venerdì 31 maggio 2013

Theo Pezzi - Rimasi stupito da eccelse virtù

Notai che dita saltellanti
sembravan cercarsi spasimanti.
Invece pensate - eran mosse a ghermire
le smarrite note vaganti
che volevan ancor in sospeso stare.

I corpi dei musici che si contorcevan
come chiavi di violino,
mostravan all'occhio - cruda la tenacia
che amalgama la poetica energia.

Le note magistralmente stimolate
nell'aria frullando scandite
arrivaron limpide e chiare
anche - alle orecchie più spoglie.

Le forti movenze dei volti
ed i tesi nervi del collo,
fecero notare-forte l'impegno,
Le gestualità degli artisti - furon spettacolo...

Il pianoforte, il violino ed il "cello",
toccaron l'eccelso della virtù in armonia
che giocosa - sapeva di amor celestiale.

Stupito - silente mi godetti la melodia!

Manuela Monti - Il concerto

Nell'abitudine ad una vita
veloce e concitata,
fra rumori assordanti
e ritmiche canzoni
sfugge
la vera bellezza della musica.

E' accaduto ...
concerto per musiche di Ciaikovskij...
come il primo amore
infinite sfumature di armonia
invadono corpo e mente.

Fantasia, elevazione al cielo,
serenità, ricerca profonda di se stessi,
leggerezza dell'essere,
romantica dimensione,
in una esplosione di musica sublime.

E' sfiorare la perfezione,
spogliarsi delle proprie quotidianità

per librarsi leggeri verso il cielo infinito.

Alfonsina Campisano - Il grillo

Gongolava il sindaco quella sera, baciando la mano alle signore del bel mondo che, ostentando gioielli costosi, si compiacevano con lui (o fingevano di compiacersi) per essere riuscito in un'impresa quasi leggendaria.
Gli si avvicinò sommessamente il presidente di un'associazione musicale e si raccomandò al suo savoir faire per ottenere una breve esibizione del grande maestro, nella sua città.
Anche un pezzo solamente ... Avrebbe pagato qualunque cifra...
- Vedremo, vedremo ... Rispose compiaciuto il sindaco, lisciandosi la barbetta nera che gli contornava il mento alla maniera di Cavour.
- Forse ... somiglio davvero a Cavour- pensava l'ometto - Sono così bravo!
Ma sì ... riesco a fare splendide cose...
Quel concerto infatti, atteso da mesi, era una prova della sua abilità.
Se n'era parlato nei circoli culturali, nei salotti, nei caffè, persino nelle scuole.
Era un fatto eccezionale che un pianista di quel calibro si fosse degnato di suonare in una cittadina di provincia di trentamila anime. Lui, il numero uno del pianismo mondiale. Abituato ad esibirsi nei migliori teatri, osannato da tutti.
Per accaparrarsi quel concerto, l'Amministrazione comunale aveva pagato fior di milioni, ma la manifestazione avrebbe dato lustro alla città. Sarebbero venuti a centinaia, dai paesi vicini.
Il sindaco avrebbe ricevuto l'abbraccio ideale di tutti gli uomini di cultura del circondario e la sua figura ne sarebbe stata illuminata per lungo tempo.

Nella sala c'era un gran fermento.
A un tratto si smorzarono le luci e il mormorio si spense, trasformandosi immediatamente in un silenzio d'attesa.
E venne il gran momento.
Da una quinta laterale, in perfetto frack, apparve lui, il Maestro, il Genio, il Dio.
Scoppiò in teatro un applauso con la forza di un boato che scaturisce dal ventre di un vulcano, quando il vulcano è cattivo.
Egli s'inchinò leggermente, guardando senza vedere.
Poi, si diresse al piano e si sedette.
Le mani scivolate lungo i fianchi, la testa rovesciata all'indietro, gli occhi chiusi.
Un silenzio di ghiaccio.
Un bimbo chiese alla madre: Che fa il maestro? Si sente male?
- Zitto! - fece la madre, fulminandolo con gli occhi, mentre almeno dieci persone dalle poltrone vicine si volgevano verso di lui, scandalizzate.
Ancora alcuni secondi. Poi, il Maestro pose lentamente le mani sul piano e resimmobile per qualche secondo. Silenzio.
Finalmente, mentre tutti trattenevano il respiro, desiderando godere appieno della magia del momento, le mani si mossero e sotto le abili dita lo strumento si animò di suoni, di immagini, di colori.
In un susseguirsi di fantasiose emozioni, danzarono pulcini becchettando il piccolo guscio per vedere la luce; pesantemente avanzò il carro di lavoro dei contadini russi che trascinavano giorno dopo giorno la fatica del vivere; risero bambini rincorrendosi allegramente nei giardini delle Tuileries; morirono uomini per la ferocia della maga Baba-Yagagridando disperati la loro sete di giustizia, fino a quando non invase il teatro la grande luce della porta di Kiev.

La gente sembrava affascinata. Ascoltava Mussorgsky come in trance. Incapace di muovere un ditodi raccattare un fazzoletto caduto in terra.
Finì il primo tempo, nella frenesia di un lungo applauso.
Il Maestro si alzò in un bagno di sudore e, dopo un leggero inchino, sparì dietro le quinte.
Durante l' intervallo, la gente si sciolse dalla tensione, si abbandonò ai commenti.
Chi se ne intendeva diceva che il Maestro era stato divino e la sua esecuzione perfetta. Chi non capiva molto di musicaper paura di dare giudizi sbagliati, si manteneva sulle generali.
Qualcuno andò al bar a rinfrescarsi, prima della seconda fatica.
Qualche altro, invece, non sapendo nulla di Mussorgsky e dei suoi Quadri sgattaiolò dalla sala come un ladro, per godersi la prosecuzione della serata sotto le stelle senza troppe complicazioni intellettuali, con la segreta speranza che nessuno avrebbe notato la sua assenza.

Iniziò il secondo tempo con una famosissima polacca di Chopin.
Il Maestro in forma più che mai, Chopin accattivante come sempre avevano ricreato l'atmosfera precedente.
A un tratto, nella sala un flebile cri-cri-cri.
Il Maestro ebbe un inconsulto moto di stizza e fece un stecca con la sinistra, avvertita come una frustata da quelle dieci o dodici persone che conoscevano bene il pezzo.
La gente cominciò a fremere, a dimenarsi sulla poltrona, a guardare nella direzione da cui proveniva quel verso.
- Maledetta bestiaccia! - pensava il sindaco, col viso rosso di rabbia e un sorriso da ebete. Maledetta bestiaccia! Proprio qui dovevi venire a cantare! Dopo tutti i sacrifici che ho dovuto affrontare. Vattene, grillo della malora! C'è la finestra aperta.
Vattene! Sparisci! Crepa!

Cri-cri-cri-cri-cri ...

Ormai l'incanto era rotto.
Il Maestro nervoso, la gente distratta dal quel maledetto cri-cri.
Una ragazza tirò fuori dalla borsa uno specchietto e, fingendo di rifarsi il trucco, cercò di vedere dietro di lei il suo ex che flirtava con una biondina sciocca. Vide che la baciava sull'orecchio e, stizzita, cercò di riporre lo specchio, che invece scivolò a terra, frantumandosi con un secco rumore.

Cri-cri-cri-cri-cri ...

Il Maestro si alzò inviperito. Sul suo viso paonazzo, prima che sparisse dietro le quinte, il sindaco poté cogliere un'espressione di profondo disprezzo per lui e per tutta la sua gente. "Sempre gente di provincia siete! -sembrava dire il Genio - Non avrei mai dovuto accettare!".
Il sindaco gli corse dietro come un cagnolino in colpa che cerca di farsi perdonare dal padrone, dando ordine frattanto ai soci collaboratori di uccidere il grillo ad ogni costo.

-Ve lo riporterò il Maestro - disse, mentre correva verso il palcoscenico. State calmi.
Ve lo riporterò, dovesse costarmi la vita!

E cominciò la caccia spietata.
Alcune signore che sentirono il grillo vicino, fuggirono urlando, per paura che l'immondo insettsaltasse loro addosso.
Il grillo si spostava continuamente, atterrito dal frastuono.
Perché volete uccidere il grillo? - chiese una bimba con il visetto atteggiato al pianto.
Perché ha rovinato il concerto! - tuonò un signore in smoking, che si era allentato il papillon per il gran sudare.
- Ma lui ... lui non lo sapeva che avrebbe rovinato il concerto - obiettò la piccinatentando una timida difesa.
- Deve morire! - decretarono inveleniti i giudici della bestiola.
Ma forse il grillo si trovava per caso. Forse era fuggito dalla campagna assolata per paura del fuoco che qualcuno aveva appiccato alle stoppie.
Era volato via, inseguendo la vita. O forse la musica lo aveva attirato. La musica, espressione di Dio. Forse in quella grande sala , vestita solo di note, aveva trovato finalmente un po' dpace e si era perduto in un canto di lode al Signore, per quella luce, per quella pace.

- Eccolo! Eccolo, in quell'angolo!
- Schiacciatelo! Presto, uccidetelo!

Cri-cri-cri-cri-cri ...

Un colpo secco. E l'animale ridotto a una poltiglia nera.
- Finalmente!
- Il concerto può ricominciare.
- Tutto a posto
- Il grillo è stato ucciso.
Una signora, accomodandosi meglio sulla poltrona, ripescò nell'ampia scollatura la collana d'oro che, nell'agitazione, le era scivolata dentro e la dispose con cura sull'ampio seno, preparandosi all'ascolto.
Ma un attimo dopo ricomparve il sindaco, invecchiato di dieci anni, disfatto.
Scusate, signori ... Scusate - balbettò con un fil di voce.
Il Maestro è andato via. Il concerto è sospeso ... Scusate ... Scusate.

Melania David - Francisco

Una pioggia così non si vedeva da mesi. Pioveva come se il cielo stesse piangendo, pioveva come se il mondo dovesse venire giù. Forse Dio stava facendo sentire alla Spagna che si stavano sbagliando, che tutto quel sangue versato rappresentava una mostruosità irreparabile. O forse tutta quella pioggia non significava niente. Forse anche Dio era antisemita.

Francisco era nato in Spagna, sulla carta era catalano ma nel cuore degli spagnoli era solo uno sporco ebreo. Aveva venti sette anni, la carnagione scura e si era laureato in legge. Gli piaceva scrivere e inventare storie per i fratelli più piccoli, c'erano streghe, draghi e mostri feroci, cavalieri senza macchia e senza paura, fanciulle rinchiuse dentro inespugnabili torri; i fratelli lo guardavano con occhi ingenui e trasognati, la più piccola si tappava le orecchie ma poi finiva sempre con l'ascoltare quelle storie spaventose che si concludevano col lieto fine. Juan, di nove anni, il più coraggioso tra i fratelli, si era costruito una spada di legno, la brandiva fiero mentre Francisco arrivava al punto in cui il cavaliere uccideva il drago e liberava la bella Dulcinea.

"Non faceva paura nemmeno un po'." Al termine di ogni racconto erano queste le parole del piccolo Juan. Facevano paura i soldati, le armi, le grida disperate. Il fumo nero nel cielo spento. Francisco li rincorreva per casa, "Sono il drago sputa fiamme e vi mangio!", diceva ai fratellini, poi li afferrava e faceva loro il solletico. Tutti ridevano. Francisco ci pensa mentre adesso cammina da solo sotto la pioggia.

Vivevano in una bella casa, avevano un giardino sempre curato, la madre di Francisco ci teneva molto. Una varietà di fiori colorati lo impreziosiva nei mesi primaverili. Non ci saranno più fiori. Avevano una ricca collezione di libri, testi religiosi, romanzi, opere teatrali. A Francisco piaceva Calderòn de la Barca. "La vita è un sogno", ripeteva alla madre mentre questa preparava la cena. La vita è un incubo, un abbandono doloroso, uno strazio crudele e immotivato. Avevano e ora non hanno niente. Sono tutti morti.

Era vietata ogni forma d'informazione che non fosse allineata al regime, abolite libertà di stampa e di associazione, si respirava un clima di sospetto e terrore come non era mai accaduto prima. Francisco aveva ventisette anni e desiderava sposare Estrella, che di anni ne aveva ventitré. Francisco portava lo stesso nome dell'uomo che avvelenò e distrusse ogni suo sogno.

Estrella era la principessa delle sue favole, aveva lunghi capelli ondulati, ebano e miele, li scioglieva e li ornava solo per lui con corone di fiori. Brillavano al sole di Spagna di vita e speranza. Le sono stati tagliati.

La pioggia scende inclemente sulle strade di Barcellona, non un'anima, non un conforto, solo il ricordo di quello che non può tornare.

Perché Franco nutrisse tanta ostilità nei confronti degli ebrei, nessuno lo sapeva. Perché quella rivoluzione cattiva? La miccia era scoppiata in Germania e come un virus l'antisemitismo era tornato una realtà incredibilmente attuale. Popolo mal visto da sempre, additato come usuraio e usurpatore, eternamente alla ricerca di una terra propria. Usuari con figli piccoli, usuari che avevano madri, mogli, dignità. Ogni cosa fu metodicamente strappata dai loro occhi, dai loro cuori e dalle loro braccia. Shoa. Morte, pensava semplicemente il ragazzo che vagava sperduto sotto la pioggia incessante.

Avevano deciso chi era buono e chi era cattivo, chi era diverso e chi normale. Le persecuzioni contro un capro espiatorio che conformasse l'immagine della Spagna agli altri due regimi totalitari d'Europa erano ricominciate. E non erano ancora finite.

Francisco scorse un uomo sdraiato per terra, indossava uno stravagante cappello e una giacca zuppa di pioggia. Dimostrava cinquant'anni ma poteva averne molti di più. La strada invecchia e logora ma è la solitudine a uccidere dentro. Francisco gli andò vicino. Da mesi non parlava con nessuno e viveva nell'ombra, scacciato come un randagio, sbiadiva lentamente. L'uomo non fece caso alla sua presenza, non sollevò il capo, sembrava anzi che lo stesse aspettando e che stesse aspettando da un'eternità. Francisco cercò di attirare la sua attenzione, gli chiese se stesse bene o avesse bisogno di qualcosa. L'uomo finalmente sollevò il capo. Due occhi neri come pece lo trapassarono come un pugnale, erano occhi che avevano patito la fama, l'odio e la guerra. Francisco pensò che, in fondo, erano uguali ai suoi occhi.

Zaka era effettivamente più giovane di quanto Francisco avesse immaginato, aveva quarantadue anni. Viveva per strada da un po', i suoi cari li aveva persi in una notte di luna piena. Non sapeva se fossero morti. Li avevano semplicemente portati via, insultati, picchiati, trattati come bestie. Zaka era rimasto nascosto, aveva visto la moglie che veniva trascinata per i capelli, urlante, mentre i soldati davano fuoco alle loro umili abitazioni. Facevano pulizia, eliminavano il marcio, la feccia. Eseguivano gli ordini come automi animati da oscuri intenti di morte. Le donne più anziane lo avevano predetto, terribili atrocità si sarebbero abbattute su di loro, l'uomo avrebbe sparato all'uomo, ancora una volta, i bambini sarebbero rimasti orfani e le donne vedove. Le donne più anziane non si erano sbagliate.

Zaka provava un cocente senso di colpa. Non perchè non avesse salvato la sua gente, loro erano troppi e lui era da solo. Che cosa avrebbe potuto fare? Zaka si sentiva in colpa per non essere stato preso, si vergognava di essere vivo. Non aspettava Francisco in quell' angolo di strada. Aspettava di essere catturato.

Francisco tremava, la Spagna tremava. Non era sicuro restare fermi nello stesso luogo per molto tempo, occorreva eludere i controlli, strisciare. I soldati non si fecero attendere. Francisco sentì il rumore degli zoccoli dei cavalli, sapeva che lo avrebbero trovato se non fosse fuggito immediatamente. Scosse lo zingaro, lo tirò con tutte le sue forze. Il corpo era pesante, rigido, forse malato. Zaka gli parlò col suo spagnolo contaminato di chi è scappato nella notte, ha girato il mondo e dal mondo è sempre stato rifiutato. "Lasciami stare qui. Io devo rimanere qui". Il rumore degli zoccoli era sempre più vicino. Gli occhi di Francisco si riempirono di lacrime. Quanto dolore era ancora necessario sopportare? Sentì qualcuno urlare "Zingari!" e cominciò a correre, lasciando Zaka al suo destino.

I soldati si avvicinarono, lo circondarono rimanendo distanti, come se avessero di fronte un lebbroso. Gli chiesero dove fosse andato l'altro sporco zingaro che era con lui. Zaka indicò la direzione opposta a quella presa da Francisco. Un soldato gli sputò in pieno viso. Zaka non temeva quello che stava per accadere. Per la prima volta in quella sporca vita solitaria qualcuno non aveva avuto paura di lui lo aveva insultato. E poi doveva pagare in qualche modo per i suoi peccati. Francisco non riusciva a credere a quel che aveva fatto. Aveva abbandonato un uomo indifeso ed era fuggito come un codardo. Si stava trasformando in un mostro privo di umanità, nel mostro che loro volevano che fosse. Non l'avrebbe permesso. Decise di tornare indietro sperando di poter aiutare Zaka a fuggire. Trovò solo un cappello variopinto ali' angolo della strada. Era sporco di sangue.

Il cuore di Francisco si fermò. Fissava con gli occhi sgranati la strada deserta. L'avevano preso e sicuramente gli avevano fatto del male. E lui non aveva fatto nulla per impedirlo! Un senso di colpa e impotenza che conosceva bene e aveva provato solo qualche mese prima si impadronì di lui, ma prima che le lacrime potessero scendergli dagli occhi, la canna di un fucile gli fu puntata alle spalle.


Estrella correva sorridendo. Una corona di fiori bianchissimi le ornava gli splendidi capelli corvini. "Prendimi!" lo esortava felice. Il temporale era cessato.