Se ne stava ritto in
piedi, vicino alla palina con le fermate, cercando di mantenere quel portamento
dignitoso che gli avevano insegnato a militare. Il sole lo illuminava facendo
risaltare i riflessi argentei dei capelli, appena scompigliati dal vento, ed i guizzanti
occhi color ghiaccio. Nonostante le rughe, non avevano perso il loro acume; erano
vispi e profondi, pieni di quella consapevolezza che solo chi ha vissuto a
lungo può avere, ricchi del riflesso di un sogno già vissuto.
Non ce n’erano tante,
di giornate così, a Milano. Ma quando il sole ed il blu del cielo si
scatenavano non temevano paragoni, incorniciati com’erano dalle montagne, che
d’un tratto apparivano incredibilmente vicine.
Ricordava ancora la
prima volta che ne aveva notato l’imponente bellezza, da ragazzo. Quel ricordo
lo fece sorridere con malinconia.
Ecco arrivare il
tram.
“Ancora non mi
capacito del fatto che l’abbiano dipinto di arancione. Quand’era verde era
molto più bello. Mah…” pensò, come ogni volta.
Salì a fatica,
trascinando con sé le pesanti buste della spesa.
Da quando prendeva il
tram per tornare dal mercato? Se la sua Caterina l’avesse visto avrebbe riso di
lui. Avrebbero riso insieme, probabilmente.
Un giovanotto educato
gli cedette il proprio posto, così poté sedersi sulle scomode panchette di
legno, sistemando la spesa come poteva e aspettando la sua fermata. Si guardò intorno: era circondato da chiassosi
adolescenti, senz’altro appena usciti da scuola, professionisti dall’aria
indaffarata ed insieme distratti e assenti, e qualche anziana signora un po’
male in arnese, che come lui tornava a casa dopo aver fatto la spesa.
“Santo cielo, non
sarò mica diventato vecchio come loro!”
Il tram rallentò,
scampanellando allegramente. Poi si fermò lasciando salire i nuovi viaggiatori.
Eccola.
La sua ampia gonna si
muoveva leggera al vento, scoprendo appena le ginocchia, le scarpe nere, con un
tacco appena accennato, sottolineavano un’andatura sicura, elegante e sinuosa.
Un impalpabile guanto corto avvolgeva la sua mano.
Un soffio di vento caldo
ed è Caterina, splendida, di fronte a lui. È il 4 aprile del 1952, se lo
ricorda molto bene.
Le sue gambe sono scattanti,
non incerte e fragili come oggi. Il suo braccio tornito e forte, come quello di
un diciassettenne che si affaccia curioso alla vita.
Lei sta guardando
fuori dal finestrino sorridendo al mondo, così lui balza in piedi, ammaliato,
deciso ad avvicinarla.
Si ferma a qualche
metro. Il suo cuore si ferma.
Guarda i suoi capelli
rossi mossi dal vento, incorniciati in un piccolo cappellino colorato, i suoi
occhi accesi di entusiasmo e il suo sorriso.
Poi ecco qualche
secondo di coraggio e il suo mondo finalmente comincia.
-
Perché sorridi?
-
Perché c’è il sole!
Non è un motivo sufficiente?
-
Sì, credo di sì.
Sei felice?
-
Come tutti! Siamo in
pace, è una bella giornata, siamo qui. Sì, sono felice. Tu non sei felice?
-
Ora sono felice.
Come ti chiami?
-
Che importanza ha?
Chiedimi chi sono.
-
Chi sei?
Lei rise soddisfatta.
-
Ti porto con me.
Scesero dal tram e
passeggiarono insieme, senza dirsi una parola, fino al centro. Non riusciva a
smettere di guardarla mentre lei lo precedeva appena, solo di un passo,
girandosi di tanto in tanto ad osservarlo divertita.
Il Duomo era meraviglioso
quel giorno e riluceva nel sole, a guardia della sua gente.
-
Io ti seguo, ma tu
dove mi porti?
-
In cima.
-
A cosa?
-
A tutto!
Indicò con la mano il
tetto del Duomo.
-
Ci sei mai stato?
-
No.
-
È un luogo magico.
Sali con me.
Si mise a correre e
raggiunse in breve l’ingresso laterale, da cui partivano le strette scale per
il tetto.
Lui continuò a
seguirla: mistero e spensieratezza si univano ad una bellezza rara. Non
l’avrebbe mai lasciata andar via, di questo era sicuro.
Arrivarono in alto
col fiatone, ridendo delle reciproche fatiche. Poi uscirono fra le guglie e lui
capì.
La Madonnina,
finalmente tornata a brillare, dopo la guerra, si ergeva felice e luminosa
sulla cima della guglia più alta, mentre i marmi bianchi emanavano una luce
rosea meravigliosa.
Lei corse ad
affacciarsi verso la città, indicando felice le montagne in lontananza. Il
vento le portò via il cappellino, facendole volare sul viso i morbidi capelli.
Parevano un’aura infuocata, posta a circondare il viso delicato dell’innocenza.
Sembrò non accorgersene, e continuò a mostrargli ad uno ad uno i palazzi e le
chiese che riconosceva, così come le cime ancora innevate.
-
Ti ho seguito – le
disse in un momento di silenzio – ora devi dirmi chi sei!
-
Non l’hai capito?
Hai
una vita per scoprirlo.
Si perse ancora una
volta nei suoi occhi, finché uno scossone lo riportò prepotentemente indietro.
Il tram frenò
bruscamente. La giovane che aveva attirato i suoi ricordi cadde proprio di
fronte a lui. L’aiutò immediatamente ad alzarsi, offrendole le sue mani ancora
forti.
“Che strana questa
moda di vestirsi anni Cinquanta”.
Ripresosi dall’urto
si guardò intorno. Non era ancora la sua fermata ma decise di scendere
ugualmente. Aveva bisogno d’aria.
Scrisse un biglietto
rapidamente e, scendendo, lo fece scivolare nella mano della ragazza.
“Lei era il mio sogno.
Lo è ancora. Oggi per me sei stata come il sonno, che lascia che io possa
raggiungerla. Grazie.”
Poi sparì.
Non aveva mai perso
sua moglie del tutto.
C’è un’atmosfera pacata, sognante e rarefatta che ho apprezzato molto, ricorda quasi una canzone di Guccini...
RispondiEliminaLa tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due