava libero sfogo alla propria immaginazione, ai propri fantasmi. Forse c'era qualcosa di morboso nella sua passione per i racconti del mistero. La sua libreria traboccava di romanzi di Maupassaunt, Hoffmann, Poe e molti altri. Quella notte aveva appena terminato di leggere Berenice. E aveva ancora i brividi. Guardato l'orologio ripose il libro sul comodino, spense la luce e si addormentò.

Sognò di essere ancora in Inghilterra, dove era andata in vacanza due anni prima. Sognò la pioggia umida bagnarle i capelli e la nebbia offuscarle la vista. Camminava per una strada deserta e silenziosa. Era da sola ma aveva l' impressione che qualcuno la stesse osservando. Spiando. Accelerò il passo ma le sue gambe erano affaticate, la pesantezza tipica dei sogni la avvolgeva, come quando si vorrebbe gridare, ma la voce rimane strozzata in gola. Apparve una vecchia chiesa, prese la decisione di entrare nonostante l'aspetto poco rassicurante. Tipico dei sogni. O degli incubi . Lungo il perimetro della navata centrale erano disposte sei tavole, tre per lato, ognuna delle quali coperta da un candido lenzuolo. L'aria era stagnante e pervasa da un pungente odore d'incenso. Pensò che qualcuno la stesse aspettando. Pensò che quel macabro scenario fosse stato preparato per lei sola. A un tratto da sotto le lenzuola presero corpo delle figure solide, probabilmente umane. Vide le lenzuola chiazzarsi di rosso. Di sangue. Adesso sei corpi distesi erano coperti da lenzuola madide di sangue ma non era possibile vederne i lineamenti, costatare se fossero vivi o morti.
Di fronte l'altare vi era un'altra tavola. L'unica vuota. Ebbe l' impulso inspiegabile di sdraiarvisi sopra. Cache era per lei. Si ricoprì con il lenzuolo e attese al buio. Dalla candida trama intravide la sagoma oscura di un monaco che, uno per uno, scopriva i sei corpi. Avrebbe voluto alzarsi per vedere di chi fossero, ma sentiva che solo restando coperta era al sicuro. La sua momentanea quiete fu interrotta da una gelida dolorosa morsa che le afferrò il polso. Il monaco indossava un guanto ricoperto di spilli. Sentì che si conficcavano nella carne. I suoi sensi erano congelati così come i suoi pensieri, provava un dolore acuto e non riusciva a divincolarsi. Si svegliò.

Aveva sete e non ricordava il sogno. Aveva sete. Si alzò per prendere dell'acqua. I suoi piedi scalzi scivolarono su qualcosa di viscido e caldo. Sangue. Inizialmente non capì che quel sangue fosse suo.
Proveniva dalla sua bocca. Sgorgava caldo, scendeva sul mento e sul collo, colava per le braccia fino al pavimento. Fece per correre in bagno a vomitare ma il passaggio era ostruito da una sagoma nera. Il monaco del sogno. Anche lui aveva del sangue sul volto, ma era secco. Aveva gli occhi infossati, la pelle diafana e le sorrideva. Con i suoi denti.

Si svegliò. Aveva avuto un sogno nel sogno. Due incubi al prezzo di uno, pensò. Si tastò la bocca, i denti c'erano tutti. Aveva sete ma non si mosse, era troppo stanca e impaurita. Berenice, penprima di addormentarsi di nuovo.

La mattina dopo si svegliò di buon umore. Aveva dimenticato l' incubo notturno, solo una sensazione di lieve fastidio s'impossessava di lei ogni tanto, ma non dava alcun peso alla cosa. l sogni si dimenticano durante il giorno, si abbandonano come insistenti logore amanti, la luce del sole scaccia demoni e fantasmi della mente. Quando calano le tenebre, questi riaffiorano dall' inconscio. Maledettamente reali. Andò in ufficio, dove l'aspettava una riunione col suo capo e altri disegnatori. Illustrava favole per bambini. Una disegnatrice di fate e folletti con la passione per la letteratura dell 'orrore. Potrebbe apparire strano ma non è forse durante l'infanzia che abbiamo più paura dei mostri?

Quella notte andò a dormire presto. Sognò ancora una volta il monaco nero. Lo sognò per altre quattro notti. Non riposava bene, aveva paura, era pallida e i suoi occhi erano cerchiati di nero. La quinta notte chiese a un'amica di restare a dormire da lei. Forse così si sarebbe sentita più sicura. Effettivamente riuscì a prendere sonno con facilità. Fece tuttavia lo stesso sogno. Eppure stavolta c'era qualcosa di diverso.
Meccanicamente si muoveva per raggiungere la tavola di fronte l'altare, dove si rintanava prima di essere puntualmente afferrata dagli artigli. del monaco. La trovò già occupata, un settimo corpo più minuto degli altri era adagiato e coperto da un lenzuolo bianco. Vide il lenzuolo macchiarsi in prossimità di quello che avrebbe dovuto essere il viso. Pensò che forse stavolta si stesse guardando da fuori, sicuramente sotto quel lenzuolo c'era lei. Tremante scostò il lenzuolo, immaginando che avrebbe trovato il suo volto orrendamente sfigurato. Si svegliò prima di accertarsene.
La stanza era avvolta nel silenzio. Decise di svegliare l'amica che dormiva accanto a lei per raccontarle la variante del sogno. Parlarne a caldo poteva aiutarle a esorcizzare la paura. La chiamò ma l'amica non rispondeva, doveva dormire profondamente. Indispettita, la vol. Inorridì. C'era sangue ovunque ma vedeva nitidamente la bocca sdentata dalla quale colava ancora sangue scuro.

Erano passate cinque settimane. Aveva smesso di sognare il monaco oscuro. Ma non di temerlo.
Ormai sognava solo l'amica morta. Le avevano detto che il decesso era avvenuto per arresto cardiaco, non per emorragia. Nessuno trovò i denti. Nessuno li cercò. Si trasferì da un collega col quale aveva una relazione. Era l'unico che le era stato accanto, che non sospettava fosse stata lei a sfigurare il cadavere dell'amica, che la cullava quando la notte si svegliava urlando e piangendo.

Una sera decise di mettere in ordine la casa. Stancarsi durante il giorno era l'unico modo per prendere sonno la notte e dato che non lavorava più, non c'erano molte occasioni per occupare mente e corpo. Non leggeva più. Le parole le sfuggivano, i suoi occhi scorrevano su sequenze di caratteri che le apparivano incomprensibili segni grafici danzanti e beffardi. Sistemando la libreria di Ivan, questo era il nome dell'unica persona che al momento non la riteneva pazza, scorse dei libri che conosceva bene. Poe, Maupassaunt, Gautier. Non sapeva che Ivan amasse questo genere di letteratura. Immediatamente ripose i libri che stava spolverando e nella fretta uno le cadde di mano. Si trattava della raccolta di racconti di Edgar Allan Poe. Notò che vi era un segnalibro. Si chiese quale potesse essere il racconto preferito dal suo uomo.
Raccolse il libro. Quello che vide per poco non le fece perdere i sensi. Incastonato al segnalibro di pelle vi era un dente umano.

Piangendo si diresse verso l'ingresso. Non volle fermarsi nemmeno a prendere le sue cose. Non volle controllare che vi fossero indizi o prove. Era certa che Ivan si fosse introdotto nel suo appartamento, avesse strappato i denti all'amica che dormiva accanto a lei quella notte, cinque settimane prima. Non si soffermò a chiedersi perché quell'uomo avesse compiuto un gesto tanto ripugnante, come avesse fatto a introdursi nell'appartamento e poi a fuggire, dal momento che la porta era sempre stata chiusa dall' interno. In quelle angoscianti sere lei aveva preso dei tranquillanti, con ogni probabilità non aveva sentito alcun rumore, aveva continuato a dormire mentre un maniaco compiva l'orrendo gesto, accanto a lei. Tutto era chiaro adesso, doveva solo dirlo alla polizia. Ivan era l'unico che non la considerava una pazza perché era stato lui a commettere l'omicidio. Lei non aveva mai creduto che la morte fosse avvenuta prima della mutilazione.
Correndo verso la porta sbatté e cadde a terra. Si scheggiò un dente. Il dolore era sordo e devastante. Provò a rialzarsi, doveva rialzarsi. Intorno a lei era tutto chiazzato di bianco. Faceva difficoltà a mettere a fuoco e i fiotti di sangue che si riversavano in gola erano aspri e stomachevoli. Mentre si aggrappava a fatica alla maniglia di una porta, vide Ivan seduto sulla poltrona del salotto. Sobbalzò perché credeva di essere sola.
Aveva gli occhi chiusi e il capo reclinato da una parte, come se si fosse addormentato. Però sorrideva, come se fosse sveglio. Doveva aver capito che il suo segreto era stato scoperto. Sorrideva perché adesso avrebbe ucciso anche lei. Le avrebbe strappato i denti, uno per uno.

"Beatrice, rifletti" si disse tirandosi su. "Forse lui non ha capito che ho trovato il dente, forse posso ancora fuggire". Ma il suo pianto dirotto la tradiva. Con lo sguardo calibrò la distanza tra lei e la porta, poteva ancora scappare senza essere afferrata. Ma perché Ivan non apriva gli occhi? Lo guardò per un secondo che fu sufficiente a notare che il sorriso di Ivan non era un sorriso. Era una smorfia. La bocca era semiaperta. La sua espressione suggeriva dolore e sorpresa. Soprattutto quella bocca aveva qualcosa di spaventosamente sinistro. Beatrice la studiò avvicinandosi di qualche passo. Un fiotto di sangue uscì di colpo dalle labbra dischiuse di Ivan.

Cominciò a piangere più forte. I singhiozzi le scuotevano il petto, il viso le era diventato una maschera di lacrime, muco e saliva. Ogni rumore le appariva attutito e amplificato al medesimo tempo. I sordi singhiozzi sbattevano contro le pareti dell'appartamento desolato, rimbalzavano nelle sue orecchie stordendola. Doveva chiamare la polizia, doveva controllare che Ivan fosse vivo, doveva fuggire. Corse a cercare la borsa, doveva trovare il cellulare e chiamare aiuto. Invece andò in cucina. Come nel sogno di tanti mesi prima le sue gambe la conducevano nell' unico posto dove non desiderava andare. Avanzava lentamente, col volto impietrito, come quando si dirigeva verso l'altare della chiesa del suo sogno. Con ineluttabile sottomissione. Apun cassetto e impugun coltello.


Ivan era morto. La testa era riversa, il mento insanguinato. Lei gli accarezzò i capelli biondi e gli diede un bacio sulla fronte. Andò in bagno. Il lavandino era sporco di sangue. Perché? Anche gli asciugamani Io erano. La sua borsa era abbandonata per terra. C'erano un flacone di sonniferi vuoto e un mantello nero poco più in là. Delle grandi pinze erano poggiate sull'orlo della vasca da bagno. Beatrice ricordò. Fotogrammi confusi le confondevano la mente. Poteva sentire ancora il silenzio squarciato da un urlo sommesso. Poteva vedere gli occhi supplicanti. Poteva sentire il rumore agghiacciante di schegge e l'odore del sangue. Ripercorse con minuzia ogni istante. Adesso i ricordi erano meno confusi. Più chiari. Più reali. Fu nuovamente investita dall' inerzia dolce dei suoi sogni. Ancora una volta non era lei a comandare i propri gesti. Si guardò allo specchio. Inaspettatamente sorrise e una fila di denti piccoli, bianchi e perfetti si affacciò tra le sue labbra pallide. Berenice, pensò ancora una volta osservando quel sorriso non ancora perfetto. Afferrò la pinza, imbrattandosi le mani di sangue. La avvicinò alla bocca. Doveva fermarsi, prima di farlo ancora. Doveva pagare per quello che aveva fatto.

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