mercoledì 1 giugno 2016

Chiara Pelossi Angelucci – Dall’alba al tramonto

Oggi mi sveglio presto, gli uccellini cinguettano senza sosta, ma il sole non è ancora sorto all’orizzonte. Lui all’alba e io al tramonto di questo effimero passaggio che è la vita terrena. Una folata di vento spalanca la finestra e porta con sé profumo di ricordi, una nota dolce-amara pervade la stanza. Respiro a fondo, vorrei catturarla, farla mia, portarla nel mio cuore stanco e invece lei se ne va. Me ne sto qui a fissare il soffitto sperando che la memoria mi conduca lontano, le mie gambe non possono più farlo. Sono vecchio, con la pelle di cuoio e lo sguardo slavato. Aspetto paziente, ormai il tempo non è più un problema, malandrino scorre avanti e indietro senza curarsi di rallegrarmi o rattristarmi. Ed eccole arrivare, prepotenti, le emozioni. Quanto vorrei tornar bambino, con il gelato che mi cola sul mento, sul petto, nella sabbia. Le mani appiccicose e i capelli al vento, il profumo delle creme da sole che aleggia nell’aria cristallina di una mattina di giugno. La mamma che mi sgrida se le faccio ombra e i miei fratelli che preparano la pista delle biglie. La certezza che la vita sarà per sempre così e che nulla ci turberà mai. Mi sento forte, invincibile, immortale. Guardo le ragazzette che, con le loro gambe smilze e i reggiseni decorativi, credono di possedere il sapere, mentre chiacchierano fra loro con fare saputello, senza mai degnarci di un’occhiata. L’unico costantemente al centro della loro attenzione è il fratellino piccolo di qualcuno, il tenero della spiaggia. Guardo il mare che placido va avanti e indietro da sempre, senza sosta ogni giorno da quando esiste il mondo. Sarà mai stanco? Mi chiedo grattandomi il naso, sul quale si è posata una zanzarina affamata. Corro verso la distesa d’acqua più affascinante che esista e glielo chiedo sussurrandole piano, in una lingua sconosciuta che mi sono inventato per non farla capire agli altri. Entro gentile fra le onde sul bagnasciuga, faremo male all’acqua quando la calpestiamo? Chissà se le piacciamo o se invece le diamo fastidio? Chissà da dove arriva e dove finirà una volta evaporata? Annaffierà dei fiori grazie alla pioggia, disseterà un bambino come me da un’altra parte del globo o finirà imbottigliata su un tavolo di un ristorante sconosciuto? Mentre mi allontano dalla riva camminando tranquillo ne accarezzo la superficie increspata dal vento. Come faranno i pesci a nuotare se il mare si muove così tanto? Le correnti li trasporteranno a destra e a manca senza il loro volere poverini. Tuffo la testa sott’acqua e osservo. Mi bruciano gli occhi, ma non me ne curo, resto sotto tutto il tempo che il respiro mi permette. Mi immergo ancora, ancora e ancora. Qui pesci non ce ne sono, esco di corsa a prendere il materassino che giace incustodito vicino alla sdraio di Marta, la bambina più bella che abbia mai visto: soffici ricci rossi le incorniciano un viso sul quale sembra abbiano macinato del pepe. Alza lo sguardo dall’enigmistica di sua nonna senza realmente vedermi, disturbata forse dal rumore che produco trascinando via il materassino giallo. Nessuno sembra notarmi e io ne sono ben felice, non desidero condividere i miei pensieri con nessuno, ho una missione in testa. Entro di nuovo nell’acqua e salgo sul materassino, mi spingo con le braccia; le gambe non arrivano in fondo alla plastica gialla gonfiata dal fiato di papà prima di tornare in città. Immergo di nuovo la testa e mi spingo sempre più forte, sempre più al largo. Le braccia sono indolenzite e i pesci non si fanno vedere, starò facendo troppo baccano, me lo dice sempre la mamma e forse ha ragione anche stavolta. Sposto le braccia a lato del corpo e nel farlo scivolo, l’acqua qui è gelida me ne rendo conto subito. Stavolta sono sicuro di averle fatto male, sono entrato con prepotenza e senza riguardo, proprio come sottolinea spesso papà quando arrivo a tavola: affamato, con la lingua penzoloni e le gambe che scalpitano. Me ne resto fermo lì, senza più forza per rimontare sulla zattera gonfia, sulla salvezza che a volte ci sta accanto e nemmeno ce ne accorgiamo. Mi lascio attrarre dalle spire dell’acqua, forse ora che sono tanto fermo qualche pesce verrà a salutarmi. Scendo, scendo sempre più a fondo. Com’è profondo il mare, mi dico guardandolo per la prima volta negli occhi. Lo sento intorno a me e finalmente lo vedo: un branco di pesci nuota placido. Risalgo in superficie sputacchiando, le onde la increspano, ma sotto regna la tranquillità, la pace. Vorrei tornare sotto, ma è meglio che esca sennò poi mamma chi la sente? Appoggio il materasso vicino a Marta e mi siedo accanto a lei sulla sdraio. Aver rischiato una sgridata mi rende audace, le tiro i capelli e le schiocco un bacio sulla guancia. Da allora di baci ce ne siamo dati tanti negli anni a venire. Ne abbiamo vissute di avventure! Me la sono sposata quella fanciulla con la fissa per le parole crociate, per le crêpes alla marmellata e per l’ordine. Insieme una vita intera, il tempo giusto per coltivare la telepatia, l’amore oltre le apparenze, la felicità nella malattia. Sulle montagne russe della vita ho pensato spesso alla profondità del mare, al suo placido cuore sereno, alla sua capacità di non scomporsi anche quando la superficie è strapazzata dal vento e dalle correnti, quando perfino la luna sembra volerlo trascinare avanti e indietro.  Ci ho riflettuto quando tutto intorno a me sembrava andare a rotoli, quando impazzivo cercando il bandolo della matassa, quando le emozioni frustavano la mia superficie come il vento fa con il mare, rischiando di mandarmi alla deriva. Ho richiamato spesso alla mente i pesci che nuotavano tranquilli in quel giorno di giugno, ignari di ciò che si consumava in superficie. Quella breve esperienza ha avuto il potere di segnare la mia vita: mi sono prodigato per diventare come il mare, per sviluppare la necessaria profondità per affrontare le avversità della vita senza scompormi.  Ce l’ho fatta? Forse sì, ma quel che mi rende fiero è aver tentato di trasmetterlo alle persone che hanno vissuto intorno a me ricordando loro che: “Anche quando le onde ti sbatacchiano c’è sempre un posto dove potrai rifugiarti: dentro di te, nel tuo imperturbabile animo, che può essere profondo, profondo come il mare.

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