lunedì 2 giugno 2014

Lorenzo Bianco – La scatola rossa

La scatola rossa
C’è qualcosa che non ti ho detto.
Che un giorno tutto questo sarebbe finito.

E’ quello che si fa con i doni. Si perde un po’ di se stessi.
Una parte che vive e che muore.
Ecco perché sembrano sempre doni a metà. 

No. Non è un pianto. Sono lacrime per il freddo pungente.

Se per ogni primavera ci vuole un inverno.
Il gelo disegna greche sul viso. Licheni.
Firmamenti di ghiaccio.

Ogni amore inizia e finisce con un abbandonarsi.

Farò posto al futuro per incantare il passato.
Come vento che scuote le fronde.
Reggeranno i tronchi?
Spezzerà le radici?

Tu eri reale.

Ci salverà ancora un sogno.
Da lontano ogni cosa brilla.

Io sono la mia speranza.
Sono l’oriente.

Allargo le braccia. Metterò le foglie.
Come nuova. Sono un’alba di luce e dolore.
Un Biancospino.

Ma da oriente vengono mostri.
Lenti s’incamminano in nere parate.

Vedi anche tu lo stesso cielo?
Sfiori le stesse nuvole che coprono il tramonto?

Oh le mie rose! Le spine sono bellissime quest’anno.
Paragrafi di steli. Fitte punture. Il profumo che dondola.

Una rigogliosa decrepitudine.

Il rosa è oltre la siepe.
Grattato l’azzurro da un’unghia di luna. Oltre ad esso.
Laggiù.

E i confini si spostano.

Se fossi un albero saresti un anello cresciuto nel mio tronco.
Come uno spettro sulla spalla. Mi accompagni.

Dimenticare rende più liberi? Un sacco vuoto non è più libero di un sacco pieno.
Voglio essere piena di dimenticanze. Un sacco pieno di vuoti.
Un lenzuolo che scompare nei buchi.

E vorrei spogliarmi. Nuda, bianca, fredda.
Smettere di bruciare, bruciare, bruciare.

Si può scordare qualsiasi cosa.
Non si dimentica nulla.

Non è cancellare ma ibernare. Fa tanto freddo.

Mi incanto per un attimo in un loop di pensieri. E’ così la malinconia?

Qui non c’è più miele. Solo c’era.
L’irreale non consente di filtrare.
Grumi di dolore.

Si è rotto il vaso di mele e miele.
Il miele e le mele non stanno bene insieme.

Nel barattolo pareva oro con le gemme.
Ora è colla sulla carta. Appiccica parole.

Sembrava Woodstock. Oceano. Eden.
Noi non volevamo il paradiso ma una storia per riconquistarlo.
Ecco perché prendemmo a morsi la mela.

Sono una sognatrice seriale.

Ho nostalgia di ciò che non ho mai avuto
Le bollicine. Brindisi. Champagne e viole nere.

Ti ho voluto un bene terribile!

Tra l’utile e il convenevole mi chiedo se sia umano.
E questo comune angustiarsi è inumano.

Ogni volta era come ritrovarsi senza mai vedersi.
Un amaro amare.

La vita fortunatamente è una guerra.

Me lo dici. Lo ridici. L’indicibile.
Confidenze inviolate. Irrelate passioni.

Se ci incontreremo ricominceremo tutto da capo.

Diffido di chi non ha labbra.

Non si hanno ricordi senza una lingua per esprimerli.
Il verbo scolpisce i pensieri. Detriti.

Non c’è via di uscita al silenzio.

La meraviglia delle ostriche. Sei d’accordo, ragazzo invisibile?
Perle, perle, perle. Ma tu preferisci il tuo fare selvaggio.

Se sono fuoco e non ho fiamma.
Periodo ipotetico. Protasi senza apodosi.

La parola è un innesco che non esplode.

Non ho ricordi. Solo case, stanze, soffitti, cieli.

Un fiume che mi scorre a fianco senza travolgermi.
Non affogo.

Appoggiare a pelo d’acqua una barchetta di carta.
Aspettando che prenda il largo.

Non ti accorgi dei rimpianti finché non raggiungi il mare aperto.
E’ tutto così pieno e tu ti senti così vuota.

Lentamente disperdersi.
Così.
Un simile capitale umano.

Forse non ci sei.

Sei un narciso impervio.
Sfiorisci sul tuo stelo.

Vederti ancora lì. A sedurre anche se di spalle.
Come se avessi mille occhi.

Lo psichiatra dentro me aspetta:
“Un giorno si stancherà e se ne andrà”.

Oppure non lo farai.
E resterai un’icona della mente.

Spendere ogni energia per inventare un’illusione.
Ed accorgersi che bastiamo così.
Reali.

Un giorno forse ci potremo comprendere.
E se non ci sarà più tempo allora
Non ne valeva la pena.

Lo sento. Ci rincontreremo.

Al largo dell’oceano affogo il ricordo.
Lentamente riparare, dimenticare, respirare.

Ti ho donato il mio amore. Ora vive con te.
E’ il nostro bambino.
Non lo vedrò mai più.

La sottrazione.

Tre colpi di tacchi per tornare a casa.

Come un lampo di magnesio
la mia sagoma evanescente
per un istante forse dentro te.

Nella palude degli scomparsi affondo affondo affondo

Hoperdutoilfilohoperdutoilfilohoperdutoilfilo
Dovesonodovesonodovesono?
Mi defilo.
Lui lo sa?

Hoperdutoilfilohoperdutoilfilohoperdutoilfilo
Dovesonodovesonodovesono?
Mi defilo.
Lui lo sa?

Hoperdutoilfilohoperdutoilfilohoperdutoilfilo
Dovesonodovesonodovesono?

Mi defilo.

E’ un parto da te.

Mi giro di spalle poi esco per strada, mi volto, saluto, sorrido.
Mi porto una giacca, un cappello, una borsa, ti scrivo:

“Cammino. Da te mi allontano”.

Mi guardi sparire. Una sagoma sfuma.
Si vede ancora lontano un pochino.
I passi spariti. Contorni sbiaditi.
Si scorge ancora un puntino lontano


Poi più.

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