venerdì 24 maggio 2013

Emanuela Bosisio - È la pioggia che va...


È la pioggia che va...

“...E ritorna il sereno”.
Com'era quella melodia? “È la pioggia che va...”, niente di più adatto a ciò che provo in questo momento: un grande sollievo dopo un periodo estremamente difficile.
1

Giovedì, 25 febbraio
Ho conosciuto il nuovo organista. È un giovane maestro di musica. Sono contenta ma anche turbata, perché vedendolo ho provato un tuffo al cuore. Temo che dovrò affrontare un'ardua prova.

Lui è alto, non bello ma ha un sorriso rassicurante e lo sguardo penetrante dietro gli occhiali che lo fanno sembrare più grande di quanto non sia in realtà.
E poi muove divinamente bene le mani su quella tastiera... Osservarlo suonare con tanta disinvoltura è uno spettacolo coinvolgente: totalmente assorbito dalla sua musica, sfiora coi polpastrelli ogni tasto in modo così lieve che le note sembrano uscirne come sospinte dal solo pensiero.
È grazie a questo che l'ho notato. Io, inflessibile fanciulla con un'idea precisa in mente; intransigente ragazza con uno scopo da raggiungere, credevo che nulla avrebbe potuto distrarmi da esso; studio e lavoro, attrezzi e libri. Niente altro passava per le mie mani e la mia testa.
Finché, quella mattina non è comparso lui. Camminando verso la navata per sostituire i fiori stantii con quelli appena raccolti nella serra del chiostro. sentii spandersi tutt'attorno il suono del grande organo. È talmente antico che raramente veniva usato. Così mi diressi verso la sagrestia per vedere chi fosse l'artefice di quelle melodie. Non sapevo che qualcuno era stato incaricato di rimettere a punto il prezioso strumento della chiesa.
Entrai dall'uscio laterale, lo vidi e mi vide. Restammo incantati per un tempo lunghissimo; poi sviammo lo sguardo, forse già consapevoli che una scheggia di cuore impazzita era schizzata verso il cervello.
Inutile rifiutare il pensiero, sfuggire il desiderio di rivivere quell'istante.
Impegnati nei nostri lavori, ogni giorno accoglievamo allegramente l'occasione di incontrarci senza neppure dovercela creare; non potevamo ancora sospettare il turbamento che avrebbe presto devastato i nostri cuori.
Quella positiva disposizione d'animo ci faceva bene, ci rendeva migliori verso noi stessi, più aperti verso il prossimo, indulgenti nei confronti del mondo che ci circondava e che guardavamo con maggiore distacco, quasi ci sentissimo di poterlo cambiare – in meglio – con la sola forza del nostro sentimento, coi poteri magici che ci donava la nostra passione segreta e del tutto platonica.
Io svolgevo rapidamente le mansioni mattutine, per recarmi svelta da lui; più attentamente quelle del resto della giornata, per non ricevere rimproveri e non rischiare che mi venissero cambiati gli orari o i compiti, allontanandomi da lui; e anche perché tutto era meno gravoso.
Lui suonava con un'intensità mai udita: le armonie guizzavano gioiose e persino agli impegnativi servizi delle funzioni domenicali risultava chiaro a tutti che l'allievo di un tempo era ormai un maestro; e per chi aveva creduto in lui era una letizia, la conferma di avere scelto bene, perché quel giovane organista si stava  rivelando un vero talento.
Però parlavamo poco: non serviva. Non potendo accennare anche solo lontanamente a qualche forma di sentimento reciproco preferivamo tacere, sacrificando le parole per concederci, al loro posto, solo sguardi profondi, resi meno intensi dal filtro delle sue lenti da vista.
Il desiderio fisico non era neanche lontanamente contemplato, anche se non potevo ignorare quella strana sensazione di benessere e affanno che mi avvolgeva ogni volta che mi avvicinavo a lui, che le nostre vesti si sfioravano.
Trascorse così l'ultima parte del lungo inverno: le nostre giornate erano fatte di incontri mattutini caratterizzati da voli di pensieri nell'aria, a conferma di una corrispondenza che ci univa nel profondo; seguivano pomeriggi di solitudine, riempiti solo dall'attesa della mattina successiva.


2


Giovedì, 25 marzo
Da oggi faccio parte del coro! Non sarò ancora pronta per i canti della Pasqua, ma mi sto impegnando e il maestro mi ha assicurato che potrò intonare qualche particina nei canti liturgici. Sono contenta! È scoppiata la primavera, anche nel mio cuore.

Poi, venne anche il dialogo: mi sentii molto audace, quando gli proposi di entrare a far parte del coro che dirigeva: io che non gorgheggiavo mai nemmeno sotto la doccia e non sapevo neppure che timbro avesse la mia voce nel cantare. Lui ne fu felice e mi disse di non preoccuparmi, che avrebbe pensato lui a valorizzarla e a insegnarmi i brani del repertorio.
Io non sapevo cosa proporgli per contribuire a mia volta ad aumentare ulteriormente le occasioni d'incontro; ma con la primavera; giunse il tempo di iniziare la coltivazione dell'orto e lui si mise a disposizione. Così, tra i miei fiori e le sue zucchine, ci fu modo di incrementare la conversazione e compiere belle passeggiate tra i campi, parlando dei tanti interessi che condividevamo; di tutti tranne che di un solo argomento, per noi indicibile.
Il tempo passava veloce, ci conoscevamo sempre meglio e questo era allo stesso tempo un piacere e un cruccio perché, con lo scorrere dei mesi e il rapido arrivo dell'autunno, diminuirono le occasioni di stare all'aperto e crebbe il nervosismo per la lontananza forzata. Quando non lo potevo vedere, pensavo sempre a lui.
Capivo che non era un bene: avevo ripreso le lezioni universitarie ma non riuscivo a concentrarmi a sufficienza per tenere dietro allo studio. La mente si staccava troppo spesso dai libri per volare fuori dalla finestra, verso il convento dove lui trascorreva le sue giornate; sapevo che lui stava là nello stesso atteggiamento, con lo sguardo fuori dalla grata della sua cella, il libro sulla scrivania.
Così non poteva andare avanti...

3

Martedì, 13 dicembre
Tra poco inizieranno i preparativi per il Natale e saremo nuovamente insieme tutti i giorni. Come farò a resistere?

L'inverno venne in fretta e, con esso, tornò un periodo di frequentazione più assidua per l'avvicinarsi delle feste natalizie: bisognava preparare i canti delle messe di Natale, addobbare la chiesa, istruire i bambini e i ragazzi delle scuole nelle iniziative che li vedevano coinvolti... E c'era una novità: adesso, lo stargli vicina mi infastidiva e capivo che anche lui provava lo stesso disagio perché i nostri sguardi, ora, invece di attirarsi si sfuggivano come due calamite accostate per il polo sbagliato.
Nei lunghi pomeriggi solitari, avevamo compreso che ci eravamo concessi un lusso che non potevamo e non volevamo permetterci, incompatibile con le nostre comuni scelte di vita.
Iniziò il periodo più buio del nostro rapporto: ora che eravamo spesso a contatto  e tutti erano molto soddisfatti della nostra collaborazione, operare insieme per il bene della parrocchia era una sofferenza, che accettavamo come una meritata penitenza.
Eppure non ci eravamo tuffati volontariamente nel peccato; in noi era ferma la consapevolezza dell'errore e, di conseguenza, il rimorso si faceva strada.
Rimorso, sì, ma anche dispiacere per la sofferenza dell'altro, tanto evidente nei nostri sguardi e invisibile agli altri; e desiderio infinito di uscirne senza l'aiuto di nessuno, perché temevamo che la nostra debolezza potesse diventare il disonore di tutti.
La sensazione più penosa era infatti il pensiero che altri dovessero patire dolore per la nostra colpa.
Allora trascinammo da soli quell'enorme macigno a cui eravamo incatenati e, mentre tutto il mondo si apprestava a festeggiare la Natività, il momento più struggente dell'anno, i nostri cuori erano sempre più pesanti, dolenti e vergognosi insieme.

4

Sabato, 24 dicembre
Tra poche ore si rinnoverà la magia della Notte Santa, ma io provo una grande angoscia. Dentro di me nutro la speranza che Gesù perdoni i miei sbagli. Il mio cuore è sincero e Lui lo sa.

La Notte Santa si avvicinava e l'atmosfera intorno a noi era sempre più magica.
Insieme ai ragazzi dell'oratorio avevamo addobbato sontuosamente la nostra bella chiesa, che ora era ricca di suggestione, armonia e attesa.
Anche noi attendevamo, nutrendo un barlume di speranza: sentivamo che l'avvicinarsi del momento fatidico avrebbe significato qualcosa di nuovo anche per noi. Forse lo sapevamo nel profondo del cuore: la Creatura Divina che stava per nascere ci avrebbe indicato la strada da seguire.
Fu davvero così: quella notte, mentre intonavamo i canti più coinvolgenti, successe qualcosa in noi.
Lui all'organo, io tra i coristi, scoppiammo a piangere e anche se tutti pensarono che si trattasse di emozione, noi stavamo provando un prodigioso senso di liberazione.
Nella magia di quella notte, il Bambino che nasceva aveva attirato a sé tutto il nostro amore; consapevoli di quanto era avvenuto, al momento dello scambio degli auguri anche noi ci abbracciammo.
Per la prima volta i nostri corpi si strinsero l'uno all'altro e fu il momento più bello: vicini come non mai, eravamo finalmente felici di donare il nostro amore nella giusta direzione.

Domenica, 25 dicembre
“...e ritorna il sereno”.
Com'era quella melodia? “È la pioggia che va...”, niente di più adatto a ciò che provo in questo momento: un grande sollievo dopo un periodo estremamente difficile.

Dicono che le preoccupazioni dei giovani sono bazzecole di fronte ai problemi degli adulti. Ma ho scoperto che invece anche a questa età si può stare male.
Molto, molto male.
Non è facile uscire dal labirinto in cui mi ero persa. Il cielo è ancora corrugato di nubi scure e tempestose, ma lo squarcio tra le nuvole si è aperto e vi spuntano i raggi del sole, che mi fanno da guida. I miei pensieri sono di nuovi indirizzati là, oltre quello spiraglio.
...Buon Natale!

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