venerdì 31 maggio 2019

Maria Rita Merlo - Piove petrolio

“ Oggi è una di quelle giornate in cui la cosa migliore da fare è rimanere a letto ! “, rimugina tra sé e sé Matteo mentre cammina svogliatamente diretto all'Oratorio; poco prima, nel tentativo di dare un calcio ad un sasso, lo ha mancato clamorosamente e ha sbattuto l'alluce contro un palo; in testa ha il cappuccio del giubbotto, perchè poco prima un colpo di vento gli ha rovesciato l'ombrello che si è distrutto, tantè che ha dovuto buttarlo in un cestino.
“ Mi sarebbe piaciuto fare una bella partita di pallone, ma, guarda qua che tempaccio ! ”, prosegue il suo monologo, mentre entra nel cortile dell'Oratorio e guarda sconsolato il campo di calcio ridotto ad una risaia, “ oggi si sta chiusi al Bar, speriamo solo che a Don Andrea non venga in mente di fare un supplemento di Catechismo o peggio di  recitare il Rosario, perchè è la giornata giusta che gli rispondo male ! ”.
Matteo ha 13 anni e frequenta la Terza Media, abita a Trecate, un paesone della Pianura Padana, al confine tra Piemonte e Lombardia, nei pressi del Fiume Ticino; ha un fratello, Lorenzo, che ha 10 anni e fa la Quinta Elementare; Mamma Antonella lavora in Banca a Vigevano e Papà Aldo è operaio a Novara; a dire il vero, da qualche tempo, i suoi genitori litigano spesso e il ragazzo, sensibile e intelligente, ha capito che le cose non vanno bene, ne soffre, cerca di capire , ma né suo fratello, né i nonni sembrano essersi accorti di nulla, magari è solo una sua impressione !
I nonni materni, Andreina e Rino, sono un importante punto di riferimento per i due ragazzi: dopo la scuola, visto che i genitori sono fuori per lavoro tutto il giorno, vanno sempre a pranzo da loro, lì fanno i compiti, giocano, litigano, insomma li tengono allegri fino a sera, quando li passa a prendere Antonella.
Dunque, avevamo lasciato Matteo all'ingresso dell'Oratorio, per fortuna nel grande salone,  ad un tavolino sono già seduti i suoi amici Marco e Luca, che chiaccherano allegramente, lui si lascia cadere pesantemente su una sedia di fronte a loro:
“ Che brutta faccia che hai, ti è morto il gatto ? “, gli domanda subito Luca;
“ Lascia stare, oggi non me ne va dritta una ! “;
“ Esagerato, cosa ti sarà mai successo ? Dai racconta...”;
“ La mala sorte è iniziata ieri, quando l'Inter ha perso 2 a 0 e perdere contro il Torino è una sconfitta che vale doppio! “;
“ Vedi, te l'abbiamo sempre detto che tifi per la squadra sbagliata ! ”, lo deridono gli altri due, uno milanista e l'altro juventino, “ noi abbiamo vinto ! ”;
“ Begli amici ! Invece di consolarmi, mi prendono in giro ! “;
“ Uh, come siamo permalosi ! E poi cos'altro ti è capitato? “;
“ Stamattina non è suonata la sveglia, sono stato buttato giù dal letto dalla Mamma che strillava di fare in fretta e mi ha accecato accendendo di colpo la luce, mio fratello è stato più veloce di me e mi ha rubato il posto in bagno, così sono arrivato in ritardo a scuola, mi sono beccato 2 ramanzine, una dal bidello e una dalla Prof. Di Italiano; per finire in bellezza, la Prof. Di Matematica ha restituito  corretti i compiti in classe , che mi sembrava di aver fatto bene e invece ho preso 4, adesso come faccio a farlo firmare ai miei ? “.
Marco e Luca ridacchiano sotto i baffi, cercando di non farsi notare, perchè il povero Matteo è veramente afflitto :
“ Ma volete sapere la ciliegina sulla torta? La nonna per pranzo ha fatto la Casoeula, io odio le verze ! “.
Dopo l'ultima patetica confessione, i due amici non riescono più a trattenersi e scoppiano in una sonora risata, facendo arrabbiare ancora di più Matteo, che quasi li prenderebbe a sberle; per fortuna, proprio in quel momento entra Don Andrea con una proposta che viene subito accolta da tutti i presenti con entusiasmo:
“ Dai ragazzi, facciamo un bel torneo di Calciobalilla ! “. 
In breve, non senza discussioni e battibecchi, vengono formate le squadre e, stabiliti i turni di gioco, si inizia l'epica sfida: Matteo gioca in coppia con Luca contro due ragazzi albanesi, Dennis e Arven, che giocano molto bene e mettono a dura prova i due amici italiani; a conferma del fatto che oggi per Matteo è proprio una giornata no, dopo una mezz'oretta la partita Italia-Albania è sul risultato di 2 a 7, quando all'improvviso di sente un fastidioso sibilo, seguito a breve tempo  da un forte boato, il pavimento trema, qualcuno grida:
 “Il terremoto, scappiamo ! ”.
Don Andrea e i baristi invitano a mantenere la calma, ma a uscire al più presto in cortile.
Nel giro di pochi mimuti, tutti i ragazzi sono fuori, impauriti e infreddoliti, contiunua a piovere, Matteo si infila il giubbotto che ha preso al volo prima di uscire, una grossa goccia gli cade sul naso, istintivamente l'asciuga con la mano, che rimane unta e sporca di nero, altre due o tre gocce si fermano sulla manica, le guarda, le annusa, le tocca :
“ Questa non è acqua, sembra petrolio “ dice ad alta voce.
Altri ragazzi si sono accorti di questa strana pioggia, qualcuno grida:
“ E' successo qualcosa alla raffineria ! “.
Istintivamente tutti gli occhi si girano ad Est e con sgomento vedono alzarsi in cielo una nube nera, mentre proseguono il frastuono e la pioggia mista a petrolio.
Don Andrea, visibilmente preccupato, prende in mano la situazione:
“ Riparatevi tutti sotto il tendone vicino al campo di calcio, io entro a fare qualche telefonata “.
In attesa di notizie, ognuno fa le sue supposizioni, Matteo, posizionatosi nei pressi del bordo esterno  del tendone, guarda attentamente la nube nera, riflette qualche istante e poi dice:
“ La raffineria si trova a Sud-Est, guardate invece la colonna di fumo si alza da Nord-Est “.
Tutti si rendono conto che è vero, ma la preoccupazione resta e può solo aumentare quando Don Andrea ritorna dicendo che il telefono non funziona, quindi bisogna andare in Comune a chiedere informazioni, il barista si offre volontario dicendo che il Sacerdote è meglio che resti coi ragazzi; stanno ancora prendendo gli ultimi accordi, quando dal portone entra una macchina dei Carabinieri che portano la notizia attesa e purtroppo temuta :
E' il 28 febbraio 1994, alle 15 e 30 circa, a causa dell'eccessiva pressione, è collassato uno dei numerosi pozzi di petrolio della zona, causando un'enorme eruzione di greggio, che poi ricade nelle zone circostanti misto alla pioggia; sembra che non ci siano feriti, si sta evacuando velocamente la zona circostante l'impianto, sono state bloccate le strade e la ferrovia, solo l'autostrada che è lontana qualche kilometro rimane transitabile; inoltre è necessario che i residenti della zona rientrino al più presto nelle loro case, tengano porte e finestre chiuse, in attesa di istruzioni sul comportamento da tenere per la loro sicurezza.
I ragazzi presenti all'Oratorio vengono divisi in gruppi in base alla loro zona di residenza e accompagnati a casa, alcuni dal Don col pulmino della Parrocchia, alcuni in macchina dal barista, altri dai Carabinieri, nessuno deve muoversi a piedi e da solo, viene data la precedenza ai più piccoli.
E' passata almeno una mezz'oretta quando un Agente chiede a Matteo:
“ E tu dove abiti ? “;
“ Dietro la chiesetta della Madonna delle Grazie, ma adesso non c'è a casa nessuno “;
“ Mi spiace, ma lì non ci puoi proprio andare “;
“ Per il momento vorrei andare dai miei nonni, che abitano vicino alla Piazza, ma poi stasera, quando arrivano i miei genitori, possiamo tornare a casa ? “;
“ Purtroppo no, tutta quella zona è stata evacuata perchè è vicinissina al pozzo collassato, nessuno può entrare finchè non si riesce a fermare il flusso di petrolio e a metterlo in sicurezza...magari tutta la tua famiglia potrà essere ospitata  temporaneamente dai nonni...”;
“ Ma a casa abbiamo tutte le nostre cose, i libri di scuola...”;
“ Capisco che i disagi sono molti, ma non vorrete mica rischiare la vita ? “;
“ Beh, rischiare no, spero solo che si risolva presto, intanto io andrei dai nonni, ci vado da solo, è vicino “;
“ Assolutamente no, guarda lì a destra ci sono altri tre ragazzi che abitano in centro, vi accompagnamo noi tutti insieme “.
Il Carabiniere non ha ancora finito di parlare che si apre la porta ed entra il nonno di Matteo :
“ Buonasera  Agente, sono il nonno di questo ragazzo e, se permette, lo porto a casa e, nel frattempo, accompagno anche gli altri tre ragazzi ”; 
“ Ma certo, un aiuto in questo momento è prezioso “.
Mentre si avviano alla macchina posteggiata in cortile, Nonno Rino dice :
“ Scusa Matteo se ho fatto tardi, ma prima ho voluto recuperare il tuo fratellino, lui è più piccolo, sai che è uscito da scuola alle 16 e 30 ? “;
“ Non ti preoccupare Nonno, piuttosto lo sai che non possiamo tornare a casa ? Ma credi che ci sia davvero tutto questo pericolo ? “;
“ Guarda tu stesso, la strada è scivolosa come se fosse ghiacciata, il tergicristalli non riesce a pulire il vetro e senti la puzza e il rumore ? “;
“ Hai ragione, speriamo che Mamma e Papà riescano a tornare ! “;
“ La nonna ha tentato di chiamarli, ma i telefoni non funzionano ! “.
Arrivati sani e salvi a destinazione, Matteo si sente più al sicuro, ma, anche se cerca di non darlo a vedere per non spaventare Lorenzo e la Nonna, è preoccupato; per il  paese circola un'auto che all'altoparlante raccomanda di restare in casa con porte e finestre chiuse, in Tv un'edizione speciale del Telegiornale racconta la notizia, tra le altre cose dice anche che arriveranno dei consulenti dal Texas, specializzati nello spegnimento dei pozzi di petrolio.
Finalmente intorno alle 19 arriva la Mamma e un quarto d'ora dopo anche il Papà, sono molto in ritardo perchè le strade principali sono bloccate, hanno dovuto cercare dei percorsi alternativi utilizzando strade di campagna; l'agitazione è palpabile, ma tutti si danno da fare per organizzarsi: Matteo e Lorenzo dormiranno nella cameretta che era della Mamma, qualche vestito di ricambio dai Nonni ce l'hanno sempre e poi domani non dovranno nemmeno andare a scuola; Antonella e Aldo dormiranno sul divano letto in sala, per loro il problema abiti di ricambio è più complesso, dovranno accontentarsi di quello che mettono a loro disposizione i Nonni.
Sono le 20 passate quando Andreina mette in tavola la cena, la televisione è accesa a basso volume, si commentano le notizie, ognuno avanza ipotesi e suggerimenti, pian piano la tensione si stempera, si riesce anche a parlare di altri argomenti: la scuola, il lavoro, gli hobbies e la serata si risolve con una bella riunione di famiglia, come da tempo non se ne facevano; quasi senza accorgersene arriva l'ora di andare a letto, scambiandosi prima un sorriso, una coccola, un bacetto...
Matteo, prima di addormentarsi, ripensa a quella strana giornata, ma nel cuore e nella mente gli resta il ricordo della bella serata: lui e la sua famiglia era da tempo che non stavano così vicini, vorrebbe tanto che tra i suoi genitori ritornasse la serenità di qualche anno prima e spera : “ Tutto è possibile se stiamo vicini “. 
“ Papà, papà, non leggere il giornale, per favore vieni a giocare con me !!! “ ; chi ha parlato, o meglio urlato è Francesco, ha 3 anni ed è il figlio di Matteo; già, sono passati 25 anni, quante cose sono successe nel frattempo ! Matteo è ritornato con la memoria a quel 28 febbraio del 1994 mentre leggeva il giornale che racconta i fatti di allora, ora ha la sua famiglia: la moglie Marta e il piccolo Francesco che sono la sua gioia; purtroppo, qualche mese dopo la bella serata a casa dei nonni, i suoi genitori si sono separati, il papà se ne andato di casa e si dimenticato di Matteo e Lorenzo, che ne hanno sofferto molto.
“ Arrivo subito Francesco, a cosa vuoi giocare ? “, risponde allegramente Matteo, correndo incontro al suo bambino; una cosa è certa: lui non abbandonerà mai la sua famiglia, anzi si ripete spesso: “ Tutto è possibile se stiamo vicini “.

Lorenzo Bianco - Nodo in gola n. 1

Ti guardo
allontanarti
di spalle
lungo i binari

la tua figura
controluce
che nel rosa
lenta sparisce

mi prende
un fremito
una strana
nostalgia
e mi dimentico

che non so chi sei.

Lorenzo Bianco - Dove cade lo sguardo

Il primo albero fu un pioppo. Lo incontravo da bambino quando dalla camera guardavo il treno che passava in lontananza: una littorina marrone che fischiava in corsa su un ponte. La sua chioma tonda, più vicina a me che al treno, per un gioco di prospettiva lo faceva tremare mentre filava in velocità tra le foglie.

A volte sogno di tornare in quella casa. Suono al campanello conosciuto con un nome non più mio, chiedo permesso al nuovo proprietario, mi riaffaccio ancora a quel balcone e con un tuffo al cuore lo rivedo, col fogliame fremente e chiassoso, come volesse salutarmi.

Ci sono sguardi che ci crescono a fianco e ci appartengono. Fanno compagnia per anni, senza che abbiamo il garbo di accorgercene.

Il secondo albero fu un tiglio. Gigante. Ci eravamo trasferiti dal paese alla città. Ora stavamo in un grande palazzo, dalle larghe vedute, le vette alte in lontananza e le torri, le cupole, i campanili. Per non essere da meno decise di levare il fusto più in alto di ogni sguardo, gareggiando con il settimo piano dove stavo. Dovette sembrare a qualcuno una grave impudenza e la scortesia meritava un castigo.

Fu così che saggiai l’esperienza del taglio: si accanirono su quel tronco arrogante come Nostro Signore sulla torre di Babele. Non rimase che un ceppo monco come il moccolo di una candela. Faceva pena guardarlo in quell’umiltà obbligata, un ribelle piegato dalle frustrate. Ma come il mutilato crede di provare ancora dolore all’arto ormai amputato, anche a noi, guardando dove c’era prima la chioma, pareva di non poter andare oltre con lo sguardo, come se fosse ancora lì, persistente. La sindrome della fronda fantasma.

Il terzo albero fu un bosco, anzi un groviglio di robinie. Stava in fondo alla strada dove abito, un vicolo cieco. Creando un varco tra l’intrico di rovi si sbucava davvero, come Alice, in un altro mondo. L’argine della roggia si allargava su zone fiorite e incolte, con crochi e narcisi, orti abusivi e alberi da frutto. Ne andavo così fiero da chiamarlo giardino segreto e ci passavo ore in compagnia dei miei gatti e anatre, cince, fringuelli e altri animali.

Arrivarono tempeste di vento e un’acacia commise il reato di cadere, fortunatamente senza causare danni a cose o a persone. Un effetto lo produsse però nell’animo di quei residenti che non si erano mai accorti di quella macchia che incorniciava di verde il parabrezza durante i loro posteggi serali. Iniziò a serpeggiare un dapprima comprensibile e poi esasperato senso di insicurezza. D’altronde la natura se non suscita indifferenza, o smuove cuori avidi, o semplicemente fa paura. Si richiese a gran voce l’abbattimento, definendolo con pudore “sfoltimento”. Nel dubbio fu raso al suolo tutto, ogni albero, cespuglio o arbusto. Fu spianato anche l’argine perché non l’avesse vinta baldanzosa l’erba o, per carità, qualche fiore. Lasciarono però i resti, rami e sterpi caduti, a futura memoria. La sicurezza imperava.

Non potei assistere alla presunta potatura per cui quello che dico l’ho potuto soltanto immaginare, ricostruendo la scena a ritroso con ciò che era rimasto, riavvolgendo il nastro. Lo stesso giorno bruciava Notre Dame e le coincidenze sono, in qualche modo, vere.

Iniziarono dall’albero più alto (e perciò temuto), con l’inquietante nome di gaggìa. Lo schianto fu breve come si addice ad un legno leggero. La guglia verde parve dondolare piegandosi riverente al cielo. Cadendo mosse le chiome scosse da seimila sonagli bianchi di profumo (invisibili volute di incenso). Sembrò un inciampo, come se l’arroganza di quel moto incauto trovasse un impaccio di radici sollevate. Cadere è un po’ volare, l’istante in cui si cede pare di stendere ali verdi, i rami planano e salutano la mano rozza che li taglia. Dall’alto il nido delle gazze si staccò e cadde un po’ più distante dall’albero. Non è certo se abbia protetto a sufficienza quelle uova, le sue tre reliquie preziose.

Andò così, forse, ma il risultato invece è certo. Tornato a casa alzai lo sguardo verso ciò che avevo perduto.

La vista era nuda, violata, assente. Sentii un vuoto dentro, poi vergogna e senso di colpa. Tutto nasceva da una legittima e civile istanza di sicurezza. Ma la desolazione di quell’educata prudenza lasciava gli stessi segni di una violenza carnale.

Silva Bettuzzi - Periodo blu

Mi attirano i colori
che anche quando cantano
ricordano i colori
dei nostri silenzi. Tremano
sotto la frangia
di un sogno interrotto,
che sfuma
la tua immagine di me
in un angolo
del tuo sorriso che dorme.
Mi stringo
addosso una coperta
azzurra con il bianco
dei tuoi capelli sul mio viso.

È consistenza
di toni, il bianco,
caverna
di un tempo acceso
che si azzera
tra lenzuola spaiate
di soppiatto
con il blu di Picasso…

Silva Bettuzzi - Ombre del tempo

Ti guardo dall’alto, ombra:
noi che stiamo aggrappati alla terra
lo sappiamo che non finisce adesso
sulla linea del verde, il tuo tepore.
Lo spegnimento di ogni voce
non elude l’ascolto
del tuo passo, che m’insegue
sul confine del tempo.
La parete immobile ti accoglie
densa di me. Così vicini
restiamo accanto al tremito del glicine
sulle pendici estreme della luce.
Si allungano i contorni
tenui della tua quiete, ora che
lentamente si affaccia la mia sera.

mercoledì 15 maggio 2019

Pierpaolo Lavatelli - Legami

(sonetto caudato)



Sono forze che tengono uniti,
un'attrazione elettrostatica
che lega gli atomi in chimica,
creando intrecci tra i più arditi.


Come trama di fili infiniti,
astuta funzione matematica
di una sempre più complessa logica;
così perfetta da restar stupiti.


Vicini per equilibrar l'insieme,
sostenendosi ben stretti a vicenda:
forme liquide, solide, gassose.


Combinate sicchè tutto risplenda,
diventan più forti stando assieme,
così come le storie amorose.


Nate da attrazioni affettuose,
fatte di attenzioni premurose.

Pierpaolo Lavatelli - Crome e biscrome

Sulla linea armonica
siamo sopra e sotto;
strette strette in otto
nella scala melodica.


Insiem a formar la tonica,
esplodendo di botto
o regolari al trotto:
siam musica sinfonica.


Larghe, a braccia tese,
sulla linea dei bassi
un avvolgente tappeto.


Sì vicine come sassi,
rotolanti in discese,
o tanti aghi nel pineto.


Final serio o faceto?

Con lo stridòr d’archetti sui violini,
melodia della Norma di Bellini.

Pierpaolo Lavatelli - Agfa Isolette Vario

La nostra foto è datata "May 1964"; è stata scattata con una macchina a soffietto, per la precisione un’Agfa Isolette 6 x 6.
Siamo nel mio giardino, i tulipani in fiore e tu ed io per mano: inseparabili compagni di gioco.
Sì, tu Nicoletta ed io Paolo; con quei tuoi capelli a ricci neri e i miei biondi, ancora mi ricordo che correvo da te sulla strada polverosa a zig zag tra le pozzanghere.
Spesso ti trovavo già in strada e, insieme a una nuvola di ragazzi, iniziavano le nostre giornate di gioco.
Un intero mondo in quattro strade, con dei confini che sembravano invalicabili; il nuovo che avanza rubando terra alla campagna: anche noi due come nella canzone " Il ragazzo della via Gluck".

Non passava un’auto, la strada era solo la nostra; per terra ancora i segni dell’ultimo "brucio" disegnato il giorno prima, le linee di divisione: di qua le guardie e di là i ladri.
I cantieri delle case in costruzione erano accessibili; la nostra pista per le biglie di vetro tra i mucchi di sabbia: <Speriamo che domani non vengano a lavorare se no ci tocca rifare tutto>.
Oh sì certo, avevamo anche la montagnola segreta, dove si poteva sparire in mezzo all'erba e ai cespugli, dove stavamo noi due vicini vicini... tremando che potessero scoprire il nostro nascondiglio.
Così aspettavamo il momento giusto per liberarci e andare a toccare la tana: sempre insieme, inseparabili, un respiro solo, non so chi fosse il braccio e chi la mente.
Pochi giocattoli, anche i tubi in cemento della futura fognatura, posati sulla strada, andavano benissimo per nascondersi.
Ogni cosa su quelle strade era nostra: un’opportunità di gioco e una risorsa da tenere sempre in considerazione.

Ricordo bene che ti cercavo, tu sul balcone al terzo piano ed io dalla strada, noi ragazzi allora, non usavamo campanelli, tantomeno il telefono: <Nicoletta, vieni giù a giocare?>.
Niente guai per la testa, non sapevamo cosa succedesse nel mondo: le nostre mani unite, strette per darci coraggio reciproco; così da dividere la timidezza in due, darsi la forza di affrontare le avventure.
Superare il confine là, in fondo alla strada, il limite concesso dai nostri genitori: la frontiera che separava la strada dei giochi, dalla campagna.
Solo in pochi si avventuravano: la mamma poteva essere sul balcone e dare un’occhiata in strada, per non parlare del classico "spione" che, non avendo il coraggio di venire con noi, lo andava a spifferare ai nostri genitori.
Invece tu ed io non ci saremmo traditi mai; mi ricordo di quando andavamo a saltare i covoni del fieno nel prato e correvamo a perdifiato fino al fosso: <Lo saltiamo Nicoletta?> e tu <Dammi la mano che ho paura... >.
Oh, sì che più di volta ci siamo sbucciati le ginocchia, grattati sui gomiti e punti con le spine: a casa poi, disinfettando la ferita con l'alcool, bruciava da piangere con i lacrimoni!
Il giorno dopo, si giocava di nuovo, con bel cerotto o la garza tenuta dal nastro e le ferite cosparse di Streptosil in polvere.

Ho sempre pensato che la fiducia è una cosa naturale, che ti arriva da qualcosa che è come un valore a parte, tu ed io ci fidavamo di noi.
Per non farci sorprendere a ritornare dalla strada dove abitavamo, facevamo il giro di tutto l'isolato; ci sembrava davvero come un giro intorno al mondo. Avevamo la distanza e i condomini in costruzione che ci facevano da schermo per gli sguardi e, di certo, eravamo convinti di scamparla come sempre.
In un altro fosso dei ragazzi facevano volare per aria le latte della marmellata usando il carburo: si sentiva un gran botto e la latta volava nel cielo. Forse, nella fantasia dei ragazzi di allora, sembrava di poter volare come una navicella della missione Gemini della Nasa.
Tu ed io, sempre; giocavamo anche con le bambole, loro erano le nostre figlie ed io il papà che ritornava dal lavoro.
Un finto fornello da cucina di plastica bianca, le padelle e le pentole; tu facevi le catenelle all'uncinetto per interi pomeriggi perché giocavamo, a "Facciamo il marito e la moglie."

Il nostro isolato, chiuso da quattro strade, era attraversato da una roggia che lo tagliava trasversalmente; le nostre mamme andavano a lavare e sciacquare i panni e qualche volta ci chiedevano aiuto per portare il secchiello con le lenzuola.
Per noi ragazzi, per te e me, quella roggia sembrava a un fiume inesplorato che s’inabissava in misteriose gallerie sotterranee per poi sbucare fuori all'improvviso: da dove arrivasse, non lo sapevamo; le sorgenti erano nascoste in una giungla impenetrabile di piante e arbusti. Non avevamo di certo il coraggio di spingerci fino a là...

La roggia era il nostro acquario: lì andavamo a vedere i pesci e stavamo ad ammirare le idrometre che scivolavano sulla superficie; cercavamo di prendere le farfalle e restavamo incantati dal turbinio azzurro delle libellule di roggia.
Quando ci sentivamo coraggiosi e nessuno ci poteva vedere, a piedi nudi camminavamo lungo il corso della roggia.
L'acqua spesso era gelida e tremavamo come foglie: ricordo che tu avevi una paura matta delle sanguisughe, non so chi ti avesse raccontato cose che non erano vere, ci credevo pure io, ma la curiosità di esplorare quel mondo vinceva sulle paure.
Qualcuna si attaccava ai tuoi piedi e tu, come impietrita dal terrore, mi chiamavi per fartela staccare.
Le lunghe alghe si distendevano lungo il senso della corrente come tentacoli di una piovra, le potevi sentire sfiorarti i piedi mentre camminavi nell'acqua... E tu, lanciavi qualche gridolino: mentre, i pesci sul fondo, fuggivano altrove in una nuvola di fango.
Tu eri brava a costruire le barchette di carta; le appoggiavi sulla superficie e poi, con un piccolo colpo del dito, le mandavi giù con la corrente.
Tu ed io, le guardavamo sparire sotto il ponte che attraversava la strada: che cosa non avremmo dato per scoprire il corso di quella roggia!  L'accesso era chiuso tra le case e chissà se la barchetta sarebbe arrivata fino in paese?

< Sai Nicoletta, laggiù dove ci sono le sorgenti, c'è un mulino, l'ha detto la mia mamma, qualche volta andiamo a vedere?>.
Era più che proibito! Già eravamo lontani troppo da casa quando andavamo ai lavatoi della roggia!
Sono passati tanti anni così; per strada giocavamo con tutti, ma tu ed io avevamo un’attrazione naturale come due poli di segno opposto.
L’estate andavo al mare con i miei genitori e fu proprio in quell'occasione che mi comprarono un piccolo canotto per "solcare le onde".
Tornato a casa dal mare, un giorno d'estate, mi venne l'idea di esplorare il corso della roggia con il canotto, beh certo che era impossibile potersi infilare sotto il ponte stradale: lo spazio non era sufficiente per passare. Così la scelta cadde sul primo tratto del percorso che arrivava dal mulino e scendeva fino ai lavatoi che erano in fondo alla tua strada.

La corrente della roggia era lenta e per iniziare la prima discesa ci spostammo di qualche metro su dall’ultimo lavatoio: era necessario entrare in acqua e mentre tu salivi io, tenevo fermo il canotto per non farlo ribaltare.
Ricordo che fu così che, piano piano, allungavamo sempre di più il tragitto, fino a inoltrarci dove la stradina lungo la roggia diventava una singola striscia di terra tra l’erba del sentiero, e non senza un certo batticuore arrivammo proprio là, dove non eravamo mai stati.
Con nostra grande sorpresa non c’era una sorgente, ma la roggia arrivava da un fosso che si perdeva nel verde, molto più lontano.

Così, una volta saliti sul canotto io a prua e tu a poppa, con i piedi a contatto, in mezzo alle piante e all’edera che scendeva giù fino a toccare l’acqua, tra i fiori e il ronzio dei tafani, i riflessi e le acque trasparenti, sognammo di essere su un fiume e di vivere un’avventura unica.
Oh sì che, nei vari tentativi di salire a bordo, ci bagnammo da capo a piedi!
Ricordo che ci siamo tolti i vestiti e li abbiamo messi sull’erba alta stesi al sole ad asciugare… non ho mai notato che tu fossi diversa da me… eri la mia amica specialissima, tu eri uguale a me nei miei pensieri e nella realtà delle cose: che beata innocenza!

Tuo padre, successivamente, fu trasferito per motivi di lavoro, cambiasti casa e non ti vidi più.
Un giorno, andando per il paese in mezzo a tante persone, ti rividi all’improvviso… eravamo già adulti, ma è stato automatico per noi riprenderci per mano e guardarci come allora.
Con la voce un po’spezzata dall’emozione e la certezza di un ricordo indelebile, ti raccontai di quella nostra fotografia, in mezzo ai papaveri, del Maggio del 1964: tutti e due avremmo voluto tornare indietro e fermarci in quello scatto così bello e sereno, per sempre.

Ciao Nicoletta dal tuo caro amico Paolo.

venerdì 3 maggio 2019

Francesco Grano - Ritrovarsi

     Due giovani medici, Alessandro di 28 anni e Martina di 26, si incontrano in un ospedale piemontese, che li ha assunti per un corso di formazione specialistica nella divisione di cardiologia.
     Sono fratelli ma non si riconoscono. Sono stati divisi venti anni prima ed affidati per l’adozione a famiglie distanti centinaia di chilometri l’una dall’altra, a seguito della decisione del tribunale dei minori. Non hanno più i genitori naturali, morti in un incidente stradale tanti anni fa. Purtroppo all’epoca non furono individuati parenti prossimi capaci di badare ai due ragazzi, per cui, dopo un periodo di affidamento temporaneo a due famiglie interessate, verificato che l’inserimento era riuscito bene, il tribunale decise di consentirne l’adozione definitiva. Oggi Alessandro vive nel cuneese in una famiglia benestante composta da papà funzionario di banca, la madre insegnante di scuola media, una sorella più grande di due anni.
     Martina invece è stata adottata da una famiglia di Mantova composta da papà dirigente d’azienda, la madre funzionaria Asl ed un fratello maggiore di due anni.
Entrambi hanno assunto il nuovo cognome delle rispettive famiglie adottanti, per cui quando si presentano in pubblico o ad amici ripetono il cognome acquisito, pur ricordando bene il vero cognome originario.
     Una mattina di marzo inizia per sei giovani laureati in medicina, tra cui Alessandro e Martina, un percorso di specializzazione. Si ritrovano insieme, quattro donne e due uomini, negli uffici dell’ospedale che li ha convocati. Emozionati come studenti al primo esame, si guardano attorno per studiare l’ambiente, si presentano a vicenda scambiandosi le prime solite battute ovvie, sapendo di trovarsi di fronte a concorrenti diretti, in gara per l’assegnazione di un posto definitivo in organico, una volta terminato il ciclo di formazione.
     Dopo un po’ vengono tutti fatti entrare nello studio del primario della divisione, il quale recita il discorsetto di rito per il benvenuto, poi i sei stagisti vengono presi in carico da un assistente che guida tutti in reparto per prendere possesso degli spogliatoi e successivo inserimento a fianco dei medici titolari.
     Martina ed Alessandro quando si presentano non si riconoscono, ma nella loro gestualità e nello sguardo vi è qualcosa di già visto.
     I sei stagisti trascorrono la prima giornata di formazione in modo convulso. Sempre a correre dietro al tutor, a sentire quello che lui dice, ad ascoltare le risposte del personale sanitario e non. Alla fine del primo giorno i sei vengono informati sui turni della settimana. Martina ed Alessandro sono assegnati a sezioni diverse. I loro incontri, casuali, avvengono all’entrata, all’inizio del turno, oppure occasionalmente in una delle pause durante le ore di lavoro, davanti alla macchinetta del caffè. 
     Un pomeriggio, sul tardi, si ritrovano all’uscita dell’ospedale, a fine turno. Sono assieme ad altri colleghi. Alessandro si rivolge a Martina e le offre di sedersi al bar lì vicino per prendere qualcosa. Il bar ha tavolini all’esterno in una zona alberata dove è piacevole sostare, visto anche il bel sole che va a tramontare. Martina accetta e i due si accomodano all’ombra di un grande platano. Ordinano due tisane. Alessandro chiede che vengano dolcificate esclusivamente con miele, possibilmente di castagno. La cosa fa sorridere Martina ma nei vortici della sua memoria affiora qualche vago ricordo.
     Anche in casa sua, quella originaria, c’era l’abitudine di far uso di miele di castagno.                   Lo ricorda bene perché spesso c’erano discussioni a causa del fratello che esagerava nell’usarlo. Alessandro, guardando bene Martina, nota che ha tre piccoli nei tra naso e labbra sulla parte destra del viso. Questo particolare non gli è nuovo ed anche per lui la memoria comincia ad andare indietro a riaprire cassettini chiusi da tempo alla ricerca della verità. I loro aspetti sono notevolmente cambiati rispetto a quelli di venti anni fa. I due chiacchierano, si informano sulle rispettive provenienze e scoprono di non essere originari di Cuneo o di Mantova, bensì sono nativi entrambi di Casale Monferrato.
     Questo particolare apre uno squarcio nella memoria di ognuno.
     Procedono nell’indagine, curiosi di sapere quali altri particolari condividono.   Nessuno dei due per il momento ha voglia di parlare della propria situazione familiare, ritenendolo un argomento strettamente riservato. Si guardano negli occhi, si studiano, intimamente vogliono sapere qualcosa di più. Poi riprendono a parlare dei giochi e dei luoghi che da bambini frequentavano. In particolare entrambi ricordano che la domenica andavano in gita nel parco del Po. Spesso salivano sulle barche, percorrevano piccoli 
tratti e poi sostavano su isolotti pieni di canne. Lì facevano a gara a chi vedeva più aironi, giocavano a nascondino, a tirare sassi nell’acqua del fiume. O semplicemente a starsene seduti e zitti ad ascoltare il lento movimento del fiume. Non c’era bisogno di parlare. Bastava guardarsi negli occhi per capire i pensieri dell’altro. Senza pensieri. I genitori provvedevano a tutto. Poi stendevano le tovaglie sull’erba e facevano merenda.  A questo punto i due ragazzi, si rendono conto di avere molti punti in comune, di conoscersi molto bene. Martina rompe gli indugi e rivela il suo vero cognome, come un fiume in piena parla della sua tragedia familiare e dell’adozione di cui ha usufruito per merito della famiglia mantovana. 
     Alessandro, intontito dallo shock, conferma di avere lo stesso cognome originario di Martina e spiega anche la sua storia di adozione. I due sono fratelli. Si alzano e si abbracciano con grande affetto, mentre la gente seduta al bar ai tavolini accanto ed i viandanti li guardano stupiti, curiosi di sapere cosa sta succedendo. Le guance dei due ragazzi si bagnano di lacrime abbondanti. Dopo tanto tempo si sono ritrovati a dispetto della burocrazia, che tante volte aveva impedito la loro frequentazione con cavilli astrusi.  
     La vita, crudele nell’adolescenza, ha ora deciso di ridare l’opportunità ai due fratelli di godere della confidenza e dell’amicizia che solo un rapporto così stretto di parentela, in genere, può dare. Naturalmente Alessandro e Martina quel pomeriggio e buona parte della sera li trascorrono insieme parlando di tutto. Alla fine si ritirano nei rispettivi appartamenti che condividono con altri studenti.
     Da quel momento la loro vita cambia. Le rispettive famiglie adottive informate dai ragazzi del loro incontro, decidono di vedersi e conoscersi.  Il lavoro e lo studio in ospedale diventano più lievi, si sentono più empatici verso gli ammalati. Hanno voglia di raccontare a tutti la bellissima storia che è loro capitata, del ritrovamento di un fratello e una sorella.
     Trascorrono i mesi. Alessandro e Martina procedono molto bene nel loro percorso professionale, si sentono uniti e forti tanto da tentare la via della specializzazione all’estero. Alessandro vince una borsa di studio per andare negli Usa a Houston nel Texas. Martina ha ottime possibilità invece di essere confermata medico titolare 
nell’ospedale dove sta lavorando. Sono ottime prospettive per tutti e due, ma se accettassero andrebbero incontro ad una nuova separazione, anche se temporanea, almeno per due o tre anni. Martina comprende le ragioni del fratello ma non fa nulla per 
farlo desistere dal proposito di andare così lontano. Le decisioni importanti della vita vengono prese sempre in solitudine, così Alessandro, tormentato dalla scelta che deve affrontare, riflette sul complesso di vantaggi e svantaggi. È tentato di rinunciare alla prospettiva favolosa di frequentare una delle migliori accademie mondiali nel campo della cardiologia. Perché abbandonare tutto? Una buona soluzione la può trovare anche in Italia e non dovrebbe separarsi dalla famiglia ed ora anche da sua sorella. Ma ecco che Martina gli va incontro e gli offre una soluzione. Indubbiamente la ragazza ha un carattere ben determinato, capace di affrontare e risolvere problemi. La soluzione che lei propone è quella di accompagnarlo negli USA, anche senza borsa di studio, proponendosi di trovare impiego in una struttura medica del luogo per mantenersi autonomamente. È disposta quindi a rinunciare alla vita comoda in Italia per agevolare il fratello nella nuova avventura americana, senza contare che anche lei potrebbe usufruire di effetti positivi dati da un’esperienza estera, che un domani tornerebbe sempre utile anche in caso di ritorno in Italia.
     Martina e Alessandro senza parlarsi hanno trovato una soluzione perfetta. Ancora una volta, come accadeva da ragazzi, non hanno avuto bisogno di dire nulla, si sono capiti al volo ed i loro cuori sono andati al di là della ragione.