Mi sono appena svegliata: mi sono
trovata a sedere a gambe incrociate, nel modo in cui mi sono addormentata, la
testa ancora rivolta verso il basso, mentre le braccia hanno iniziato a
stirarsi e si allungano.
Si allungano fino a raggiungere i
due metri ed a toccare due spigoli.
E mentre rialzo la testa mi
accorgo che sono al centro di una figura geometrica, di un esagono – credo – e
che le mie mani ne toccano due spigoli; sono caldi, rossi, quasi bollenti, come
il mio cuore, in fiamme, incendiato inaspettatamente.
Ieri sera ci siamo incrociati per
la prima volta. Io e te.
Sembrava quasi che qualcuno, un
Allegro Chirurgo con in mano il suo elettrobisturi si divertisse ad inserire
dentro di me piccoli pezzettini di te ed a farmi infuocare facendomi notare che
tutto combaciava come pezzi di uno stesso puzzle.
Alla fine della serata i vertici
dell'esagono erano luminosi, felici ed uniti.
È l'incipit di un amore.
Il fuoco arde inizialmente su ogni spigolo, su ogni punto
comune ai lati/solchi, si iniziano poi ad issare e a costruire delle pareti
solide.
Amore. Colpisce crea radici, si
sviluppa e si innalza.
Adesso sono ancora seduta e mi
guardo intorno incuriosita...in quelle magnifiche sei pareti infatti vedo me
stessa infinite volte. Sono dunque specchi?
Riflettersi: diversamente da
quanto si possa credere, la moltitudine di immagini non mi serve per
nascondermi in mezzo a tanti fantasmi illusori di me stesso, ma a scoprirmi ed
a vedermi meglio.
Amare significa aprirsi e mettersi
in discussione ogni giorno, guardarsi dentro e stabilizzare la struttura, quel
prisma in costruzione.
Non sono sola: mentre mi alzo per
avvicinarmi allo specchio, sento la mia schiena unita ad un'altra.
Nello specchio siamo in due, le
nostre immagini sono un disegno che si ripete sulle pareti che crescono sempre
più in alto.
Siamo come quei piccoli oggetti
all'interno di un caleidoscopio, che rappresentano il germe, la forma locale specifica, che si ripete indefinitamente
negli specchi, in modo da formare un'immagine che sembra quasi infinita.
Ogni volta che il caleidoscopio
viene agitato, i pezzettini cambiano la posizione relativa tra di loro e cambia
l'immagine finale.
L'Allegro Chirurgo si diverte a
guardarci, a muovere quel prisma che Noi abbiamo creato; ci fa danzare in una
serie interrotta di immagini.
A Noi succede quindi di ritrovarci
in diverse situazioni: Io e Te in casa nuova; Io e Te in due
stanze diverse dopo aver appena litigato; Io e Te in viaggio in auto (tu che
guidi - io con i piedi fuori dal finestrino).
E nell'immagine totale cambiano i
colori, gli umori, le strutture cristalline che si stabilizzano.
Frattali, che danno l'impressione
che il nostro amore sia infinito.
In una danza, a scatti, come le
immagini in sequenza ottenute con le polaroid o nelle diapositive delle
vacanze felici.
Mentre il nostro osservatore si
diverte, noi saliamo sulle scale a pioli apparse sulle pareti a specchio.
Passano per noi le stagioni ed attraversiamo gli spigoli, con i nostri scarponi
adatti ad ogni disavventura. Mano nella mano.
Abbiamo camminato a lungo. Abbiamo
risalito le pareti. Fino a raggiungere la cima, dalla parte opposta dell'occhio
dell'osservatore, fino raggiungere la vetta del prisma. Aperto l'oblò alla fine
del Caleidoscopio, all'esterno ci siamo sporti ed in piedi, nel vento, sempre
mano nella mano, abbiamo guardato l'orizzonte, la sabbia, il mare.
Guardando anche indietro, a tutti
i passi fatti, alla costruzione della nostra storia, al nostro segreto.
Non c’è più bisogno di essere
osservati o protetti all’interno di una qualsiasi forma geometrica: siamo
autonomi ed i nostri piedi possono marciare senza aiuti.
Dopo montagne di fotogrammi
sgranati e quasi discontinui del racconto legato solo alla memoria, rimane
l'immagine della carrellata in movimento, in allontanamento, di noi nel nostro
salotto – io seduta per terra accanto a te ai piedi del divano e tu con la tua
birra e la sigaretta in mano, così vicini, così complici, così futuri.
Adesso è tutto così semplice.
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