giovedì 30 aprile 2015

Pietro Rava - La favola del ghiro

Sul finire del mese di dicembre di tanti anni or sono in una lontana località un piccolo ghiro che riposava nella tana in semiletargo fu svegliato da uno strano, fitto passaggio di animaletti piccoli e grandi.
Incuriosito chiese ad un uccellino che si era fermato a riposare che cosa stava succedendo.
L’uccellino rispose che stavano andando tutti a salutare l’arrivo di un grande re laggiù alla periferia del grande villaggio dentro la caverna-mangiatoia su cui brillava una grande strana stella molto luminosa.
“Un re? Ma ne abbiamo sempre avuti.”
“Si Ma questo è speciale, vieni anche tu, vedrai e capirai.”
“Va bene mi pulisco il mantello e la coda poi arrivo piano piano.”
Per strada nel bosco incontrò un micino, lo salutò e gli chiese “Vai a caccia?”
“No, questa sera c’è la tregua universale, vado a rendere omaggio al grande personaggio appena nato, seguo la mia mamma, ciao.”
Poco più avanti un lupacchiotto, un orsetto ed un paffuto cucciolo di nutria trotterellavano felici.
Stessa domanda e analoga risposta “Noi andiamo anche in rappresentanza delle nostre specie così perseguitate anche senza ragione da persone malvagie. Chiedi informazioni al grande cavallo che pascola ai margini del bosco ed è già tornato dalla visita,”
“Ciao grande cavallo, come sei alto, puoi dirmi quale personaggio troverò laggiù?”
Il cavallo buono sorridendo rispose: “Un bambino eccezionale e unico, pensa che tre miei simili con la gobba hanno portato da molto lontano tre re che chiamano Magi per salutarlo, accoglierlo ed offrirgli doni.”
“Vai pure stai solo attento a non farti calpestare, c’è molta folla,”
Il ghiro cucciolo finalmente arrivò, estasiato e felice per tanto splendore in così umile giaciglio, salutò commosso con deferenza e si avviò per tornare a casa.
Qui incontrò una formichina la quale disse: “Io non riesco ad arrivare così lontano, puoi raccontarmi tu?”
“Si, ma deve rimanere un segreto da tramandare a figli e nipoti.
Quel piccolo grande re è venuto per aiutare tutti noi ed anche gli umani buoni, quelli che ci amano, ci rispettano e non distruggono le nostre tane ed il nostro ambiente,ed anche i malvagi purchè si pentano.
Torna pure a riposare nel tuo rifugio, questo è un grande giorno felice e ripeti alla tua società questa breve poesia in metrica HAIKU:

E’ nato un re
per tutti noi e per voi
gloria immensa

Buona notte formichina.”

mercoledì 29 aprile 2015

Aldo Giordanino – Don’t cry for her Palestina

Good morning heartache...
...thought we said goodbye last night...
...but here you are with the dawn...(1)
      
Qualche volta passi ancora per quel punto di Asti che ti ricorda Gerusalemme, prima che faccia giorno, quando proprio non riesci a dormire e un'angoscia totale ti impedisce di rimanere a letto. E' troppo presto per andare al lavoro. In momenti come questi capita di riflettere sulle tristi parole di "Good Morning Heartache", un motivo che Billie Holiday incise subito dopo la guerra, mentre tentava di disintossicarsi dall'eroina. Una grande del jazz che ritraeva alla perfezione il tono pacato e crudele della fine della speranza. Il senso estremo della sconfitta che descrisse Hemingway. Ripensi ancora all'istante in cui notasti la strana somiglianza tra le due città, mentre il pullman si allontanava dalla porta di Damasco.
Fai due conti e ti accorgi che sono passati dieci anni da quel viaggio.
Ti piacquero molte cose della Terra Santa, soprattutto Masada, con i resti di un'antica battaglia. Ma fu a Gerusalemme che provasti le emozioni più intense. Con il Vangelo come guida turistica. Sin dal primo minuto, quando, subito dopo le alture di Betania, comparvero le mura che fece costruire Solimano il Magnifico, illuminate dall'ultima luce del giorno. Fu come contemplare a lungo le forme nude e perfette di una donna bellissima. La capitale israeliana contiene i simboli di gran parte dei ricordi del mondo. Quartieri abitati da gente che ha deciso che Dio esiste, e di cui vede un segno in ogni pietra. Un luogo che fa capire che è davvero un peccato vivere senza di Lui. Un atavico tentativo degli uomini di legarsi alla memoria dell'universo. Molti pensano sia la città della speranza, la città di Dio. Una cascata di calde sensazioni ti avvolse quando percorresti la strada di Cristo verso la morte e pregasti tra gli ulivi del Getsemani, cercando di rievocare il primo Giovedì Santo della storia.
Quasi sempre c'è una donna nelle ore più belle della vita di un uomo. Fu infatti una ragazza che capitò sulla tua strada poco lontano dal Monte degli Ulivi a rendere memorabili quei giorni di dieci anni fa. Incontrasti Rania per caso, come sempre deve succedere per riuscire a riconoscere l'azione della mano di Dio. Ti piacquero immediatamente i suoi occhi straordinari, tra il verde e il nocciola, la pelle scura tipica delle giovani palestinesi, i capelli neri e spessi ai quali si arrendeva il vento del deserto della Giudea. Provasti una dolce fitta al cuore, quando per la prima volta toccasti la sua mano. Fu molto facile innamorarti di lei. Possedeva una bellezza totale che andava oltre l'avvenenza, una perfezione generata dall'affinità di due spiriti sinceri che si erano già incontrati prima del mondo, all'alba della vita. Rania ti parlò in un linguaggio universale, con parole che andavano al di là delle parole, in un alfabeto senza tempo. Avevi sempre l'impressione di trovarti davanti ad un'alba sulle montagne del Libano. Ti insegnò che si può essere felici anche solo con una bibita e un panino. Ritornasti ad amare la vita, che in quelle ore ti disse delle cose bellissime. I vostri spiriti si protesero l'uno verso l'altro, incuranti di tutto. Nacque qualcosa di meraviglioso fra voi, un legame fuori dalla portata dei pensieri, più antico della Stella di Davide, della Mezzaluna, della Croce. Per un istante vi fu dato ritrovare una fede primordiale, predicata prima di tutte le divisioni, quando era solo l'essenza di Dio a parlare in un mondo bambino. Provasti emozioni che non si riescono a descrivere. Battiti del cuore rubati all'eternità. Una felicità assoluta.
L'atmosfera da scoppio imminente di una guerra, una costante in quella terra sacra, rendeva tutto passeggero, limitato, qualcosa da vivere intensamente, fino in fondo. Ogni minuto insieme pareva un anno di amore appassionato. Una straordinaria sequenza di attimi perfetti che non pensavi fosse dato assaporare agli uomini. Aveva il gusto della follia innamorarsi di una donna che conoscevi solo da tre giorni, per di più straniera e di un'altra religione. Troppe, almeno secondo l'opinione comune, le cose che vi dividevano.
Ma vale sempre la pena rischiare tutto, prendere il cuore e gettarlo come una fiche in un'estrema scommessa con il destino. E' fantastico metterlo sopra una casella di un immenso panno verde in un invisibile casinò. Non serve a nulla giocare sul pari o sul dispari, sul rosso o sul nero. Se dici: "voglio soltanto che sia amore", c'è solo un numero su cui puntare. E, quasi sempre, purtroppo, si perde. Anche questo fa parte del gioco. E' la vita provarci. Anche perché, nello spazio che intercorre fra il "rien vas plus" e l'istante in cui la pallina finisce sopra un numero che mai avresti voluto che uscisse, riesci qualche volta a vivere uno spiraglio di vera felicità. Una sconfitta elettrizzante. Anche se è davvero amaro il momento in cui il croupier si porta via la tua ultima giocata, tutto quello che ti era rimasto, e una parte di te muore prima di morire.

...Wish I'd forget you
but you 're here to stay
it seems I met you
when my love went away...(2)

A volte una canzone riesce a ritrarre molto bene certe situazioni della vita, specie i momenti in cui sembra di ascoltare la voce fuori campo all'inizio o alla fine di un bel film. Succede spesso agli eterni motivi del jazz. Anche dopo mezzo secolo e oltre raffigurano alla perfezione ciò che sta dentro ai cuori tristi di inizio terzo millennio. Come se nulla fosse cambiato.
Cammini da solo, avvolto dalle tenebre nebbiose dell'inverno astigiano, nel territorio dell'antico ghetto ebraico. Sembra che il sole non abbia nessuna voglia di sorgere. Viene verso di te un vecchio. Noti che assomiglia all'uomo che ti venne in aiuto negli ormai lontani giorni israeliani. Si può incontrare davvero chiunque a Gerusalemme. Era un italiano che aveva scelto di morire in quella città. E' davvero un luogo ideale per andarsene da questo mondo. Ammirasti subito la serenità con la quale viveva l'ultimo capitolo dell'esistenza. Ti piaceva il suo aspetto rassicurante e curato. Un angelo di almeno ottant'anni era capitato nella tua vita, al momento giusto, in una terra dove è facile credere alla presenza di spiriti superiori.
Rivivono dentro di te le parole che pronunciasti, vincendo la timidezza tipica degli uomini cresciuti sulle alture del Monferrato:
"ho conosciuto una ragazza qui a Gerusalemme. L'ho vista l'altro ieri per la prima volta...".
"Resta con lei", ti interruppe, "segui il consiglio di un vecchio. Da queste parti ci si può imbattere in cuori davvero meravigliosi. Non è un caso che la Vergine sia divenuta madre a pochi chilometri da qui. Credimi, una donna speciale è ciò che di più bello possa capitare nella vita di un uomo. E' il massimo avere accanto una che ti ami sul serio, chiunque tu sia, pazza di te, disposta a darti l'anima anche se sei un figlio di puttana...".
A volte hai come la sensazione di essere ancora abbracciato a lei. E' incredibile come certe donne lascino la memoria del contatto della loro pelle anche dopo tanto tempo.
Scorrono come fotogrammi di una vecchia pellicola le emozioni che provasti nei tre mesi di intense lettere che seguirono. Un angolo del tuo cuore continuava a restare tra le aride montagne della Giudea.
Fu a metà di un foglio in un tardo pomeriggio di febbraio che scrivesti senza paura:
 "...You...  ...my wife...   ...Why not?...".
Fu l'apice dell'illusione. Un grande momento terribilmente breve, come sempre succede le poche volte che capita qualcosa di memorabile.
Per fortuna il tempo lascia intatto quel che di bello c'è in un istante. Le sofferenze, la noia, le difficoltà vengono invece un poco ogni giorno portate via dall'azione di un lento ma esperto falegname invisibile. Dentro di te infatti non è rimasto che un vago ricordo, poco più che un frammento di una pagina ormai ingiallita, del momento in cui fosti costretto a leggere delle tristi parole:
"...La mia famiglia ha combinato il mio matrimonio con un uomo che nemmeno conosco...   ...Ha vent'anni più di me... ...Da queste parti si usa così... ...Avrei voluto che fossi tu a togliermi l'abito da sposa...".

Da allora non hai avuto più notizie di Rania. Hai pensato spesso in tutti questi anni ai suoi occhi e a quel cuore anni '50. Speri solo che in un modo o nell'altro abbia trovato il modo di essere felice. C'era anche un "forever" scritto nell'ultima lettera. Una parola che non ti fa perdere la speranza. Come se fosse dato incontrarla ancora una volta. Prima o poi. Chissà.
Certo che sono davvero strani gli uomini. Finiscono quasi sempre per provare i sentimenti più forti, spesso una venerazione al limite del religioso, per una donna con cui non sono riusciti a fare l'amore. Anche dopo molto tempo è come se si trovassero davanti ad un ideale, ad un'eterna speranza. Forse perché resta dentro indelebile l'immagine di qualcosa che non è stato, ma che sarebbe potuto essere bellissimo.
Ancora oggi tieni appoggiati l'uno accanto all'altro sul comodino accanto al letto il Vangelo e il Corano, mentre il sangue è tornato a scorrere su quel suolo consacrato che dovrebbe essere la patria della concordia. Ma ci sono troppi ricordi laggiù perché le armi possano tacere a lungo. Per fare la pace molto spesso è necessario dimenticare.

...Stop haunting me now
can't chase you nohow
just leave me alone...(3)
         
Nel cielo sopra Asti comincia a farsi giorno. C'è una bella luce. Dentro di te sembra non avere nessuna intenzione di placarsi il forte stato di angoscia. Ti metti a cercare un bar. Da qualche parte ce ne sarà uno già aperto. Forse dopo una buona colazione ti sentirai meglio.
Ora tutto è diverso da quei giorni a Gerusalemme. E' iniziato un nuovo decennio, un nuovo secolo, il terzo millennio dell'era cristiana. E' finito il tempo delle utopie, ed è divenuto molto difficile continuare a sognare. Ma soprattutto sei tu ad essere cambiato. Oggi non riusciresti più ad innamorarti in settantadue ore. Hai troppa paura di farti male per gettarti in una storia senza chiedere nulla in cambio, incondizionatamente, come facesti con Rania. Ora però leggi i giornali, mentre dieci anni fa non ti importava nulla di quello che succedeva nel mondo. Ti soffermi spesso su dieci righe che raccontano ciò che è avvenuto all'angolo di una strada della periferia di Torino, o su una pagina che tenta di spiegare l'assurdità di un altro conflitto. Ti interessano i fatti della vita. Le cose vere. Guardi con attenzione ogni immagine che proviene da Gerusalemme. Ma non è mai capitato di rivedere il volto di quell'angelo palestinese. Forse non è nemmeno più in Israele. Ogni volta che nella buca di casa vedi una busta con un francobollo strano qualcosa ti si muove dentro. La speranza, forse. C'è sempre un istante in cui pensi che si tratti di lei.
Le cose non vanno male. Ma non sarà più come allora.
Molto spesso, specie il venerdì sera, come un vecchio Humphrey Bogart di provincia, dopo essere passato per l'angolo della città che ti ricorda un quartiere gerosolimitano, finisci in un bel bar del centro. Siedi sempre allo stesso tavolo, con le spalle appoggiate al muro e lo sguardo rivolto verso la porta. E a volte resti fermo per ore a guardare l'uscita. Magari potrebbe entrare una donna portata da un caldo vento di scirocco. Sai che è difficile. Ma non si sa mai. Del resto a Gerusalemme imparasti che ogni cosa può essere possibile.
E' ormai mattino e in qualche modo dovrai trovare la forza per affrontare questa giornata. Mentre ti rechi al lavoro pensi ancora a "Good Morning Heartache". A volte anche una grande tristezza riesce a scaldare il cuore. E Lady Day davvero se ne intendeva di disperazione.
Per fortuna da qualche parte si fa ancora del buon jazz...

...might as well get used to you...
...good morning heartache
sit down...(4)

(1) Buon giorno tristezza...
...pensavo ci fossimo detti addio ieri sera...
...ma eccoti qui con l'alba...
(2)...Spero di scordarti
    ma sei tornata per rimanere
    sembra che ci siamo conosciute
   quando il mio amore se n'è andato...
(3)...Smettila di perseguitarmi
    non riesco a scacciarti
    lasciami in pace...
(4)...tanto vale abituarmi a te...
 ...buon giorno tristezza
    siediti qui

lunedì 27 aprile 2015

Mariuccia Sciutto - La conversazione

Quando sarà

un filo  intrecciato di parole
dai suoni invitanti e persuasivi
persi in un paesaggio di
confidenza ed intimità
su sentieri impolverati
di complicità

in lontananza, il rumore della strada.
Frasi in un leggero chiacchierio,
voce nitida a guardia delle emozioni
evocate con gesti lenti e
repentini, in una conversazione
di scambio d’intenti e promesse
 
sarà,  un  foulard d’ acceso
arancione.

Mariuccia Sciutto - D'Amore

…che si possano misurare
con sole carezze e baci !

Nell’ alcova del nostro albergo, sul lago
tra lenzuola fiorite
il bianco,
abbracciava batter di ciglia.

Immersi nel presente
svestiti di passato e futuro:
la passione avvinghiava i respiri.

Gli animi, altrove
in lontananza affacciati
alle finestre di
rincorsi sogni e fughe d’amore
in cortili solitari,
dagli antri in penombra.
Correvano  coriandoli in aria.

Alle mani giunsero,
unici testimoni,
ceste di  ginestre.

Dopo, a sera
fu nuovo
mattino.

Mariuccia Sciutto - Nidi di sabbia

Imita
il respiro del mare
l’abbandono
che imbriglia umori e sapori
in profondità nascoste.

Tempo sospeso in nidi di sabbia
nel cuore, anfratti celati,
custodi dei sospiri d’Amore
in un batticuore d’estasi
e tormento.

Nell’attimo fuggente
il respiro si acquieta e
tralascia salsedine
in brezza marina
e baci.

giovedì 23 aprile 2015

Mariangela Romanisio - Dalla luna alla donna

Il sole mi cinge
e in faccia mi staglia
i crateri;
assorbo i suoi raggi,
da luna ti mando
i  bagliori sul viso,
ti ombreggio le ciglia

ma…

non per me
ti brillano gli occhi,
quei raggi li manda
l’amor che ti cinge
le spalle stasera.

Mariangela Romanisio - Dalla donna alla luna

L’amato mi cinge
e luci mi accende negli occhi:
assorbo i suoi raggi,
da donna ti guardo,

o Luna che piena ti stagli
nel cielo sereno
e, come me,
ti sfolgora il volto,

son luci i crateri,
dai raggi che manda
il tuo Sole
ogni sera.

martedì 21 aprile 2015

Mariangela Romanisio - Il cielo che ama

Il cielo ride
con in bocca le stelle
una notte di luna
di maggio
e canta
il suo amor per la terra
con la pioggia sui campi
un mattino.

venerdì 17 aprile 2015

Maria Stella Picaro - Serpente

Drago pungente,
aspiro il tuo odore fragrante;
il letto sa ancora di te.
E lei - come può non notare
il sigillo di un’altra,
i tuoi sguardi sfuggenti,
il tuo sesso assente,
intriso ancora, tuttora e pur sempre di me?

Amante infedele, ti aspetto,
regina ed ancella ad un tempo,
in un tempio profano.
Donna perfetta, rifugio sicuro, antro di strega, alcova segreta.
S’infrange in me ogni tuo guscio.
Le maschere giacciono a terra, tra cocci di vita, indumenti strappati;
tra ombre e candele, tra incenso e poesie - e ricordi sgualciti.

Poeta sinistro, signore mio e schiavo. Sussurri che inebriano, le tue metafore dilaniano.
E neppure una foto - alle amanti non tutto si accorda…
Inchiodata da te tra lenzuola sudate, raffreno il mio pianto. E’ gioia o dolore?
L’ho creduto amore. Non era che effimero spasmo.

Asfissiati da tutte le false promesse,
restiamo invischiati in cristalli di amaro miele,
inutile ormai, come il canto di un sordo,
poesie senza rime,
un verbo nudo di abbracci e di sguardi.

L’amore dimora altrove, lontano da trucchi e corsetti, estraneo a tacchi e rossetti.
S’irradia dal sole, bisbiglia nel vento, attende in un parco, brillante di viole e di rosee mattine.
Si affaccia a una culla inattesa, da dove risplende un sorriso innocente.
E una voce dorata risuona.

Sofia, Misterica Sintesi d’Anime.

Maria Stella Picaro - Ondina

Nel suo canto il mare mi narra,
tramanda l’amore del sole per l’erba,
mi svela il mistero del suono, ed acerba
io ascolto, immatura, bambina,
il canto di questa natura indomata, e respira
entro me un amore violento
che grida, e poi tace,
ritorna potente a spogliarmi
di tutti i miei dubbi e poi
giace, distrutto da tanta
impetuosa battaglia:
è l’amore del mare.

Nel suo canto mi sento narrare
le fiabe di quando ero bimba.
Dal suo moto ondoso mi lascio
cullare, cullare
e divento una ninfa
e svanisco al di sotto, al di là,
e mi fondo nel cielo notturno
specchiato nel mare…

Maria Stella Picaro - L'isola che non c'è più

Lontano dall’ardore degli amanti,
esiste un luogo di pace,
dove i profumi della natura
si mescolano all’odore della carne
ancora livida di passione.

Là i corpi si riparano
e giacciono in un dolce tepore,
inestricabilmente
l’uno presso l’altro.

Il loro abbraccio li custodisce
durante il casto riposo
in attesa che nuova passione
arrivi a destarli.

mercoledì 15 aprile 2015

Gastone Campanati – Amore è vita

“Caro fratello devo darti una bella notizia”, Aldo si allarmò al pensiero di ciò che avrebbe potuto sentire e infatti, Mauro gli disse:
“Io e Nora avremo un bambino”.
E' un annuncio che di solito riempie di felicità i parenti e gli amici dei diretti interessati ma in quel caso, Aldo, intravide un uragano in avvicinamento. Tre anni prima Mauro, ormai quarantenne, durante uno dei suoi viaggi per diporto in terra di Marocco s’innamorò di una ragazza del luogo e fedele agli insegnamenti di Susanna Tamaro, che aveva appena scritto -Va’ dove ti porta il cuore-, si fece Musulmano, legittimò la sua relazione con una cerimonia nuziale in terra d’Africa e si portò l’amata in Italia. La diletta Nora arrivò senza valige, non possedeva nulla. Le sue poche cose erano stipate in una borsa troppo piccola per esser definita borsone e troppo grande per essere una borsetta. Quella sacca conteneva però qualcosa di inquietante che aveva il potere, come direbbe il sommo Dante, di -far tremar le vene e i polsi-. Un foglio compilato da un medico marocchino definiva Nora affetta da -Psicosi cronica dissociativa-. Prima del matrimonio a Mauro venne detto che la futura moglie, talvolta, era un po' depressa, ma la realtà si rivelò più grave del previsto poco tempo dopo l'arrivo di Nora in Italia. La vita vuota e annoiata dell'ingenuo Mauro, all'improvviso divenne frenetica. Le difficoltà conseguenti al suo matrimonio, anzitutto economiche, si accumulavano una sull'altra e coinvolgevano anche parenti e amici che gli volevano bene e non potevano lasciarlo al suo destino. Qualcuno aveva sperato che divorziasse subito dalla moglie, prima che quell’unione riservasse altre sorprese difficili da risolvere e...una sorpresa ora c’era: stava arrivando un bambino.
Ti rendi conto di cosa si tratta?”, chiese Aldo al fratello.
“Certo”, disse lui, “io ho 44 anni e Nora 38. Potrebbe essere questa l'ultima nostra  occasione per avere un erede. Tu non puoi comprendere”, proseguì un po’ risentito, “sei più vecchio di me, non hai figli e non so se ci tieni ad averne. A me l’idea di vedere crescere un bambino riempie d’entusiasmo e altrettanto posso dire di mia moglie. Questa novità potrebbe persino guarirla. Io l'amo e mi devo occupare di lei e del nostro futuro. Quando sta bene è allegra, ottimista, coinvolgente ed io spero che il bimbo in arrivo abbia il carattere che ha sua madre nei momenti migliori.”
-Mai interrompere un’emozione!- disse qualcuno. Pur conoscendo quella citazione Aldo dovette avvertire il fratello di ciò che sarebbe potuto accadere.
“E’ tutto  più complicato di come sembra”, gli disse.“Nora non potrà curarsi nel modo migliore per non danneggiare il feto e dovrà essere controllata, senza interruzione, nel reparto di psichiatria dell’ospedale. Ve la sentite di affrontare tutto questo?”
Mauro vacillò e assunse un’espressione che si poteva interpretare in vari modi: di meraviglia per il quadro che gli si era parato davanti, e sul quale non aveva ancora riflettuto, e di improvvisa ostilità nei confronti di chi, senza pietà, gli distruggeva un momento felice. Si concesse un lungo silenzio per riflettere sulla risposta da dare al fratello.
“Mi stai consigliando di farla abortire?” Chiese dopo un po’.
“Questa è una scelta difficile e nessuno al mondo potrà compierla al posto tuo o di tua moglie. Dovete però essere consapevoli di ciò che vi aspetta”, rispose Aldo.
“E già,” riprese Mauro, “tu sei quello perfetto che prevede e calcola ogni cosa. Non credi di essere un po' cinico? Non pensi mai che la vita possa presentare situazioni nelle quali è meglio abbandonarsi all'amore e alla speranza anziché al raziocinio e a una fredda valutazione delle conseguenze? Assomigli a quegli odiosi politici che parlano sempre di euro ed investimenti dimenticando ogni altra filosofia di vita.”
Seguì un'altra lunga pausa e, purtroppo, una nuova inesorabile barriera s'alzò a separare i due fratelli, già così diversi fra loro.
“Parleremo con il medico”, disse poi Mauro, “e seguiremo i suoi consigli.”
La tristezza di Mauro provocò in Aldo una pena profonda e tanta rabbia verso se stesso. Aveva disilluso il fratello e questo lo angustiava. Per sollevarsi il morale ricordò altre occasioni in cui avrebbe dovuto dargli utili consigli e non lo fece. Tre anni prima, per esempio, quando Mauro s'innamorò e decise di coniugarsi con una signorina africana di nome Nora, pressoché sconosciuta. Gli sembrò un'enorme sciocchezza. Si fece degli scrupoli ad intervenire e ora, più che mai, si pentiva per non averlo fatto. Dopo aver parlato con Aldo, Mauro contattò lo psichiatra di Nora e ne trasse giovamento.
“Sarà dura per i primi tre mesi”, gli disse lo specialista, “ma poi le cose si semplificheranno e anche voi proverete la gioia di vedere crescere un figlio.”
Aldo scoprì che quello stesso psichiatra, di fronte al desiderio di maternità di Nora, disse che solo se avesse interrotta temporaneamente la sua terapia avrebbe potuto prendere in considerazione una gravidanza, e lei lo fece senza esitare. Forse sarebbe stato più sensato se il medico l’avesse dissuasa da una simile scelta ma, a volte, gli psichiatri non si preoccupano troppo dei danni che certe soluzioni causano ai pazienti e alle loro famiglie. Iniziarono i guai. Nora cominciò a sentire delle strane voci ronzarle nella testa e inoltre divenne, inutilmente, iperattiva. Quando era sola, vuotava tutti i mobili della casa e rovesciava sul pavimento il contenuto delle scatole della dispensa; comprese quella del sale, del caffè e dello zucchero. Alla sera il marito rimetteva tutto in ordine ma il fatto si ripeteva il giorno dopo. Mauro, non potendo assentarsi dal lavoro per assistere la moglie chiese, ed ottenne, che i suoi anziani genitori la ospitassero durante la giornata. In altri momenti il cervello di Nora regrediva sino a renderla un oggetto inanimato. Ogni tentativo di coinvolgerla in qualcosa di costruttivo cadeva nel vuoto. Doveva essere vestita, nutrita, lavata e accudita come un neonato. I genitori di Mauro facevano del loro meglio per assistere la gestante e alla sera il figlio, dopo una giornata di lavoro, andava a prendere Nora e la riportava a casa; preparava la cena, aiutava lei a portarsi il cibo alla bocca, la lavava, la preparava per la notte e, per quanto possibile, cercava di riposare. Qualche volta Aldo e la moglie andavano a trovarli portandosi appresso la cena per quattro. Non serviva a nulla, se non a dimostrare a Mauro che non doveva sentirsi abbandonato. La situazione stava precipitando. La mamma di Mauro si ammalò per lo stress eccessivo e dovette entrare in ospedale; una sorella di Nora giunse dal Marocco per sostituirla nell’ingrato compito ma tutto fu inutile. Un Sabato mattina Aldo ricevette una telefonata disperata di Mauro, stava male anche lui e chiedeva il suo aiuto immediato. Aldo si precipitò a casa del fratello, lo trovò piangente e irrigidito; non poteva alzarsi dalla poltrona dov'era sprofondato e non riusciva a piegare le dita.
“Grida e inveisce in continuazione”, disse Mauro indicando la moglie, “non so cosa fare per calmarla e, come se non bastasse, non riesco a rimettermi in piedi.”
La moglie, esagitata, si spostava senza sosta da un lato all’altro del soggiorno. Forse non si rendeva conto di quanto stava accadendo. La sorella di Nora, all'arrivo di Aldo, assunse un’espressione fiduciosa. L’ammalata l’aveva minacciata e ora lei sperava che qualcuno l’aiutasse ad uscire da quella situazione. Aldo diede subito a Mauro il calmante che si era procurato in precedenza e afferrato il telefono chiamò senza indugio due ambulanze, una per la cognata e una per il fratello. Mauro fu dimesso dal pronto soccorso dopo qualche ora mentre sua moglie, al quarto mese di gravidanza, venne ricoverata nel reparto psichiatrico dove rimase per più di tre mesi. Un periodo di sofferenze per Mauro, per tutti quelli che volevano rendersi utili e per Nora, rinchiusa tra quelle mura. Mauro per almeno due settimane non riuscì a varcare la soglia della psichiatria. Una porta chiusa a chiave impediva a chiunque di uscire da lì e obbligava i visitatori a suonare un campanello per annunciarsi prima di entrare. Ciò affliggeva Mauro, si sentiva in colpa; aveva la sensazione di aver rinchiuso la moglie e il bambino che doveva nascere in un carcere. L'abnegazione e l'impegno delle donne della sua famiglia gli concessero il tempo necessario per riprendersi e superare il periodo di grande disagio che stava attraversando. Quando la sorella di Nora se ne tornò in Marocco, Mauro, un po’ rinfrancato, comprese che doveva farsi forza per assistere la consorte. Trascorso il tempo di gestazione indispensabile allo sviluppo del feto, oltre sette mesi, i medici decisero di trasferire Nora al reparto di maternità per farla partorire e porre fine a quell’odissea. Nel frattempo arrivò sua madre dal Marocco. Si prese cura della figlia alla quale, dopo il parto, vennero somministrate dosi massicce di medicinali per sedarla e rimetterla in sesto in tempi brevi. A portare un po’ di gioia in tutto quel trambusto c’era il nuovo arrivato: un neonato che necessitava dell'incubatrice per sopravvivere e per rimettersi dalle fatiche alle quali, suo malgrado, era stato sottoposto. Sono passati dodici anni da allora e quel neonato è divenuto un bel bambino, alto, un po' scuro di carnagione e con un labirinto inestricabile di riccioli neri posti ad incorniciare un volto somigliante a quello della mamma. Elia, così si chiama, è amato e coccolato da tutti, in modo particolare da chi conosce le vicende che hanno preceduto il suo ingresso nel mondo. E’ un bambino un po’ insicuro ma con un buon carattere. E' educato e affettuoso. Lo zio Aldo e la zia l'hanno aiutato a crescere e lui li ricambia con un affetto incondizionato. Fu difficile vincere la diffidenza della mamma quando pensò che qualcuno volesse rubarle il figlio, ma ora quel problema sembra risolto. La nascita di Elia non ha guarito Nora dalla sua malattia: in tutti questi anni, in due occasioni, ha dovuto ricorrere ad altri ricoveri ospedalieri. Il suo affetto per il figlio, corrisposto, non si presta però ad alcuna cattiva considerazione e si spera sia di giovamento ad entrambi. Non si è mai saputo che l’amore possa danneggiare la salute di qualcuno. La presenza costante di Mauro, che conduce la sua vita in simbiosi con quella di Elia, garantisce il mantenimento di un equilibrio familiare accettabile. Questa storia ha lasciato a tutti i protagonisti alcuni dubbi e qualche certezza. L'atteggiamento inspiegabile di Nora dopo il parto, per esempio: era irritata e dimostrava poco interesse per la presenza del figlio; si rendeva conto del lieto evento di cui era parte integrante? Un bel ricordo è l'immagine di Mauro appoggiato con i gomiti alla culla dell'incubatrice che permetteva  di vedere il neonato senza interrompere le cure a cui era sottoposto. Guardava teneramente il piccolo ed aveva uno strano sorriso sulle labbra; pensava che, nonostante tutto, ne era valsa la pena? Aldo dal canto suo comprese una volta di più che nulla può fermare le leggi universali della sopravvivenza. Quelle leggi naturali che obbligano ad esistere, ad amare e a riprodursi. Vuole bene ad Elia. E' orgoglioso di avergli insegnato ad usare la bicicletta, di averlo aiutato nei compiti scolastici e di averlo condotto al cinema e al mare. E' riuscito persino ad interessare il nipote ai misteri della scienza in generale e dell’universo in particolare. Le cose belle hanno il potere di cancellare quelle più nefaste e Aldo ha deciso che mai, in nessun caso, Elia dovrà sapere cosa lui pensava tredici anni prima, ai tempi del concepimento del nipote. Oggi è felice quando ha occasione di incontrarlo e spera che a nessuno venga in mente di chiedergli se prova rimorsi per le sue convinzioni di allora. Potrebbe non sapere cosa rispondere, oppure ripetere, come fa spesso, che è del tutto inutile ostacolare l'amore e la vita perché loro alla fine, e per nostra fortuna, vincono sempre.

venerdì 10 aprile 2015

Pierpaolo Lavatelli - Frammenti di cielo

Quando lo guardo, sembra a una casa abbandonata: il tetto è crollato, le travi sono a pezzi e sono appoggiate sul pavimento. Mi si stringe il cuore: il silenzio pervade le stanze e la terra ricopre il pavimento.

Le gelosie sono a pezzi e il rumore dei vetri frantumati sotto le mie scarpe m’inquieta.

Qua e là è rimasta un po' di vernice sui muri, laggiù si vedono ancora i segni di una fiamma che ardeva nel camino.

Lo sapevo che non volevo entrare qui: che ci sono venuto a fare?

Eppure tendo l’orecchio e immagino, rivivo quello che c'è stato in quel luogo. Un ciliegio ha preso possesso di una stanza: il tetto manca completamente, ma lui si è lanciato lassù in alto. Metà pianta rimane in ombra e metà è al sole: è carico di ciliege!

Una porta si regge sui cardini per miracolo, un vecchio portalampade annerito monta ancora una lampadina semi spezzata. Non è questo il posto che mi ricordavo: manca ogni cosa qui e la ruggine ha preso possesso delle inferriate alle finestre; tanto che si sbriciola in pezzi minuscoli assieme al cemento. I muri sono scrostati e solo per alcuni pezzi, pochi frammenti, l’intonaco mostra tratti di cielo con delle stelline dorate.

I mobili, i quadri alle pareti, tutta quell’atmosfera accogliente e intima è sparita. Solo due vecchie sedie sgangherate e con la seduta sfondata giacciono accatastate in un angolo tra pezzi di mattone rosso sgretolato e cemento.

Gli uccelli saltellano con le loro zampette sui coppi pericolanti del tetto, le ragnatele sono ovunque ed hanno catturato polvere e frammenti di cemento sbriciolato.

Altre volte, invece, lo osservo ed è come cenere di un camino dimenticato da tempo: polverizzato e inutile, solo lo scarto della grande fiamma che bruciava. Prendo un ferro e muovo la cenere: doveva esserci un gran braciere.  La cenere è quasi impalpabile come se il fuoco si fosse consumato piano piano e non volesse morire. Che cosa sarà rimasto di lui? Dove è finito? Forse qualche tizzone arde ancora! Una folata di vento gelido spazza la cenere e la disperde nell’aria, non so da quanto tempo non arda più il fuoco.

Guardo la nuvola di cenere che si avvolge nel turbinare del vento e dentro in quel vortice vorrei sparire pure io.

Potrei inseguire quel turbine, come fossi entrato in un tornado che ha catturato nella sua spirale tutto quello che non so e che ho perduto... e che non so ritrovare.

Stamattina il mare si è placato: è presto, la spiaggia è vuota. La marea ha portato sul bagno asciuga bottiglie di plastica, imballi e pezzi di polistirolo; la posidonia marina, strappata dal fondo dalle onde, si rigira nella risacca annerita dalla sabbia e dalla terra.  Gli ombrelloni sono stati strappati dal vento come fuscelli: sono atterrati tutti ammassati dentro una piccola grotta nella roccia. Sulla spiaggia ossi di seppia e qualche pesce morto: sorpreso dalla mareggiata, guarda questo strano mondo con il suo occhio ormai spento.

Eppure solo ieri quest’angolo di costa era un paradiso: tra i castelli di sabbia e le corse dei bambini, con il suo mare color del cristallo e il gabbiano che garriva. Visto dall’alto era un semicerchio che racchiudeva un panorama di rotonda bellezza: il bianco accecante della sabbia e il nero lavato delle rocce, il via vai delle persone nei costumi variopinti e le vele rapide e veloci all’orizzonte. Gli ombrelloni e le sdraio che punteggiavano la spiaggia come tanti tasselli multicolore. Il brusìo delle persone e la musica delle radio sulla spiaggia che si perde e si mescola al vento.

Ora sento solo i miei piedi che affondano nella sabbia e mi volto a guardare le mie impronte che spariscono cancellate dall’onda del mare. Il cielo è grigio-nero carico di nuvole, il vento sferza i pini ed è l’unico padrone della spiaggia oggi. No, non so riconoscerlo neanche qui. Non può essere lui: se questo è quello che resta di lui so che lo troverò in un altro posto. Forse vivrà nell’attimo in cui il sole tocca il mare prima di sparire dall’orizzonte, oppure brillerà come il baluginio della luna sul mare increspato di notte o nuoterà dentro ad una melodia che arriva come un’eco lontano e che, come una pioggia dorata di stelle da un cielo blu, si riflette nei miei pensieri.

E' un letto disfatto, una pianta senz’acqua, un motore annerito e ossidato con le cinghie a pezzi: un locomotore a vapore su un binario morto invaso dai rampicanti, un casello abbandonato o un passaggio a livello incustodito. Quello che è diventato lo vedo con facilità, lo trovo spesso ed a volte faccio finta di non accorgermene. Non mi piace che si senta abbandonato: il suo spirito è indomabile e non esiste una ragione od un motivo per cui si manifesti e per come scelga di farlo. Quello che lui era, invece, non è semplice da trovare e forse ne rimane solo il ricordo.

Lui è imprevedibile: a lui non serve niente di ciò che noi conosciamo per potersi mostrare.

Non serve legna per alimentarne la sua fiamma, sembra a pezzi e cade come una cascina abbandonata eppure è solo fuggito: ha solo cambiato forma e posto. Si è mescolato al vento impetuoso e si confuso con esso, si è fuso nelle sfumature di un giorno grigio di pioggia così come in una tavolozza di colori di un panorama che lascia di stucco chi lo ammira... è nel caldo appiccicoso di una giornata di afa in pianura, così come nella fredda brezza che arriva da un ghiacciaio. Sta dentro alle mie storie ed abita dentro di me: a volte si dispera o mi fa credere che se ne sia andato. L’ho fermato e l’ho fissato nelle mie parole, l’ho espresso con la mia musica e sono certo che lui ci sia stato. Non l’ho solo sognato e non era un turbine di vento che mi ha solo confuso. Lui è fissato nei miei ricordi come una fotografia: a volte, come ora, stento a riconoscerlo e mi confonde. E' tra le cose che ho, pur non essendo certo di averlo: si esprime nei miei gesti e quando non lo sto cercando. Mi appartiene e nello stesso tempo non posso averlo: non posso svegliarlo e nemmeno lasciare che dispieghi le sue grandi ali.

Siamo uomini ed ad ogni cosa tentiamo di dare una dimensione: lui non ha misure e non ha un luogo che lo possa contenere, non si può perdere e non si può ritrovare. E' come una galassia rinchiusa in una piccola sfera o un universo imploso dentro ad un barattolo di caffè. Eppure io lo so e mi ricordo di quando ' volava nei pensieri e nei miei desideri '. E' sempre lui: ed anche se so che è non ha un’età, così come non ha un corpo né una dimensione, io lo chiamo ' il mio vecchio amore'.

Per lui ci sarà sempre un posto nel cuore: una stanza, dove poterlo custodire ogni volta che vorrà stare con me. Io lo aspetto, anche se spesso lui è già arrivato senza avvisarmi e per questo suo modo di fare, continua a stupirmi. So che lui è capace di fare grandi cose per me e quando mi abbandona, io mi sento come perso: come un pesce trascinato dalla tempesta sul bagno asciuga della spiaggia, come un ombrellone in balìa del vento.

Non sono io che posso scegliere se averlo o no: è lui che ha questo potere su di me.    Non ha né rimorsi né rimpianti: è il mio puro sentimento.

Pierpaolo Lavatelli - Il moto perenne

Tu, alimenti i miei pensieri,
quando vado per impervi sentieri,
sullo specchio lucente di un mare
o tra i riflessi delle lampare.
Con la luce dolce di un mattino,
nel viso stupito di un bambino.
Vorrei potessi con me guardare
dentro le emozioni del mio cuore,
vedere nascere il sentimento
quando prende forma proprio dentro:
fatto di luci, suoni, movimento.
È l’amor per te di un momento,
nasce intenso poi piano rallenta
la mia vita lui così alimenta,
come l’onda muore sulla riva
e un’altra subito la rinnova,
l’amor per te si muove ciclico
come un moto perenne, magico.
Sa infrangersi potente sulla riva
o lambire la costa come bava,
placarsi come calma quasi piatta,
scatenarsi come urla di tempesta.
Sei tu la fonte, il suo motore
Per te lui sa vivere e sognare,
a volte mi stupisce veramente,
ma temo di non poterci fare niente.
Così mi lascio solo conquistare
da te donna che mi vuoi amare.

Pierpaolo Lavatelli - Sistemi inesplorati

Le parole s’incontrano
ancor prima degli sguardi;
lentamente si studiano,
intriganti di accordi.

Non conosco il tuo viso,
non so nemmeno chi tu sia,
sta nascendo un sorriso:
il social diventa poesia.                                          

L’universo è dentro di te,
sei un viaggio sconosciuto:
sei limpida senza perché
come se ti avessi già avuto.

Oggi prendo le tue mani
sulla soglia del tuo mondo,
i miei dubbi son lontani,
stemperati nel profondo.                                        

Gravitanti nello spazio,
come lune tra gli anelli,
i tuoi occhi di topazio
m’incantano come gioielli:

profondi e infiniti,
sistemi inesplorati.

Pierpaolo Lavatelli - Armonia

Oggi sono come una musica
avvolgente, rilassante:
sembra sfiorarti leggermente.
Ti tocca, si posa dolcemente,
si allarga così, soavemente.
Protegge come guscio con attenzione
ti sente, cerca la tua vibrazione.
Si muove come ciclica funzione
ti attraversa punteggiando,
accelerando e ritardando:
ora è tua, al tuo comando.
Gira dentro ai tuoi capelli,
ti sfiora dolce i polpastrelli
disegna la forma del tuo viso
e dove nasce il tuo sorriso...
Tienila pure dentro te,
piace molto anche a me
la fusione dell' armonia:
non vorrei più andare via.