venerdì 22 giugno 2018

Francesca Protti - Quello che non ho... sono le prove!

“Quello che non ho sono le prove!”
Ci sarebbe stato bene un pugno sul tavolo, o un …merda!, ma non erano cose per l’Ispettore. Troppo posato, troppo composto, troppo rispettoso delle regole, soprattutto di quelle che si dava da solo.
“Vado a fare un giro. Sai mai che l’aria fresca mi faccia venire qualche idea…”

Un caso come tanti. Una persona anziana, una badante straniera, un compatriota poco raccomandabile disposto a tutto pur di racimolare qualche euro. Una delle numerose storie che riempivano le pagine di cronaca e appesantivano il lavoro delle forze dell’ordine. Eppure il trasporto di quella giovane slava gli era sembrato genuino, il pianto sincero. Più del solito, almeno.
Non c’erano segni di scasso. L’assassino, quindi era stato fatto entrare. O aveva le chiavi, che la badante poteva aver sottratto a signora.
La ragazza, però, giurava che le cose non erano andate così. Gli aveva persino mostrato dove signora teneva i soldi della pensione appena ritirata. C’erano tutti. Controlli!, aveva gridato. Il giorno in cui signora era morta, figlia di signora le aveva tenuto compagnia per qualche ora. No sempre faceva così. Lo ripeteva in continuazione. Figlia di signora, figlia di signora, figlia di signora, figlia di signora… E che era andata a trovarla. Come se una figlia non andasse a trovare la madre. Non era detto che chi affidava i genitori a badanti straniere lo faceva per lavarsene semplicemente le mani. Magari era vero il contrario. Avevano solo bisogno di un aiuto proprio perché agli autori dei loro giorni ci tenevano.
L’ispettore aveva fatto cercare l’erede, anche solo per darle la notizia. Era in vacanza e avrebbe ripreso il lavoro di lì a due giorni. Se era via, non poteva aver fatto visita alla madre. Chi ti assicura che fosse davvero via? Era meglio far controllare. Al momento, però, tutto era contro la badante.
Se anche la pensione risultava intatta, potevano aver rubato altro. Il luogo del delitto gli ricordava la casa di una sua prozia, piena di cianfrusaglie buone solo a far polvere e disordine. In quel marasma chissà cosa poteva mancare, forse in casa c’erano altri soldi di cui nessuno sapeva. Ricordava, su di un tavolinetto, una scatola di latta arrugginita, il cui contenuto era sparpagliato tutto intorno.
La ragazza, rassettando casa, poteva aver scoperto un piccolo tesoro e averne parlato a qualche amica incontrata nelle ore di libertà. Una collana di perle? Magari con orecchini e bracciale coordinati. Un dono d’anniversario? O i gioielli per le nozze che si tramandavano di madre in figlia.
Se aveva una figlia,  perché erano in casa della defunta? Forse non si era mai sposata. La madre non se ne era voluta separare e la badante aveva finito con il trovarli. Poi la voce poteva essersi sparsa e qualche mascalzone aveva convinto la ragazza a lasciarlo entrare in casa per prendere un po’ di quel denaro. Signora di sicuro non si sarebbe accorta di nulla. Signora era troppo vecchia per indossarle. Loro, invece, erano giovani. Potevano rivenderle e farci dei bei soldi.
Il caso si presentava già risolto. Qualcosa nell’animo dell’ispettore, però, non era soddisfatto di quella risposta. Le mani curate e il viso pulito di quella giovane donna l’accusavano di fare di ogni erba un fascio. Non sono tutte ladre e approfittatrici. Così almeno gli piaceva pensare.
“Accidenti!”
Tirò un calcio a un sasso lungo la strada che andò a sbattere contro un paraurti. Il suono metallico gli diede una scossa. Decise di concedersi 48 ore di navigazione a vista; se non fosse approdato a nulla, avrebbe archiviato il caso, consegnando alla giustizia la colpevole al momento più probabile. Non gli andava, però, non gli andava per niente quel modo di lavorare approssimativo.
“Uffa!”

Scelse di tornare nell’appartamento e considerare meglio quella scatola di latta. Perché lasciarla lì, se si era sottratto il suo contenuto più prezioso? Perché non rimettere tutto a posto evitando di destare sospetti? Perché i ladri sono esseri umani. E gli esseri umani spesso non ragionano, soprattutto quando vanno di fretta. “Questi non sono ladri di professione, che calcolano ogni minimo dettaglio. Ogni minima eventualità. Questi fanno del carpe diem il proprio motto…” Gli pareva improbabile che dei ladruncoli conoscessero Orazio, ma tant’era.
L’odore di vecchio e canfora si mischiava a quello dei preparati chimici dei tecnici della scientifica, urtando il suo olfatto molto sensibile. Aprì le finestre e si mise al tavolino su cui ancora c’era la scatola. Tenne il giaccone per proteggersi dal freddo. Un ricciolo rosso tiziano, vecchie lettere, qualche foto, un certificato di nascita e altre carte ricoprivano il piano del tavolo, mentre dentro la scatola rimanevano vecchie bolle dell’affitto, un ventaglio e un paio di occhiali da uomo. Nulla gli assicurava che quella latta avesse custodito qualcosa di maggior valore. Era molto più probabile, invece, che l’anziana donnina avesse trascorso qualche ora in balia dei ricordi, dimenticandosi, poi, di riporre di nuovo tutto nella scatola. Oppure un tramestio, dei passi nella stanza potevano averla attirata in camera da letto e l’intruso poteva aver messo troppo impegno nel soffocarne le grida.
Il ragionamento filava, ma l’ostinazione con cui la badante aveva parlato della visita di figlia di signora non lo lasciava tranquillo. Qualcosa sfuggiva al quadro generale. Tutto era troppo semplice, dov’era la fregatura? La cercò nei mucchi di foglie secche lungo il fiume, ma senza successo. Il cercapersone vibrò, era il commissariato. La figlia della defunta era stata rintracciata e stava arrivando. Era meglio se tornava in ufficio.

La donna non doveva essere tanto più giovane di lui, eppure gli ricordava sua madre. Quel tailleur a longuette dal taglio fuori moda, per non parlare del colore. Il cappellino con la veletta strappata, le scarpe con il tacco a rocchetto, quegli strani guanti.
“Che rapporti c’erano tra sua madre e la badante?”
“Semplicemente mia madre non voleva più star sola e io non potevo tornare a vivere con lei. Katia è stata la soluzione migliore, si occupava della casa e della spesa, vegliava sua mia madre.”
“Capisco. Ciò che vorrei sapere, però, è se sua madre si fidava della ragazza o se, invece, la temeva. Le aveva fatto qualche confidenza in merito?”
“Mia madre ed io non ci siamo mai scambiate segreti. Percepivo però che la faceva sentire tranquilla. E questo bastava.”
“Quando ha visto per l’ultima volta sua madre?”
“Domenica, dopo la messa. Ero passata a sincerarmi che Katia, quel giorno in libera uscita, avesse lasciato tutto in ordine, che mia madre non necessitasse di nulla.”
Strano, non pronunciava mai la parola mamma.
“La ragazza, però, sostiene che lei è stata a casa di sua madre il giorno che …” preferì non finire la frase.
“Si sbaglia.”
L’ispettore non se ne stupì. La soluzione era lì davanti a lui, per quanto scontata fosse. Fu solo per curiosità che interrogò ancora la donna.
“Sa dirmi chi è Anita?” Il certificato di nascita ritrovato nella latta riportava quel nome e una data del 1973.
“Mia sorella, credo.”
L’ispettore non riuscì a trattenere la sorpresa.
“Non sono certa che fosse anche figlia di mio padre.”
Tra i documenti ingialliti c’erano anche gli atti relativi a un’adozione, decisioni di famiglia che esulavano dal caso.
“Non ho avuto scelta, capisce?” La donna parlava con lo sguardo rivolto al vuoto.

La polvere del tempo le aggrediva le mani, sentiva la pelle seccarsi. Non se ne curò e continuò a svuotare quella vetusta scatola di latta, le notizie che rivelava avevano un effetto magnetico.
Si guardò i polpastrelli ormai neri. Poi se stessa allo specchio, trovandosi vecchia e stanca.
C’era una sola cosa da fare.
Sua madre dormiva. Si sedette ai suoi piedi, un cuscino di piume tra le braccia. La guardò a lungo, poi prese la sua decisione.
Si alzò e lasciò cadere il guanciale, sistemandolo bene.

“Perché ha dovuto darla via? Perché mi ha privato di tale fortuna? Quando ho trovato la scatola, l’altro giorno, il suo contenuto mi ha aperto gli occhi. E ho ricordato. Gli estranei che vennero in casa a prenderla, a liberarla da quella prigionia prim’ancora che l’aggredisse. Una ricca signora voleva tanto una bambina e accettò subito di adottarla. Ricordo che abitavano davanti a noi, dall’altra parte della strada, la vedevo giocare con i suoi fratellastri – ora so che non erano uniti da alcun legame di sangue – crescere nell’agio e nell’amore. Essere felice, capisce. Era felice. All’epoca non sapevo chi fosse, ho compreso in pieno solo adesso. Lei probabilmente non saprà nulla. Le avranno taciuto la verità. Era poco più che neonata quando venne portata via. Io invece no. Io ero grande. Perché io non avevo avuto altrettanta fortuna? Perché non aveva dato anche me in adozione. Non mi voleva, non mi ha mai voluta. Lo sentivo. Si crede che solo le madri sentano certe cose, ma il cordone ombelicale è a doppio senso. Anche le figlie sentono cose non percepibili dai sensi. Non mi voleva eppure mi ha tenuto e condannato a una vita di stenti e rinunce. Forse per farmi pagare qualche colpa. Non mia, però. Appena tutto ciò mi si è fatto chiaro, ho dovuto punirla per quello che mi aveva fatto. Il cuscino era lì, ai suoi piedi. È stato facile.”
Tacque. Gli occhi sempre fissi su volti che solo lei vedeva.
L’Ispettore si protese lentamente verso di lei.
“Come ha detto?”
“Io non ho parlato.” Ribatté la donna guardandolo dritto in faccia. Ma non era la stessa persona. In quel corpo c’erano due anime che lo shock della presa di coscienza aveva irrimediabilmente separato. I ricordi, nella loro crudele chiarezza, avevano scatenato la reazione più estrema. La badante aveva ragione, la figlia giocava un ruolo centrale, era lei l’assassina. Lui, però, aveva le mani legate, non c’era alcuna prova a sostegno di quella tesi. La donna non avrebbe mai ripetuto tutto quanto in presenza di testimoni, una parte di lei nemmeno sapeva ciò che l’altra aveva fatto.
Non aveva dubbi che la verità fosse quella. Il suo animo si era rasserenato, come quando tutti i pezzi del puzzle si trovano al loro posto. La frustrazione per l’impossibilità di assicurare alla giustizia la vera colpevole, però, gli seccò la gola.
Se anche avesse persuaso il GIP, questi avrebbe preteso delle prove. “Non le fabbrichiamo, Ispettore, le cerchiamo e le troviamo. Se non saltano fuori, vuol dire che non ci sono. E le nostre teorie, per quanto belle e convincenti, rimangono ciò che sono. Teorie. E con le teorie in tribunale non si va!”
Non c’era modo di provare nulla. Era la parola della badante contro figlia di signora. E alla prima non avrebbe creduto nessuno. L’Ispettore sì perché gliel’aveva confessato figlia di signora. Ma figlia di signora non avrebbe mai ripetuto quello che gli aveva detto per il semplice fatto che una parte di lei non ne era consapevole.
Non aveva la benché minima prova.
Bisognava che la badante avesse un alibi. Così la storia si sarebbe un po’ aggiustata. Letaqqen ha’olam. Aggiustare il Mondo, ovvero renderlo più giusto.
L’aveva letto in un libro. Gli era piaciuta e l’aveva eletta a proprio motto. Era il suo mestiere, quello. Aggiustare il mondo era quello che faceva. Anche quando le prove non le aveva. Almeno ci provava.

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