mercoledì 30 maggio 2018

Stefania Paganelli - Parti ragazzo!

Dopo l’afa di oggi, la brezza leggera che spira dal mare è una benedizione.
Siamo rimasti solo noi due sulla spiaggia. Ce ne stiamo seduti sul molo con le gambe a penzoloni nell’acqua senza dire una parola; solo lo sciabordio delle onde e il suono lontano di una radio rompono il silenzio.
Sta per partire questo mio nipote, se ne andrà in giro per il mondo a vivere la sua vita. Così fanno i giovani d’oggi: vanno per il mondo. Ai nostri tempi ce ne andavamo in fondo alla via, nel paese accanto ad andar bene. Gliel’ho ripetuta già un milione di volte ‘sta storia, non lo farò adesso, negli ultimi momenti che passeremo insieme da soli.
«Stavo pensando…» da che ha due anni mio nipote inizia sempre così le sue frasi. «Stavo pensando che tu hai qualcosa che io non ho e che mi farebbe comodo avere in questo momento.»
«Cos’avrò mai che ti può servire! Qualsiasi cosa te le do volentieri» rispondo io, senza riuscire ad immaginare cosa possa mai avere di utile ad un ventenne.
«Le tue rughe, nonno.»
«Le mie rughe?» Chi non lo conosce può rimanere spiazzato dalle sue uscite e dal suo contorto e ramificato pensiero, a volte tortuoso, quasi sempre logico. Io no, ho smesso da un pezzo di stupirmi o per lo meno mi succede raramente.
«Le tue rughe, i tuoi capelli grigi, sembri così sereno alla tua età, un po’ tipo la quiete dopo la tempesta. Vorrei un po’ della sapienza dei tuoi anni.»
«Ragazzo, quel che non ho più io, ma che vorrei avere ancora, è il tuo passo da gazzella, l’argento vivo addosso e l’impazienza dei tuoi giorni.»
«Quello che mi manca è una linea già tracciata che sappia indicarmi la via maestra e una pista da seguire per non perdermi nel nulla. Quello che non ho sono ali forti per volare e piedi saldi per ancorarmi a terra» mi risponde lui.
Mi mancherà questo ragazzo e questo modo tutto nostro di parlarci, un po’ scherzoso, un po’ poetico. Un gioco tra noi, un abitudine, una mania forse, per vincere l’imbarazzo e riuscire a dirci le cose importanti della vita.
«Sono certo che con te porterai un paio di occhi nuovi da sgranare, una coscienza onesta da custodire e la chiave giusta per il cassetto dei tuoi sogni.»
«Quello che lascio già conosco, quel che cerco non lo so, quel che perdo piangerò, quel che trovo amerò» aggiunge lui.
Per un attimo fugace mi ritrovo quasi a desiderare di essere al suo posto, posso sentire vibrare la sua impazienza, il fremito per quel che sarà di qui a poco.
«Quel che non ho più è un infinito domani, quel che mi è rimasto è un lungo ieri» dico, forse con un velo di malinconia di troppo.
«Nonno» riprende lui dopo un attimo di silenzio «nei miei ricordi avrò le tue bolle di sapone da guardar volare con il naso all’insù, le tue stecche di cioccolato per ritrovare il mio sorriso e i tanti racconti sulle tue ginocchia.»
Già, sulle ginocchia! Pareva ieri che, appollaiato sulle mie ginocchia, ascoltava i racconti di un povero vecchio. «E poi? E poi?» ripeteva infinite volte.
E poi eccolo qui, un uomo ormai, cresciuto più veloce di quanto mi aspettassi. Adesso starò io in attesa di ascoltare i suoi racconti.
«Quel che posso darti ora è il mio sorriso, la mia pacca sulle spalle e un porto sicuro a cui tornare, se lo vorrai.»
Non so resistere al desiderio di dire ancora qualcosa che lo accompagni là dove andrà.
«Quel che devi avere è una bocca accorta nel parlare e orecchie pronte ad ascoltare e la forza di cambiare le tue idee per cercarne sempre nuove. Ragazzo mio, tieni sempre a portata di mano un pizzico di ironia, una manciata di follia e tanta allegria...»
Il sole scompare dietro la collina e cala, a poco a poco, il buio. È ora di rientrare forse, ma spero lui non abbia troppa fretta di farlo.
Sento la sua mano coprire la mia appoggiata sul cemento. Rimango immobile senza neanche respirare. Vorrei che il tempo si fermasse per sempre, o almeno fin a che io non fossi pronto a lasciarlo andare, pronto a vederlo partire.
Lui guarda dritto davanti a sé con un sorriso appena accennato sulle labbra e un luccichio negli occhi che posso scorgere nonostante il buio.
Poi si volta e mi guarda. Per la prima volta non sono in grado di leggere tra i suoi pensieri, scorgo solo una lacrima scivolare lenta sulla sua guancia e fermarsi a metà come se non riuscisse a lasciare quella che fino ad ora è stata casa sua.
Allungo la mia mano e sfioro il suo viso per raccogliere quella lacrima, poi la guardo inumidire le mie dita.
Allungo di nuovo la mano verso di lui per quella che deve essere una carezza d’addio.
«Andiamo, è ora adesso. Parti ragazzo, vai e non tornare, è giusto così.»

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