venerdì 31 maggio 2013

Melania David - Francisco

Una pioggia così non si vedeva da mesi. Pioveva come se il cielo stesse piangendo, pioveva come se il mondo dovesse venire giù. Forse Dio stava facendo sentire alla Spagna che si stavano sbagliando, che tutto quel sangue versato rappresentava una mostruosità irreparabile. O forse tutta quella pioggia non significava niente. Forse anche Dio era antisemita.

Francisco era nato in Spagna, sulla carta era catalano ma nel cuore degli spagnoli era solo uno sporco ebreo. Aveva venti sette anni, la carnagione scura e si era laureato in legge. Gli piaceva scrivere e inventare storie per i fratelli più piccoli, c'erano streghe, draghi e mostri feroci, cavalieri senza macchia e senza paura, fanciulle rinchiuse dentro inespugnabili torri; i fratelli lo guardavano con occhi ingenui e trasognati, la più piccola si tappava le orecchie ma poi finiva sempre con l'ascoltare quelle storie spaventose che si concludevano col lieto fine. Juan, di nove anni, il più coraggioso tra i fratelli, si era costruito una spada di legno, la brandiva fiero mentre Francisco arrivava al punto in cui il cavaliere uccideva il drago e liberava la bella Dulcinea.

"Non faceva paura nemmeno un po'." Al termine di ogni racconto erano queste le parole del piccolo Juan. Facevano paura i soldati, le armi, le grida disperate. Il fumo nero nel cielo spento. Francisco li rincorreva per casa, "Sono il drago sputa fiamme e vi mangio!", diceva ai fratellini, poi li afferrava e faceva loro il solletico. Tutti ridevano. Francisco ci pensa mentre adesso cammina da solo sotto la pioggia.

Vivevano in una bella casa, avevano un giardino sempre curato, la madre di Francisco ci teneva molto. Una varietà di fiori colorati lo impreziosiva nei mesi primaverili. Non ci saranno più fiori. Avevano una ricca collezione di libri, testi religiosi, romanzi, opere teatrali. A Francisco piaceva Calderòn de la Barca. "La vita è un sogno", ripeteva alla madre mentre questa preparava la cena. La vita è un incubo, un abbandono doloroso, uno strazio crudele e immotivato. Avevano e ora non hanno niente. Sono tutti morti.

Era vietata ogni forma d'informazione che non fosse allineata al regime, abolite libertà di stampa e di associazione, si respirava un clima di sospetto e terrore come non era mai accaduto prima. Francisco aveva ventisette anni e desiderava sposare Estrella, che di anni ne aveva ventitré. Francisco portava lo stesso nome dell'uomo che avvelenò e distrusse ogni suo sogno.

Estrella era la principessa delle sue favole, aveva lunghi capelli ondulati, ebano e miele, li scioglieva e li ornava solo per lui con corone di fiori. Brillavano al sole di Spagna di vita e speranza. Le sono stati tagliati.

La pioggia scende inclemente sulle strade di Barcellona, non un'anima, non un conforto, solo il ricordo di quello che non può tornare.

Perché Franco nutrisse tanta ostilità nei confronti degli ebrei, nessuno lo sapeva. Perché quella rivoluzione cattiva? La miccia era scoppiata in Germania e come un virus l'antisemitismo era tornato una realtà incredibilmente attuale. Popolo mal visto da sempre, additato come usuraio e usurpatore, eternamente alla ricerca di una terra propria. Usuari con figli piccoli, usuari che avevano madri, mogli, dignità. Ogni cosa fu metodicamente strappata dai loro occhi, dai loro cuori e dalle loro braccia. Shoa. Morte, pensava semplicemente il ragazzo che vagava sperduto sotto la pioggia incessante.

Avevano deciso chi era buono e chi era cattivo, chi era diverso e chi normale. Le persecuzioni contro un capro espiatorio che conformasse l'immagine della Spagna agli altri due regimi totalitari d'Europa erano ricominciate. E non erano ancora finite.

Francisco scorse un uomo sdraiato per terra, indossava uno stravagante cappello e una giacca zuppa di pioggia. Dimostrava cinquant'anni ma poteva averne molti di più. La strada invecchia e logora ma è la solitudine a uccidere dentro. Francisco gli andò vicino. Da mesi non parlava con nessuno e viveva nell'ombra, scacciato come un randagio, sbiadiva lentamente. L'uomo non fece caso alla sua presenza, non sollevò il capo, sembrava anzi che lo stesse aspettando e che stesse aspettando da un'eternità. Francisco cercò di attirare la sua attenzione, gli chiese se stesse bene o avesse bisogno di qualcosa. L'uomo finalmente sollevò il capo. Due occhi neri come pece lo trapassarono come un pugnale, erano occhi che avevano patito la fama, l'odio e la guerra. Francisco pensò che, in fondo, erano uguali ai suoi occhi.

Zaka era effettivamente più giovane di quanto Francisco avesse immaginato, aveva quarantadue anni. Viveva per strada da un po', i suoi cari li aveva persi in una notte di luna piena. Non sapeva se fossero morti. Li avevano semplicemente portati via, insultati, picchiati, trattati come bestie. Zaka era rimasto nascosto, aveva visto la moglie che veniva trascinata per i capelli, urlante, mentre i soldati davano fuoco alle loro umili abitazioni. Facevano pulizia, eliminavano il marcio, la feccia. Eseguivano gli ordini come automi animati da oscuri intenti di morte. Le donne più anziane lo avevano predetto, terribili atrocità si sarebbero abbattute su di loro, l'uomo avrebbe sparato all'uomo, ancora una volta, i bambini sarebbero rimasti orfani e le donne vedove. Le donne più anziane non si erano sbagliate.

Zaka provava un cocente senso di colpa. Non perchè non avesse salvato la sua gente, loro erano troppi e lui era da solo. Che cosa avrebbe potuto fare? Zaka si sentiva in colpa per non essere stato preso, si vergognava di essere vivo. Non aspettava Francisco in quell' angolo di strada. Aspettava di essere catturato.

Francisco tremava, la Spagna tremava. Non era sicuro restare fermi nello stesso luogo per molto tempo, occorreva eludere i controlli, strisciare. I soldati non si fecero attendere. Francisco sentì il rumore degli zoccoli dei cavalli, sapeva che lo avrebbero trovato se non fosse fuggito immediatamente. Scosse lo zingaro, lo tirò con tutte le sue forze. Il corpo era pesante, rigido, forse malato. Zaka gli parlò col suo spagnolo contaminato di chi è scappato nella notte, ha girato il mondo e dal mondo è sempre stato rifiutato. "Lasciami stare qui. Io devo rimanere qui". Il rumore degli zoccoli era sempre più vicino. Gli occhi di Francisco si riempirono di lacrime. Quanto dolore era ancora necessario sopportare? Sentì qualcuno urlare "Zingari!" e cominciò a correre, lasciando Zaka al suo destino.

I soldati si avvicinarono, lo circondarono rimanendo distanti, come se avessero di fronte un lebbroso. Gli chiesero dove fosse andato l'altro sporco zingaro che era con lui. Zaka indicò la direzione opposta a quella presa da Francisco. Un soldato gli sputò in pieno viso. Zaka non temeva quello che stava per accadere. Per la prima volta in quella sporca vita solitaria qualcuno non aveva avuto paura di lui lo aveva insultato. E poi doveva pagare in qualche modo per i suoi peccati. Francisco non riusciva a credere a quel che aveva fatto. Aveva abbandonato un uomo indifeso ed era fuggito come un codardo. Si stava trasformando in un mostro privo di umanità, nel mostro che loro volevano che fosse. Non l'avrebbe permesso. Decise di tornare indietro sperando di poter aiutare Zaka a fuggire. Trovò solo un cappello variopinto ali' angolo della strada. Era sporco di sangue.

Il cuore di Francisco si fermò. Fissava con gli occhi sgranati la strada deserta. L'avevano preso e sicuramente gli avevano fatto del male. E lui non aveva fatto nulla per impedirlo! Un senso di colpa e impotenza che conosceva bene e aveva provato solo qualche mese prima si impadronì di lui, ma prima che le lacrime potessero scendergli dagli occhi, la canna di un fucile gli fu puntata alle spalle.


Estrella correva sorridendo. Una corona di fiori bianchissimi le ornava gli splendidi capelli corvini. "Prendimi!" lo esortava felice. Il temporale era cessato.

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