mercoledì 29 maggio 2013

Laura Vergani - Nonna Maria

C’era una volta un re, seduto sul sofà che diceva alla sua serva: raccontami una storia e la storia cominciò. C’era una volta un re seduto sul sofà che diceva alla sua serva… Uffa nonna, ma raccontami una storia vera.
Oh, bela pùtina mi al so brisa de fole, al disi questa :Urcina bela, questa l’è so surela. Oc bel, quest l’è so fradel, questa l’è la porta e quest’al campanel: din, del, din, del, din, del. (Oh, bella bambina, io non ne so di favole, ti racconto questa: Orecchia bella questa è sua sorella. Occhio bello, questo è suo fratello, questa è la porta e questo è il campanello: din, del, din ,del, din, del).
Questa era la storia che mia nonna mi raccontava, e mentre lo diceva accompagnava con la mano il racconto e poi mi accarezzava. Quel gesto così tenero, mi faceva venire i brividi e lei che se ne accorgeva, mi diceva: “ sono secche eh, stasera metto su un po’ d’olio d’oliva”.
Quelle mani erano testimoni di una vita fatta di lavoro e di privazioni, dalla campagna alla fabbrica, per finire al lavoro in casa in un’ epoca dove la lavatrice era solo un sogno e non c’era crema od olio che potesse ammorbidirle.
La mamma era sempre impegnata col lavoro ed io trascorrevo tanto tempo con mia nonna, che per i suoi problemi di salute era quasi sempre seduta o sul divano.
Ogni settimana veniva il signor Marchionne, un uomo alto e di una certa età. Aveva dei grandi baffi grigi che scendevano ai lati della bocca, che si vedeva a malapena, fino al collo.
Indossava un borsalino nero di feltro e sotto il mantello di panno nero, aveva una camicia a quadri e un gilet di velluto rigato nero, come i suoi pantaloni, dal gilet spuntava una catenella argentata, che andava da una tasca all’altra e attaccata a questa c’era un orologio a cipolla. Un piccolo scrigno che nascondeva al suo interno il tempo, inesorabile guardiano della vita.
Quando lo vedevo, con i miei occhi da bambina, mi dava un po’ di soggezione e al tempo stesso mi affascinava per quella sua aria così misteriosa.
Veniva a fare i massaggi alle gambe della nonna che erano sempre gonfie e dure come sassi.
Quando iniziava faceva tutta una preparazione minuziosa, tirava fuori dalla tasca uno scatolino rotondo di vetro scuro col coperchio dorato e lo appoggiava sul tavolo sopra un pezzo di stoffa bianco, poi si lavava le mani.
- Laura l’asciugamano per il signor Marchionne!
Io ero già lì pronta con l’asciugamano aperto. Lui si asciugava e poi nel porgermelo mi accarezzava sulla testa.
- Grazie sei proprio una brava bambina.
Adesso sorrido ricordando quella scena, ma allora era un rituale quasi sacro, oserei dire.
Usava una pomata a base di canfora che, appestava la casa per alcune ore, ed è stupefacente quanto gli odori anche a distanza di anni richiamino alla mente tanti ricordi.
Mia mamma era contraria a tale cura, perché diceva:” Dopo tutto il tempo che fai i massaggi dovresti avere le gambe secche come quelle del tavolo e invece sono sempre uguali”. Ma la nonna non voleva sentire ragioni e dopotutto col carattere forte che aveva, era difficile tenerle testa e così puntualmente ogni mercoledì pomeriggio si ripeteva la tiritera.
Mi piaceva stare con la nonna e aiutarla, come potevo. La sera la aiutavo a salire le scale per andare in camera e quando non ha più potuto farle, per i suoi problemi di cuore, dormivo con lei in una stanza al piano terra.
Anche la mattina che ebbe l’infarto eravamo noi due, povera nonna diceva che sentiva un peso sullo stomaco e mentre l’accompagnavo a letto, la sua mano strinse la mia per l’ultima volta.

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