mercoledì 15 maggio 2019

Pierpaolo Lavatelli - Agfa Isolette Vario

La nostra foto è datata "May 1964"; è stata scattata con una macchina a soffietto, per la precisione un’Agfa Isolette 6 x 6.
Siamo nel mio giardino, i tulipani in fiore e tu ed io per mano: inseparabili compagni di gioco.
Sì, tu Nicoletta ed io Paolo; con quei tuoi capelli a ricci neri e i miei biondi, ancora mi ricordo che correvo da te sulla strada polverosa a zig zag tra le pozzanghere.
Spesso ti trovavo già in strada e, insieme a una nuvola di ragazzi, iniziavano le nostre giornate di gioco.
Un intero mondo in quattro strade, con dei confini che sembravano invalicabili; il nuovo che avanza rubando terra alla campagna: anche noi due come nella canzone " Il ragazzo della via Gluck".

Non passava un’auto, la strada era solo la nostra; per terra ancora i segni dell’ultimo "brucio" disegnato il giorno prima, le linee di divisione: di qua le guardie e di là i ladri.
I cantieri delle case in costruzione erano accessibili; la nostra pista per le biglie di vetro tra i mucchi di sabbia: <Speriamo che domani non vengano a lavorare se no ci tocca rifare tutto>.
Oh sì certo, avevamo anche la montagnola segreta, dove si poteva sparire in mezzo all'erba e ai cespugli, dove stavamo noi due vicini vicini... tremando che potessero scoprire il nostro nascondiglio.
Così aspettavamo il momento giusto per liberarci e andare a toccare la tana: sempre insieme, inseparabili, un respiro solo, non so chi fosse il braccio e chi la mente.
Pochi giocattoli, anche i tubi in cemento della futura fognatura, posati sulla strada, andavano benissimo per nascondersi.
Ogni cosa su quelle strade era nostra: un’opportunità di gioco e una risorsa da tenere sempre in considerazione.

Ricordo bene che ti cercavo, tu sul balcone al terzo piano ed io dalla strada, noi ragazzi allora, non usavamo campanelli, tantomeno il telefono: <Nicoletta, vieni giù a giocare?>.
Niente guai per la testa, non sapevamo cosa succedesse nel mondo: le nostre mani unite, strette per darci coraggio reciproco; così da dividere la timidezza in due, darsi la forza di affrontare le avventure.
Superare il confine là, in fondo alla strada, il limite concesso dai nostri genitori: la frontiera che separava la strada dei giochi, dalla campagna.
Solo in pochi si avventuravano: la mamma poteva essere sul balcone e dare un’occhiata in strada, per non parlare del classico "spione" che, non avendo il coraggio di venire con noi, lo andava a spifferare ai nostri genitori.
Invece tu ed io non ci saremmo traditi mai; mi ricordo di quando andavamo a saltare i covoni del fieno nel prato e correvamo a perdifiato fino al fosso: <Lo saltiamo Nicoletta?> e tu <Dammi la mano che ho paura... >.
Oh, sì che più di volta ci siamo sbucciati le ginocchia, grattati sui gomiti e punti con le spine: a casa poi, disinfettando la ferita con l'alcool, bruciava da piangere con i lacrimoni!
Il giorno dopo, si giocava di nuovo, con bel cerotto o la garza tenuta dal nastro e le ferite cosparse di Streptosil in polvere.

Ho sempre pensato che la fiducia è una cosa naturale, che ti arriva da qualcosa che è come un valore a parte, tu ed io ci fidavamo di noi.
Per non farci sorprendere a ritornare dalla strada dove abitavamo, facevamo il giro di tutto l'isolato; ci sembrava davvero come un giro intorno al mondo. Avevamo la distanza e i condomini in costruzione che ci facevano da schermo per gli sguardi e, di certo, eravamo convinti di scamparla come sempre.
In un altro fosso dei ragazzi facevano volare per aria le latte della marmellata usando il carburo: si sentiva un gran botto e la latta volava nel cielo. Forse, nella fantasia dei ragazzi di allora, sembrava di poter volare come una navicella della missione Gemini della Nasa.
Tu ed io, sempre; giocavamo anche con le bambole, loro erano le nostre figlie ed io il papà che ritornava dal lavoro.
Un finto fornello da cucina di plastica bianca, le padelle e le pentole; tu facevi le catenelle all'uncinetto per interi pomeriggi perché giocavamo, a "Facciamo il marito e la moglie."

Il nostro isolato, chiuso da quattro strade, era attraversato da una roggia che lo tagliava trasversalmente; le nostre mamme andavano a lavare e sciacquare i panni e qualche volta ci chiedevano aiuto per portare il secchiello con le lenzuola.
Per noi ragazzi, per te e me, quella roggia sembrava a un fiume inesplorato che s’inabissava in misteriose gallerie sotterranee per poi sbucare fuori all'improvviso: da dove arrivasse, non lo sapevamo; le sorgenti erano nascoste in una giungla impenetrabile di piante e arbusti. Non avevamo di certo il coraggio di spingerci fino a là...

La roggia era il nostro acquario: lì andavamo a vedere i pesci e stavamo ad ammirare le idrometre che scivolavano sulla superficie; cercavamo di prendere le farfalle e restavamo incantati dal turbinio azzurro delle libellule di roggia.
Quando ci sentivamo coraggiosi e nessuno ci poteva vedere, a piedi nudi camminavamo lungo il corso della roggia.
L'acqua spesso era gelida e tremavamo come foglie: ricordo che tu avevi una paura matta delle sanguisughe, non so chi ti avesse raccontato cose che non erano vere, ci credevo pure io, ma la curiosità di esplorare quel mondo vinceva sulle paure.
Qualcuna si attaccava ai tuoi piedi e tu, come impietrita dal terrore, mi chiamavi per fartela staccare.
Le lunghe alghe si distendevano lungo il senso della corrente come tentacoli di una piovra, le potevi sentire sfiorarti i piedi mentre camminavi nell'acqua... E tu, lanciavi qualche gridolino: mentre, i pesci sul fondo, fuggivano altrove in una nuvola di fango.
Tu eri brava a costruire le barchette di carta; le appoggiavi sulla superficie e poi, con un piccolo colpo del dito, le mandavi giù con la corrente.
Tu ed io, le guardavamo sparire sotto il ponte che attraversava la strada: che cosa non avremmo dato per scoprire il corso di quella roggia!  L'accesso era chiuso tra le case e chissà se la barchetta sarebbe arrivata fino in paese?

< Sai Nicoletta, laggiù dove ci sono le sorgenti, c'è un mulino, l'ha detto la mia mamma, qualche volta andiamo a vedere?>.
Era più che proibito! Già eravamo lontani troppo da casa quando andavamo ai lavatoi della roggia!
Sono passati tanti anni così; per strada giocavamo con tutti, ma tu ed io avevamo un’attrazione naturale come due poli di segno opposto.
L’estate andavo al mare con i miei genitori e fu proprio in quell'occasione che mi comprarono un piccolo canotto per "solcare le onde".
Tornato a casa dal mare, un giorno d'estate, mi venne l'idea di esplorare il corso della roggia con il canotto, beh certo che era impossibile potersi infilare sotto il ponte stradale: lo spazio non era sufficiente per passare. Così la scelta cadde sul primo tratto del percorso che arrivava dal mulino e scendeva fino ai lavatoi che erano in fondo alla tua strada.

La corrente della roggia era lenta e per iniziare la prima discesa ci spostammo di qualche metro su dall’ultimo lavatoio: era necessario entrare in acqua e mentre tu salivi io, tenevo fermo il canotto per non farlo ribaltare.
Ricordo che fu così che, piano piano, allungavamo sempre di più il tragitto, fino a inoltrarci dove la stradina lungo la roggia diventava una singola striscia di terra tra l’erba del sentiero, e non senza un certo batticuore arrivammo proprio là, dove non eravamo mai stati.
Con nostra grande sorpresa non c’era una sorgente, ma la roggia arrivava da un fosso che si perdeva nel verde, molto più lontano.

Così, una volta saliti sul canotto io a prua e tu a poppa, con i piedi a contatto, in mezzo alle piante e all’edera che scendeva giù fino a toccare l’acqua, tra i fiori e il ronzio dei tafani, i riflessi e le acque trasparenti, sognammo di essere su un fiume e di vivere un’avventura unica.
Oh sì che, nei vari tentativi di salire a bordo, ci bagnammo da capo a piedi!
Ricordo che ci siamo tolti i vestiti e li abbiamo messi sull’erba alta stesi al sole ad asciugare… non ho mai notato che tu fossi diversa da me… eri la mia amica specialissima, tu eri uguale a me nei miei pensieri e nella realtà delle cose: che beata innocenza!

Tuo padre, successivamente, fu trasferito per motivi di lavoro, cambiasti casa e non ti vidi più.
Un giorno, andando per il paese in mezzo a tante persone, ti rividi all’improvviso… eravamo già adulti, ma è stato automatico per noi riprenderci per mano e guardarci come allora.
Con la voce un po’spezzata dall’emozione e la certezza di un ricordo indelebile, ti raccontai di quella nostra fotografia, in mezzo ai papaveri, del Maggio del 1964: tutti e due avremmo voluto tornare indietro e fermarci in quello scatto così bello e sereno, per sempre.

Ciao Nicoletta dal tuo caro amico Paolo.

1 commento:

  1. Dolci ricordi evocati dal tuo racconto, nostalgia di un meraviglioso tempo passato 💟

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