martedì 9 giugno 2015

Luca Deias - Pepe e Cicoria

Nel regno colorato della natura,
in una terra di spezie e verdura,
c'è qualcuno triste dietro la siepe,
scuro e abbandonato il povero pepe.

Nessuno lo desidera vicino,
lo ripudia anche lo zio peperoncino,
la vanitosa vaniglia o il ricco zafferano,
da loro tutti lo vogliono lontano.

Il nostro pepe fa in un respiro starnutire,
si lamentano tutti e lo fanno bandire,
in spalla zaino e bagagli,
si chiede quali fossero i suoi sbagli.

Il povero pepe allora si allontana,
verso altre città a bordo di una rana,
un, due, tre salti ed ecco la destinazione,
un campo verde la nuova abitazione.

Ringrazia l'amico anfibio dalle gonfie guance,
lo saluta e gli lascia per il trasporto le mance,
così si avventura per la tranquilla distesa,
ma ad un tratto ecco una sorpresa.

Una verde verdura a stretta foglia,
con una triste espressione sulla soglia,
il pepe la raggiunge curioso,
domandandole chi sia, rispettoso.

La risposta arriva dal terreno,
con un segno sinuoso e ameno,
scrive tutto con un sottil ramo,
ed ecco cosa abbiamo:

"Sono triste, non so la mia storia,
ho perso la voce e la memoria,
nessuno con me vuole parlare,
perché non sentono alcuna risposta dare".

Il pepe subito in lei si ritrova,
vuole farle avere un'espressione felice e nuova,
le racconta così del suo non voluto viaggio,
assicurandole che non è più sola con coraggio.

Alla nuova amica allora si avvicina,
col desiderio di farla sentire una regina,
con sentimenti sinceri l'abbraccia,
così vicino da sfiorarle la verde faccia.

Il povero pepe dimenticò il suo difetto,
subito la vicinanza e l'odore su di lei fanno effetto,
ecco un forte starnuto, come un segno di baldoria:
"Eccì-cicoria!"

La voce perduta era tornata,
la vicinanza del pepe era bastata,
ecco riaffiorare anche la memoria,
lei è un'elegante cicoria.

Subito gli sorrise e lo baciò,
veloce come uno starnuto s'innamorò,
il difetto del pepe si trasformò in virtù,
i due si promisero di non lasciarsi più.

Luca Deias - Il rifugio

Quando a lavoro va male,
la fatica non premiata
il sudore non accarezzato,
aspetti il rifugio.

Quando i sogni rimangono soli,
coriandoli colorati svolazzanti
in una pozzanghera dimenticati,
aspetti il rifugio.

Quando nessuno ti capisce,
una foglia controvento
si appoggia lontano,
aspetti il rifugio.

Quando la sera finalmente arriva,
entri delicato nelle calde mura,
chiudi gli occhi stanchi,
si staglia il dolce bagliore.

Ecco lei, il riflesso di ogni pensiero,
la candida onda che travolge il tuo tempo.
Lei, il tuo rifugio, è qui,
anche quando non c'è.

Luca Deias - Blu e giallo

Volando tra le onde delle nuvole,
scivolando nel bianco incantevole,
cantava serena un'elegante farfalla,
illuminata nelle sue sfumature blu e gialla.

Ma tra scogli bianchi e paffuti,
vicini e legati come chiari tessuti,
da una grigia nube vicino, un'ardente saetta,
sulla scia della farfalla si proietta.

La nostra farfalla tra una nota e una danza,
non si accorge del dardo dorato presto abbastanza,
viene sfiorata con veemenza inaspettata,
e la sua destra ala non viene salvata.

Costretta a tuffarsi dal trampolino del cielo,
verso la terra scende piano come un velo,
la brezza protettiva la conduce in un fiorito prato,
per adagiarla in un letto di petali colorato.

È bianco il fiore in cui si poggia,
così, senza bussare, nel bocciolo ormeggia,
sperando di non essere sgradita inquilina
o di disturbo come un'aguzza spina.

La pianta dal sottil stelo rimane sorpresa,
di alcuna visita era in attesa,
ma subito nota la farfalla ferita
e le chiede da dove fosse fuggita.

La nostra farfalla racconta del lassù scivolo,
nessun volo potrà più spiccare nel cielo nuvolo,
senza ala è irraggiungibile ogni azzurra immensità,
del Sole non potrà più vedere la luminosità.

Il fiore, dal cuore grande come la sua bellezza,
la nuova amica vuole aiutare con certezza,
le offre così un grande bianco dono,
un suo petalo fa cadere con un leggero suono.

"Questa sarà la tua ala nuova,
prendila e vola via, prima che mi commuova",
come per incanto il petalo a lei si attacca
e in ala bianca si trasforma, salda non si stacca.

La farfalla prende il volo d'improvviso,
riecco un'infinita felicità nel suo viso,
sbatte le ali con così forza travolgente,
che copre di polvere di ali il fiore interamente.

Il fiore, dapprima spento e bianco,
si trova pervaso di calda energia, non più stanco,
in un tratto anche il colore cambia, è uno sballo,
i petali diventano blu e il bocciolo giallo.

La farfalla e il fiore all'unisono si salutano,
un dolce spazio nella memoria ospitano,
e insieme, l'ultime parole che terranno sempre per se:
le loro voci dicono: "Non ti scordar di me".

Pippo Monteleone - Lungo la via

Essenze di salsedine
armonizzano sentimenti.

Passi danzano
su tiepide spiagge
nell'immenso oblio
d'un tramonto che fugge.

Echi lontani dentro
conchiglie sussurrano
liriche di magiche sirene.

Con te dolce compagna,
sensibile materna
intelligenza, sempre in
cammino, dividendo e
donando amore, lungo
la via della vita.

venerdì 5 giugno 2015

Bruno Bianco - Giuramenti

Lungo il fiume Donetz, 31 luglio 1942 
Cara Lisetta,
prima di partire mi avevi fatto giurare che non ti avrei scritto più di una volta la settimana, ma non riesco proprio a essere fedele alla promessa; sono passati solo due giorni dalla mia ultima lettera, ma oggi è il tuo compleanno e nel giorno dei tuoi vent’anni ho bisogno di dirti subito quello che mi è venuto in mente questa mattina.
Come ti ho sempre scritto nelle mie lettere sai bene quello che provo a stare in guerra lontano da te che sei il mio più grande amore; tu però devi stare tranquilla perché qui non abbiamo niente da preoccuparci. Siamo tutto il giorno in marcia e se mi guardo intorno mi sembra quasi di essere a casa. Mi dicevano che in Russia fa freddo e invece qui fa caldo è c’è il sole tutto il giorno come in estate nella nostra amata terra di langa [1]; ci sono i prati e i campi di grano uguali ai nostri e i contadini che lavorano la terra e tengono le galline nel cortile proprio come da noi. I nostri ufficiali dicono che finiremo in fretta; presto potremo tornare a casa e io potrò finalmente sposarti come volevo fare prima che mi arrivasse la cartolina.
Tu sai come sono fatto e sai quali sono le mie convinzioni; io credo che tutto quello che ci capita è sempre per il nostro bene. In queste lunghe giornate di marcia ho pensato molto a me, a te, alla famiglia che faremo nascere e ai figli che cresceremo. Ho attraversato tanti villaggi e ho visto gente diversa; uomini e donne, vecchi e bambini, tutte brave persone, certo spaventate nel vedere soldati di un altro paese, ma che non ci hanno mai fatto mancare un sorso d’acqua fresca e un pezzo di pane bianco. Sono contadini con la pelle delle mani uguale alla nostra, rovinata dal lavoro nei campi e nelle stalle; sono persone con lo stesso sguardo di chi come noi vive la giornata senza sapere come sarà quella che verrà l’indomani. Tu mi hai sempre detto che il tuo sogno è di lasciare la nostra terra per trovare un nuovo mondo che sia più giusto e accogliente per noi e i nostri figli; e io ti ho sempre ripetuto che noi siamo nati qui come i nostri genitori e i genitori dei nostri genitori e che nessuno se ne deve mai andare dal posto dove è nato, come la quercia che è nel mio cortile da più di cent’anni e non si è mai mossa da lì. Ma oggi ho deciso che tu sei troppo importante per me e ti meriti un’esistenza migliore di quella che noi due potremmo passare nelle nostre valli. Perché ho capito che non sta scritto da nessuna parte che devi crescere dove sei nato e morire dove sei cresciuto; la vita può farti restare ottant’anni nello stesso posto o spostarti ottanta volte in tutta la tua esistenza, ma quello che conta è soltanto cercare e trovare la felicità per sé e per i propri cari. La terra di langa è bella, ma è troppo ingiusta verso le persone oneste e pulite come sei tu; ti consuma di fatica per darti sempre troppo poco, per arricchire i mediatori che si mettono d’accordo tra loro, si spartiscono la cascine e alla fine il prezzo lo fanno sempre come vogliono. Ti ricordi quando ti avevo portato a trovare mio cugino Giovanni a Casale? Lui vive e lavora lì, in una grossa fabbrica che da lavoro a tutta la zona; Giovanni mi dice che dopo la guerra la fabbrica si ingrandirà ancora e come ha fatto lui tanti altri potranno lasciare la dura vita del lavoro di campagna per un posto sicuro in una fabbrica di città. Mio cugino mi parla di un mondo da sogno, con un orario fisso, uno stipendio sicuro e la domenica in giro per Casale dove dicono che i bar sono quasi più belli di quelli di Torino. Anche noi andremo a Casale; io lavorerò in fabbrica e tu sarai la regina della casa dove abiteremo. I nostri figli andranno a scuola, impareranno a leggere e scrivere prima e meglio di come abbiamo fatto noi; se saranno bravi potranno anche fare le scuole alte che la gente si rivolgerà a loro dando del voi come noi facciamo con il podestà, il farmacista e il maresciallo dei carabinieri. Metteremo da parte i soldi e avremo una casetta con il cortile tutta per noi, di quelle fatte dai muratori veri. Terremo le galline e i conigli come facciamo nelle langhe, ma non venderemo più le uova perché potremo tenerle tutte per noi; e quando vorremo mangiare carne di coniglio o di pollo lo faremo senza preoccupazione perché avremo il mio stipendio e tu non dovrai fare la fatica che fanno le donne nelle langhe. Oggi abbiamo attraversato il fiume Donetz per arrivare al Don; domani attraverseremo la nostra esistenza dura per arrivare a godere i frutti del nostro lavoro. Sarà questo il nuovo mondo che costruiremo insieme a quelli che come noi credono in una vita migliore. Io non mi sono mai interessato di politica, ma ho capito come funziona; i governanti cambiano e i re muoiono, mentre noi continuiamo a esistere con quello che costruiamo ogni giorno per le persone che amiamo, guardando indietro a quello che abbiamo fatto per loro e pensando a quello che loro continueranno a fare senza di noi.
Prima che arrivi l’inverno il mio reggimento avrà finito la missione e io sarò già tornato a casa; pensarti mi aiuta a non sentire il peso della marcia e a immaginare il nostro futuro. Insieme a  te; insieme al mio più grande amore.
Al di là del fiume, il tuo Sandro.

San Benedetto Belbo, 31 luglio 1942 
Caro Sandro,
non ho dimenticato che prima di partire ci siamo giurati di non scriverci più di una volta la settimana, ma adesso non puoi immaginare come sono pentita di averti obbligato a fare questa promessa. Così ho deciso che non voglio essere fedele al nostro impegno; sono passati solo due giorni dalla mia ultima lettera, ma oggi è il mio compleanno e nel giorno dei miei vent’anni ho bisogno di dirti subito quello che mi è venuto in mente questa mattina. Ricordi che ti dicevo sempre che il mio sogno era di lasciare la nostra terra perché non vedevo nessun tipo di futuro per noi e per i nostri figli e che tu mi ripetevi sempre che noi siamo nati qui e che nessuno se ne deve mai andare dal posto dove è nato; oggi ho capito che io mi sbagliavo mentre tu avevi ragione. In questa stagione la nostra povera terra di langa è particolarmente bella; alle sei del mattino il sole è già e alto e dal nostro bricco si vede un panorama che toglie il fiato. Guardo il Belbo che scorre lento e svogliato come un bambino che si è appena alzato e non ha voglia di iniziare la giornata; lancio lo sguardo lontano a cercare gli uomini che trovano un posto fresco dove mettere il pintone di vino per alleggerire la fatica della giornata; sento il vociare delle donne che in allegria portano con fatica le lenzuola da lavare al fiume; inseguo le corse dei ragazzini che portano gli animali al pascolo e non riescono a stare fermi nemmeno un momento; sento il profumo del minestrone che le nonne mettono sul fuoco dal mattino e non lo levano prima di mezzogiorno perché sanno bene che solo le cotture lente e lunghe fanno restare buone le cose della vita. Ma quando arriva la sera uomini, donne e bambini, stanchi o riposati che sono, nessuno manca nelle vie, nella piazza, in osteria; tutti con la loro voglia di stare insieme a quelle persone che sono nate e cresciute nella stessa terra e che quando sarà il momento moriranno nella stessa casa dove genitori e nonni a loro volta hanno lasciato l’ultimo respiro. Ora so che avevi ragione tu, che non si possono lasciare i posti che ci circondano fin dai primi giorni di vita; ora so che voglio stare di fianco a te e vicino ai nostri figli a guardare lo scorrere delle stagioni sulla nostra terra. Voglio vedere le primule novelle sulle rive ombreggiate a primavera, voglio sentire in estate l’orchestra che suona nel ballo a palchetto per la festa del patrono, voglio respirare con gli odori dell’autunno il profumo dei tartufi che gli uomini con i loro cani portano a casa dopo una notte di ricerca, voglio guardare dalla finestra dell’inverno la neve ghiacciata sui tetti mentre sulla stufa le castagne trasportano il loro calore per tutta la stanza. Ci sono persone che non cambiano mai idea convinte che bisogna pensarla allo stesso modo per tutta la vita; poi ce ne sono altre che ogni giorno dicono il contrario di quello che hanno detto il giorno prima. Io non so da quale parte sto, ma so che quanto penso oggi, anche se diverso da quanto pensavo ieri, è il modo giusto di guardare alla nostra vita da passare insieme.
Prima che arrivi l’inverno spero che tu sarai già a casa; pensarti mi aiuta a non sentire il peso della lontananza a immaginare il nostro futuro. Insieme a  te; insieme al mio più grande amore.
Nella terra di langa, la tua Lisetta.

San Benedetto Belbo, 31 luglio 2002
Sessant’anni fa Sandro è stato dato per disperso in Russia; il suo corpo non è mai tornato in Italia.
Trent’anni fa suo cugino Giovanni è morto di mesotelioma pleurico per l’esposizione all’amianto nella fabbrica di Casale.
Oggi Lisetta ha compiuto ottant’anni; non ha mai lasciato il suo paese delle langhe dove abita tuttora circondata da figli e nipoti. Ogni mattina entra nelle chiesa per la messa delle otto e la sua prima preghiera è sempre per Sandro. Il suo più grande amore nella terra di langa. Il suo più grande amore al di là del fiume.

[1] Le Langhe o la Langa è un territorio del Piemonte meridionale; costituito da alte colline, era nel passato una zona molto povera

giovedì 4 giugno 2015

Francesco Buti – Incontrai i tuoi occhi e l’amore

Dario, prendeva abitualmente il pullman. Frequentava l’università di lettere e abitava nella periferia di Firenze. Quando viaggiava aveva sempre le cuffie nelle orecchie. Era una giornata grigia d’inverno. Dario aveva messo lo zaino nel posto libero vicino a lui. Gli si avvicinò una ragazza che non aveva mai visto chiedendogli se il posto era libero. Con la musica nelle orecchie, non rispose subito. Rimase incantato a guardarla. Guardava i suoi occhi verdi, dietro ai grandi occhiali da vista neri. Aveva visto l’infinito. Lei gli rifece la domanda con la voce un po’ più alta. Lui la fece accomodare sorridendole: ”Scusa, avevo la musica nelle orecchie!” Lei rispose: ”Spero almeno che stia ascoltando della buona musica…” “Ascolto un po’ di tutto” sorrise: “Vuoi ascoltare?” Lei prese la cuffia di destra e se la mise nell’orecchio. Quando arrivarono vicino alla stazione di Firenze, si alzò dicendogli: “Questa è la mia fermata, Ciao!” Prese il suo zaino e in fretta raggiunse l’uscita del pullman. Alla stazione scesero tutti. Dario chiese se conoscevano la ragazza che si era seduta vicino a lui. Nessuno la conosceva. Arrivato all’università si mise a parlare con i suoi amici e mentre fumava una sigaretta, raccontò della ragazza. Nel pullman del ritorno lei non c’era. Nel pomeriggio studiò e dopo andò in piscina. Finito di nuotare passò dal bar. C’era il suo miglior amico Marco, c’era Guido e Andrea. Anche loro, quando non li trovava a casa, era certo di trovarli al bar. Raccontò anche a loro di questa ragazza. Marco, rimase pensieroso. Quando finì il racconto disse: “Non ne sono certo ma da come la descrivi, alta quasi quanto te, capelli neri mossi. Occhi verdi e grandi occhiali da vista. Io non la conosco personalmente. Ma ho visto una ragazza simile. Si è trasferita da poco infondo alla mia strada.” Dario rimase sorpreso: ”Non ci credo. Mi prendi in giro, perché non me lo hai detto?” Dando un sorso di birra: “Vieni pure a vedere. Ci sono ancora le scatole della ditta di traslochi dove abita lei.” Dario fece un gesto con la testa. Uscirono dal bar e presero la macchina. Insieme a loro c’erano anche Guido e Andrea. Passarono davanti a casa di Marco poi alla fine c’era quella della ragazza. Tutto era come aveva detto Marco. Ritornarono al bar euforici. Ordinarono da bere. Si fece mezzanotte tra una birra e una sigaretta. Dario salutò e andò a casa. Aprì la porta e vide camera dei suoi genitori accesa. Si affacciò. Stavano già dormendo. Gli spense la luce. Accese il computer e vide che suo fratello da Londra era sempre online su Facebook. Suo fratello faceva il consulente pubblicitario era tre anni che era in Inghilterra con la sua famiglia. Gli scrisse chiedendogli come andava a Londra. Gli raccontò della ragazza. Gli rispose: “Sono contento per te, speriamo sia quella che aspettavi. Stai tranquillo. Vorrei essere li con te, mi immagino già la tua euforia al sapere che è del paese. Sentirsi battere il cuore, da un’emozione inspiegabile. E’ una cosa bellissima. Me lo hai insegnato tu. Saluta la famiglia.” La mattina si alzò di buon umore. Prese lo zaino, infilò le cuffie nelle orecchie, salutò i genitori e si diresse alla fermata del pullman. Gli operai stavano lavorando per montare le luci di natale. Si mise al suo solito posto. Ad ogni fermata alzava la testa. I posti a sedere erano esauriti. Lei non c’era. Nel pomeriggio non tornò a casa andò a mangiare da sua nonna. Quando suonò il campanello, si aprì subito il portone. La nonna abitava in un palazzo nel centro di Firenze. Quando arrivò davanti alla porta dell’appartamento sua nonna gli disse che è già tutto pronto. Prima di entrare le dette un bacio sulla guancia. Arrivò dalla camera suo nonno. Salutò anche il nonno con un bacio sulla guancia. Poi appoggiato lo zaino in un angolo della cucina, si spogliò del cappotto e si mise a tavola. Chiese ai nonni se avevano mangiato. Il nonno gli rispose di si e lui gli chiese se rimaneva a fargli compagnia. Gli piaceva parlare con i suoi nonni. Parlare dei loro vecchi tempi e farsi raccontare dei suoi genitori. I suoi nonni erano un po’ come suo fratello, poteva raccontare qualsiasi cosa. La nonna gli chiese se andava tutto bene sia all’università che al di fuori. Dario gli raccontò dell’incontro con quella ragazza. Il nonno: “Ci sono cose che non puoi cambiare. Ma questa non mi pare una tragedia, questa ragazza se la rivedi puoi giocare le tue carte. Se è una che ne vale la pena giocare tutti i tuoi assi. Allora fallo.” Dario rimase sbigottito dalle parole che gli aveva detto. Sua nonna che si era messa a fare la maglia, annuì: “Ha ragione tuo nonno. Se prima o poi non ti butterai, non saprai mai cosa vorrà dire volare.” Dario riempì il bicchiere e lo buttò giù tutto d’un fiato. Il nonno intanto era sceso in cantina. Ci scendeva tutte le volte che aveva bisogno di riflettere. Quando finì di mangiare, si rivestì prese lo zaino e salutò la nonna con due baci sulle guance. Le disse: “Domani ho un esame. Vado in biblioteca a studiare” Lei semplicemente gli rispose: “Vai pure. Lo sai te quello che devi fare.” Scese le tre rampe di scale e arrivò davanti al portone, sulla sinistra c’erano le scale delle cantine. Scese anche quelle per andare a salutare il nonno. Era intento a guardare delle vecchie foto. Affacciandosi: “Nonno. Io Vado. Ma che stai facendo?” “Niente. Stavo Pensando a quanto tempo è passato dalla prima volta che ho incrociato lo sguardo di tua nonna. Ne abbiamo passate tante ma siamo ancora qui, ed io senza di lei non saprei come fare.” Scese le scale e arrivo fin da lui: “Quanti ricordi ci sono qui dentro” “Vorrei sentirti parlare d’amore. Sentire parlare i giovani d’amore è così difficile.” Mostrando a Dario una foto con lui e sua nonna. Vide negli occhi neri di suo nonno l’amore. “Eravate bellissimi” “E’ passato tanto tempo.” Dario sorrise. Si abbracciarono e il nonno gli disse di andare. Si avviò verso la biblioteca. Si mise la musica nelle orecchie. Entrò in biblioteca. Cercò un posto con un computer libero. Tirò fuori i libri e un blocco notes. Impostò la sveglia per non perdere il pullman e incominciò a scrivere. Quando studiava erano rare le volte che si distraesse. Quando la sveglia suonò, rimise tutto nello zaino. Se ne stava andando quando vide dall’altra parte della stanza una ragazza. La ragazza del pullman. Anche lei, era immersa nello studio. Tornò indietro, si avvicinò al suo tavolo: “Ciao! Cosa sei a studiare? Ti ho visto mentre stavo uscendo.” Lei lo guardò con i suoi occhi verdi da sotto quei grandi occhiali neri: ”Ciao! Domani ho un esame tutto in lingua inglese” Sorrisero. Dario guardò l’orologio e le chiese: “Che fai, ti trattieni ancora?” Lei guardò il suo: “Il prossimo pullman quando c’è?” Lui guardandola sempre perso nei suoi occhi “Tra un’ora e mezzo” le sorrise. Aspettò che rimettesse i libri nello zaino. Mentre si incamminavano verso l’uscita, Dario la guardava e le disse: “Io sono Dario, piacere”. Lei si fermò, un po’ imbarazzata, lo guardò sorridendo: “Scusa. Io sono Sofia, piacere”. Sofia faceva l’università di lingue. Si era trasferita nel paese di Dario perché la sua famiglia non voleva vivere in città. Proveniva da un paesino vicino a Chieti. Si erano dovuti spostare per sua madre che aveva una ditta di tessuti insieme alla zia. Il padre invece si arrangiava. Da due mesi aveva trovato un lavoro come panettiere. Aveva anche una sorella più piccola. Arrivato il pullman, continuarono a parlare. Dario gli parlò di Marco, Guido, Andrea e delle volte che si ritrovavano al bar. Parlarono di musica e dei film che per loro sembravano i migliori e i peggiori del mondo. Parlarono di tutto e di niente. A Dario sembrava che quel viaggio non fosse durato abbastanza quando si aprirono le portiere e i due scesero nella piazza centrale del paese. Sofia lo salutò e si diresse verso casa. Dario le chiese se l’indomani l’avrebbe rivista. Gli sorrise: “Tieni il posto”. Tornò a casa felice. Non si sarebbe mai aspettato di conoscere Sofia in biblioteca. Adesso sapeva il suo nome e un po’ di cose su di lei. Quella sera non uscì al bar. Doveva finire di studiare. Sul cellulare gli arrivò un messaggio di Marco che gli chiedeva il perché non fosse uscito. Gli rispose che aveva da studiare e poi gli scrisse che la ragazza del pullman si chiamava Sofia. Al mattino Dario uscì, non aveva le cuffie nelle orecchie. quando salì sul pullman dette anche il buongiorno al conducente. Si mise al solito posto. Non gli sembrava più la solita monotonia perché stava per arrivare Sofia. Dopo un po’ arrivò. Si sorrisero e si salutarono con due baci sulle guance. Dario le chiese se era preparata per l’esame. Lei gli rispose che forse era meglio la musica, così si sarebbe rilassata. Sofia prese l’Mp3 di Dario e si infilò una cuffia. Si addormentò sulla sua spalla. Dario la guardava mentre dormiva. Quando furono vicini alla fermata dove scese qualche giorno prima, le sfilò la cuffia dall’orecchio e ci soffiò. Sofia si svegliò di soprassalto. Alzando lo sguardo, vide la sua fermata. Si rimesse a posto i capelli e prese lo zaino. Dario, gli chiese: “Che fai stasera?” Alzandosi in fretta: “Non lo so. Ma so che faccio ora. Scendo.” Prima che arrivasse all’uscita: ”Ti passo a prendere?” Con il dito alzato fece segno di si, mentre stava scendendo dal pullman. Dario arrivò entusiasta all’università. Raccontò ai suoi amici che la ragazza che cercava si chiamava Sofia. L’esame andò bene e quegli addobbi che tutti gli anni metteva per Natale, non sembravano niente in confronto a quello che si sentiva nel cuore. Quella sera Dario passò ha prendere Sofia, andarono a vedere un film al cinema. Si incontravano tutte le mattine e lei tutte le mattine si addormentava sulla sua spalla. Erano passati tre mesi. Lui l’aveva portata anche a cena fuori. Gli aveva presentato Marco, Guido e Andrea. Una sera, Guido gli mandò un messaggio: “Sabato festa a casa di Zoe. Porta anche lei.” Disse della festa a Sofia mandole un messaggio: “C’è una festa sabato. Passo a prenderti alle venti” ed Sofia rispose “Ti aspetto”. Si ritrovarono al solito bar. Fecero un aperitivo. Guido fece conoscere la ragazza che aveva incontrato al mare. Marco al secondo prosecco propose di andare alla festa. La casa di Zoe non era lontana. Andrea e Marco erano in moto. Dario guidava parlando con Sofia mentre lei ad ogni canzone che non le piaceva la cambiava. La villa aveva un grande giardino ed una piscina. C’era musica, da mangiare e da bere ovunque. Mentre ancora ridevano di una battuta di Marco, lui la prese in disparte portandola in giardino. L’unico posto dove stare soli, tranquilli. Chiuse la porta del salone e lei gli chiese: “Perché mi hai portato qui? Fa un po’ fresco, io non ho niente addosso. Prendo la giacca.” Dario la guardò, sorrise: “Io ti conosco da soli pochi mesi. Ma mi pare di conoscerti da una vita intera. Dal primo giorno che ti ho vista sotto i tuoi occhiali, ho visto che tu eri diversa. Mi hai completato come nessuna ragazza aveva mai fatto prima.” Sofia arrossì: ”Pensavo di essere solo un’amica per te.” Dario si avvicinò. Lei abbassò gli occhi. “Io non voglio essere tuo amico. Ma anche più di più. Continuando a parlare come abbiamo fatto scambiandoci le nostre paure e i nostri sogni. Standoci vicini…Io Ti Amo” L’abbracciò. Lei lo guardò negli occhi e gli sorrise. Si baciarono. “Anche Io”, rispose lei. Lasciarono la festa intorno alle due di notte, riaccompagnò a casa Sofia salutandola con un bacio sulla bocca. Guido fu il primo a lasciare la festa. Marco se ne andò con una ragazza. Andrea invece era così ubriaco che rimase a dormire da Zoe. Dario sul telefonino aveva due messaggi. Uno del fratello e l’altro di Sofia. Quello del fratello diceva che sarebbe tornato nel pomeriggio e che Pasqua l’avrebbe trascorsa a casa. L’altro: “Grazie della bella serata, non mi divertivo così da tempo. A domani. Ti Amo”. Ancora oggi Sofia si addormenta sempre accanto a lui, mentre lui vede sempre nei suoi occhi l’infinito.

Francesco Buti - Starei ore a fissare i tuoi occhi

Starei ore a fissare i tuoi occhi.
Ma le stagioni passano,
ed è arrivata l'estate per
vederti correre e danzare.
Metterò tra i tuoi capelli
i fiori più belli e per le strade,
balleremo tutta la notte a piedi nudi
fino a rimanere senza fiato.
Ci sveglierà il sole che ci bacerà
la fronte, poi un caffè dalla luna.
Per dirci che non era un sogno.

Francesco Buti – Un attimo

Aspettare l’attimo, atteso
per un giorno, come di
notte bramo la luce.

Aspettare l’attimo, atteso
con ansietà, come in cielo
le stelle attendono la luna.

Aspettare l’attimo, di vederti
comparire come quando
tra le nuvole vorrei vedere il sole.

Aspettare l’attimo, per incontrare
il tuo sguardo e riempire
i miei occhi d’amore.

Quando tutto è avvenuto,
mentre tu ti allontani
aspettare il domani.

Per vivere un giorno
nel solo attimo,
in cui compari tu.

Paolo Pietrini - Razza umana

Bianca o nera, gialla o rossa
la tua razza è la mia,
razza umana; il tuo paese,
il mondo, è il mio paese.    
Non ha confini il mondo; corre
il sole da oriente a occidente,
nord e sud sono ovunque.  
Le frontiere sono affari di pochi
segnate dal sangue dei più.
Il mondo è fratellanza, impegno
solidale d’uomini, donne,
d’ogni lingua, colore e paese.   
Il tuo nemico è il mio: 
semina guerra e coltiva terrore,
concima i propri affari 
con la miseria di tanti disperati,
alza muri e barriere
agli uomini di buona volontà. 
Il mio nemico è il tuo: 
produce e vende egoismo feroce,
distrugge i rapporti fraterni
e la ricchezza più grande,
la speranza degli uomini
di vivere in un mondo migliore.
La solidarietà, quella vera,
non è pelosa carità ma diritto
d’ognuno, dignità di tutti,
uguaglianza, fraternità e giustizia,
il tuo futuro e il mio.
La solidarietà, quella vera,
è il reciproco scambio di culture,
impegno fraterno e interazione,
la nostra risorsa più preziosa, 
il vero pil che cresce.

Paolo Pietrini - L’Utopia

La brace mai spenta
ha confuso la notte;     
apre l’alba smarrita
una grigia giornata;
poi s’accende l’Aurora,
riprende colore la vita.
L’eroe senza nome
ritrova i sorrisi perduti
sul volto di domani, 
riempie le ore sofferte
di nuova speranza,
affronta deciso la corsa    
infinita della Storia.
Il fuoco già acceso
ha deluso la notte; 
apre l’alba sconfitta 
un’oscura giornata;
poi s’accende l’Aurora,
ancora sorride la vita.
L’eroe senza nome
trova nuovo coraggio
per l’eterna partita,
torna a dire vittoria
la battaglia perduta.
Ogni notte la Storia
attizza braci mai spente,
ogni giorno l’Aurora 
accende sorrisi perduti.

Paolo Pietrini - In nome di Dio

E’ buio il mondo
e l’uomo iddio riaccende
la ragione, illumina la notte,
legge dolore e morte e torna
a dire guerra alla guerra,
la guerra è orrore.
L’uomo iddio non odia
chi è diverso,  non confonde
con Dio gli affari suoi,                                                             
non vanta il suo permesso
quando bombarda e uccide,
ruba, massacra e mente.
L’uomo iddio  ama il mondo
e la gente, non dice  
amore lo stupro e umanità
la guerra e non chiama
la bomba intelligente
che stermina altri uomini.
E’ buio il mondo
e l’uomo iddio riaccende
la ragione, caccia i ladroni
dal tempio del petrolio e torna
a dire pace alla pace,
la pace è amore.

Paola Corsini - Gli occhi delle mie figlie

Fisso lo sguardo nel tuo
e i riflessi di cascate cristalline
portano la gioia nei momenti bui...

Il verde delle foreste più imponenti
portano la calma al mio animo inquieto
e tutto trova un senso....

La profondità dei tuoi occhi di bimba
ha la saggezza antica che tutto sa...
tu sei la conoscenza ed io la tua allieva di vita.

Tre nuove Vite
sintesi perfetta dell'Unione profonda di due Anime

Tutti gli affanni le preoccupazioni si dissolvono
Nei vostri sguardi vedo il Tutto, l'Infinito, l'Amore
Allungo una mano... una carezza...
ecco ho toccato l'Universo.

Maria Francesca Giovelli – Santa Maria dell’Ospedale

Respira chiaro nel tiepido sole
fermo, ma vivo, uno sguardo d’amore;
piange l’autunno piogge di foglie gialle
e un vento di luce in volo le raccoglie,
sfiorano il panneggio bianco del velo
guidano lo sguardo in alto verso il cielo.
Risuona la sera sui passi di un uomo
che ancora si ferma e chiede perdono
del tempo perso nell’assenza del cuore
vivo soltanto nel pianto di un nuovo dolore.
E gli occhi che passano su bianche pareti
rivelano speranze e silenziosi segreti
al marmo fatto sostanza, purezza di luce,
presenza di anime al tramonto che riluce,
e dalla finestra sul giardino chiama alla vita
la Madre che guarisce l’anima ferita.
Il cuore stasera batte di nuovo più forte
questo passaggio non conosce la morte.

Maria Francesca Giovelli – Il borgo che guarda la valle

Si risveglia il tempo e passa tra i sassi
che scrivono d’ombra i segni della sera
ritorna da lontano il suono dei passi
che hanno lasciato la loro primavera;
scorre la vita nell’acqua del torrente
e agli uomini sempre svela un segreto
ha bagliori d’alba e non s’arrende
la riva che veglia da secoli il suo greto.
Dall’alto il borgo guarda la sua valle
s’intride di vita nelle sere d’estate,
poi piange e raccoglie ginestre gialle
dono e memoria di esistenze passate.
Ma vanno via nel vento le verdi ombre
dove la strada bianca mostra una salita,
si fanno fragili i pensieri come fronde
dove la mente si ferma, l’anima s’infinita.

Maria Francesca Giovelli – La bambola

Fuori soffia forte il vento di libeccio,
dentro passi lenti, la bambola in braccio;
solo il rossetto ricorda il tempo col sole
e infiamma lo sguardo senza colore.

Qui pantofole e ruote non fanno rumore
conoscono il peso di un passato dolore;
solo gli occhi accendono mondi diversi
su quei figli lontani, gli affetti dispersi.

E’ passata l’ora che annuncia la sera
è andata per sempre con la primavera
di anime vive, nel grido di mute parole,
che si trovano e ridono, ma restano sole.

Ma dolce è la sera oltre i vetri ed i rami
e camici bianchi che sfiorano mani,
e passa la vita sul filo slegato del cuore
sorride, è innocente, e non sente dolore.

mercoledì 3 giugno 2015

Andrea Boschiazzo - Amore e bagnarole

L’ho vista un pomeriggio, si lasciava andare anche lei sull’acqua, su di una barchetta sgangherata stile la mia, mentre io mi riparavo dalla pioggia accostato su una sponda del fiume, sotto una roccia. È venuta lì anche lei, senza dire nulla e facendo solo un sorriso. Io sono timido, così per un po’ non ho detto nulla, ma mi facevo le miei idee su quanto somigliasse al mio quel suo modo abbandonato di viaggiare, vagabondando sull’acqua, e anche lei, mi pareva, senza nulla da cercare né trovare, o qualcosa verso cui puntare.
Abbiamo rotto il silenzio con una stupidata qualunque, forse con la scusa della pioggia, o qualcosa del genere. Poi siamo ripartiti per lo stesso viaggio, anche se, sinceramente, nessuno dei due sapeva bene dove. Ci siamo raccontati per quello che eravamo, fin da subito con quella stupenda e un po’ scioccante sensazione di potersi dire tutto con estrema sincerità, passando tantissimo tempo insieme, specialmente la sera, quando, già dalle prime volte, sentivamo il bisogno di sporgerci, ognuno dalla propria barca, per baciarci, talvolta intensamente, talvolta per scambiarci appena il sapore delle bocche. Fin dalla prima sera in cui le ho toccato il corpo, e mi ricordo perfettamente d’aver iniziato dalle spalle, per farle scivolare lungo le braccia il vestito estivo che indossava, non ho mai dovuto pensare a nulla sul come fare e fin dove osare, né sperimentare o cercare di capire verso quali parti del corpo, sfiorate, accarezzate, o strette, spostare le mie mani, e se appoggiare il palmo o stuzzicarla con le dite, semplicemente perché quello era il momento giusto di mischiare odori e sudori. Ci siamo esplosi addosso, senza cautela, e me ne sono irrimediabilmente innamorato.
Alla fine non le ho mai chiesto perché fosse lì anche lei, e perché, dopo tutte quelle ore trascorse assieme, lei se ne tornava sempre a dormire sulla sua barca, salutandomi con un bel sorriso, è vero, ma come se qualcosa tra di noi mancasse. Parlavamo di un sacco di cose e presto mi sono reso conto che faticava ad accettare quella condizione di incertezza, e che non si stava lasciando trasportare tranquillamente, come me, per rifiatare dopo un periodo storto, ma che era più un andare alla deriva il suo, piena d’attesa per qualcosa di diverso. Solo in quei nostri momenti, lei si scioglieva da tutte le ansie, e stavamo bene.
Nessuno dei due ha mai remato per scappare via e non farsi prendere, ma siamo solo scivolati sull’acqua, anche se sempre con quella specie di maledetta distanza di sicurezza. Sta sera ceno con lei, magari è l’ultimo atto, mi ripetevo ormai alla fine di ogni giornata. O magari scoperemo tutta la notte e ci ameremo tantissimo, fino a domani mattina, quando tutto tornerà come è sempre stato, nell’amore e nella vita, cioè precario.
E infatti, un giorno l’ho persa di vista, semplicemente. Forse mi ha fregato di notte e si è appartata in qualche insenatura, da sola e senza dire nulla, lasciando che proseguissi nel solito, lento scorrere notturno, che aveva come attracco il mattino seguente, in cui il primo a svegliarsi, avrebbe aspettato il saluto dell’altro; oppure ha trovato una vela per salpare, o magari l’aveva già, e quella notte ha semplicemente deciso di usarla; o forse la corrente è cambiata, differente per me e per lei. Può essere che abbia gettato l’ancora mentre io dormivo, appoggiandola dolcemente sul pelo dell’acqua. Me la immagino con quelle sue piccole mani, fare tutto con leggerezza, senza il minimo rumore per non svegliarmi. Faceva ogni cosa con una delicatezza ineguagliabile, come se sfiorasse gli oggetti, invece che tenerli in mano per appoggiarli o spostarli; e io restavo incantato nel guardarla sistemare le sue cose.
Non ho dovuto strapparla ad un uomo, convincerla di essere io quello giusto, ma ho provato ad alleggerirla dalla sua insoddisfazione, dalla spasmodica e delirante ricerca, se perseguita troppo a fondo, del ‘chi sono? Perché sono qui? E quali sono il mio ruolo e la mia strada?’. Ci vogliono i nervi saldi per indagare alle profondità degli abissi, e reggere poi il colpo se non si trovano risposte o ci si convince di non essere sulla via giusta per trovarle. Da parte mia, ho soltanto provato a farle accettare il fatto che sia ingiusto e inutile esigere da se stessi tutte quelle cose, soprattutto d’un fiato, e tutte assieme, ma non ce l’ho fatta. Non siamo mai riusciti ad amarci sulla stessa barca, ma ci siamo sempre seguiti a vicenda, scivolando assieme per tanto tempo, e non saprei nemmeno dire quanto; ogni tanto tenendoci per mano, sporgendoci e baciandoci, ma ognuno sempre dalla sua imbarcazione poco stabile. E mi son chiesto milioni di volte, durante quelle giornate in cui al massimo ci scambiavamo sorrisi, se ne valesse la pena di soffrire così, per me e per lei. Mi sono risposto di si, che ne è sempre valsa la pena aspettare di poterci ritrovare in qualche angolo meraviglioso e fare un altro di quei bagni insieme. Comunque, so che in ogni caso non si volterà mai a guardare se ci sono, o per vedere se non sono ancora troppo lontano per gridarmi qualcosa o farmi un qualsiasi cenno, e rimangiarsi la decisone presa. È questa risolutezza che mi sta uccidendo, in questa leggera navigazione, sdraiato e senza interesse a stabilire una rotta. Con tutto me stesso mi sto sforzando di guardare avanti, nonostante questo dolore che mi monta addosso, sentendo come un intruglio di stati d’animo bollire nello stomaco, e poi salire, salire ancora fino a non so esattamente dove, forse in testa, in faccia, in gola, ovunque da quelle parti, incontrandosi con, boh, non ne so un cazzo della genesi delle lacrime, esplodendo letteralmente in un pianto che mi annega la vista. Quattro o cinque gocce, grandi e piene come noci, colano pesanti sulle guance; e non ci posso credere che non ci sia davvero più alla portata della mia vista, ed è come se soffocassi, nonostante questo lontanissimo orizzonte, spalancato e sdraiato tranquillo davanti a me, appena illuminato dall’alba che sale. Ancora una volta, ho capito che è dalla sofferenza che provi che ti rendi conto di quanto hai amato. Perché sono sicuro d’aver amato, e posso dire che entrambi avevamo capito di quale pasta fosse fatta quel nostro amore. È stato intensissimo. Ma non è andata, e non so davvero perché. Cerco di distendere il viso, per recuperare un sorriso, uno solo, tra tutti quelli che lasciamo sparsi in un presente felice che se ne è appena andato, e ritrovandolo in mezzo a questa ingorda carrellata di bellissimi momenti passati con lei; ma ho gli occhi gonfi, e niente è così nitido da poter essere inchiodato definitivamente nella memoria.
Sento le lacrime spezzarsi sulle mie guance, ormai secche, asciugate dal vento. No, non ne descriverò la bellezza, perché la felicità non è un problema da risolvere e di cui raccontare qualcosa. L’ultima cosa che mi resta da dire, è che avremmo potuto sorridere di più assieme. Ma che importa?

Pietro Scagliarini – Cometa

Troppo tempo trascorso
ai margini dell’universo.
Tanto vagare, tanto ricercare
quel Sole
che solo potesse vincere la paura,
la rassegnata accettazione
di spazi isolati,
glaciali, tenebrosi,
dove solo poter vivere
senza dover soffrire.
Percepire lo spettacolo,
il fluire del tutto,
meraviglia per chi è spettatore ,
troppo spesso sofferenza
per chi, agendo, procede cieco.
Ma l’anelito di vita,
quando meno lo si aspetti,
sempre attrae a sé:
forza ogni volontà,
ogni piano, ogni progetto.
Allora il percorso,
nel suo lento avvicinarsi all’ennesima galassia,
cambia brusco traiettoria,
ridestando in un momento
reminiscenti realtà
in un crescere di luce,
di presenze, di calore.
Poco a poco
il guscio ormai glaciale si sfalda
scomparendo,
pronto a svelare, al ritrovato Sole,
l’antica e splendida natura
da troppo tempo ormai
celata.

(dedicata a Mami Lana)

Pietro Scagliarini - Me in te

La testa dondolante
osserva il porto braccio
che emana bagliori
rossi e bluastri
elargendo vita
mediante tubature
di ingegnose menti.
La mia anima procede oltre:
inebriata dal vino vitale,
condiviso con altri conviviali
ora assenti,
medita su me stesso
scisso in una miriade di gocce
come l'uno nel molteplice,
nuvola in pioggia
portatrice di vita.
Un vago sentore
si fa sempre più nitido
dentro me:
essere partecipe del tutto
e partecipare al tutto.
Me in te
come te in me.

Pietro Scagliarini – Maggio romano

Boccheggiare in metro
accalcato tra persone sconosciute,
respiri che tolgono respiri,
volumi che sottraggono volumi.
Caldo afoso non mitigato
da impianti sufficientemente adeguati.
Lo spazio vitale tende asintoticamente
a quello di una microscopica formica.
Ma non è questo che mi rende vittima
di una claustrofobica assenza...
la tua.
Potrei stare piacevolmente pressato
anche tra migliaia di persone
se fossero tutte come te, splendidi cloni,
rimanere senza fiato per l'intero tragitto
solo per non privarti dell'aria di cui necessiti
per esistere e sfoderare quel sorriso
che solo sa saturarmi l'anima!
Sopporterei ogni condizione climatica
senza battere ciglio
per stare vicino al tuo corpo,
alle tue infinite manifestazioni,
Sole che sa darmi luce e calore.
Annienterei me stesso per te
perché in te sono me stesso.

Calogero Pettineo - La forza dell'Universo

Osserva
come la luce avvolge lo spazio
mentre il silenzio stornella nell’aria
accompagnando il morire.

Osserva
il riposo puro del paesaggio
associarsi in una cornice blu mare
e scandire ogni palpito di vita.

Osserva
come l’indiviso si spegne e s’innova
negli occhi che brillano di sole
percorrendo il giorno.

Osserva l’amore dell'Universo.

Francesco Cellie - Ancestramante

Riscoprirmi per stupirmi di ciò che il passato si sarà
come cumulo di nembi alla polla tornerà,
perfezione di un dipinto che Celeste reimpastò,
una costola per seme di miracolo zuppa sia,
veloce è la lentezza che sfiorisce ed appassisce
serve a volte grand'incendio al verde nutrimento.

Il dolor delizia sol all'inizio è gran tormento
con martello si scolpisce piccol fiore da donar
e la piuma di un amore che montagna spianerà
io ti dono un'emozione per il costo di un amore.

Prendo solo se ti resta una campanella...

Osservar dall'altro lato che si rompa il tuo silenzio,
all'appello fui la zeta e la mia ombra corre già
basta il sole che mi scalda che l'esempio seguirò,
non ho nulla da inventare solo codici da notar
taluni pesci controcorrer anche alla sorgente....

Dislivelli per ciclopi son dolci le discese all'occhi e allocchi di un amore
m'incateno allora all'acqua scendo i fiumi fra i miei fiordi
sempre schiavi dei ricordi che dimenticato ho già,

salvi ancor da quel massacro che intorbidiva il sacro

ovunque egli vada ogni volta approderà
padron delle sue scelte ma non della sua vita
perché dono rifarà.

Alla fine ebbi solo una compagna
che a me fedele si legò dal primo mio vagito ti ho sempre ripudiato
e mai ti ho cercato ma l'ultimo mio vero bacio
dopo aver altri amato a te io donerò.

Ma il mio vanto sopraffino è che non ti ho mai tradito
ma sarai fiera di me che seppur esule son tornato
molto ad altri avrò donato,
all'appello dell'amore siine certa risponderò
è scritto, doveroso, forse doloroso ma l'amor m'appellerà.

40 gradi di gelide fiammine spente da solite slealtà al 3 riunite in sola verità.

Ma vendetta li ha negati e non vi è soldo che li appaghi e di chieder hai pudore
e più egli ti confessa più ad erger manifesta rabbia d'aver già altra conquista.

Ed egli oscura l'orizzonte con la furia consapevole di Davide,
e nel fumo si allontana e ritorna la sirena che il suo riscatto chiede ed inerme che l'osserva,
ma egli non prova placato ancor una volta ha il suo segreto e nessuno mai lo scalfirà,
cala ancor l'ultima coltre e piombo in cuor è l'albo di ieri ha corso ancor
antimeridian ma è fiero di lei e di me e di ciò che non saprò.

Come antico samurai ebbi e t'ebbi in dono dall'inizio e tu ultima sarai.