Le mie
mani, pietra fredda,
non ali,
non nuvole
contengono
la tua voce
e il lungo
tacere del cielo
sassolini
bianchi da gettare a caso
e nessuna
strada da ritrovare
nessun
ritorno possibile.
Le mie
mani sentono i suoni
delle
giostre adesso deserte
toccano la
superficie livida
di un
ricordo che esiste
solo in
fondo a un mare
sconosciuto
e distante come
stelle
vagamente immaginate.
Le mie
mani, pozzo profondo
di
desideri senza acqua
e una luce
intravista da lontano
mani di
neve e terra, cesti
di frutta
e marzapane e qualche
germoglio
a non fare primavera
anche se
arrivassero le rondini
e
venissero a beccarmi il dolore
dalle
dita. Senza chiedere
nulla in
cambio, se non
briciole
di volo e piccoli
rami da
nido in costruzione.
Le mie
mani, fatica, unghie rotte,
tessere
d’un mosaico infinito
fotografie
sfocate, mosse,
mani in
fuga, cavalli che corrono,
amore, la
linea della poesia,
un pezzo
di universo, altri pianeti
un’aria
diversa, altro respiro,
mani a
conca per bere
a larghe
sorsate dal ruscello.
Mani
voglie stonate e arsura,
tenerezza
e figli e coperte calde,
mani chiuse
sulle tue lacrime,
in veglia
di dolcezza ed ansia
mani
colonne, per reggere
il mondo
come Atlante,
grandi e
calde e stupite
dalla
morbida carezza
di un
sogno inseguito e fermato
sul tuo
viso in un momento
solo come
dita di un amante,
il cuore
in gola, la paura
di
svegliarmi e non trovarti,
di
tagliarmi mentre sbuccio
un
rimpianto troppo duro.
Notturno
d’astri pensosi,
mani
foglia e albero e foresta
e ancora
fuoco e scintille
luccicanti
come una volta
stellata
da rovescio, ché
solo così
potrebbe il mio
sestante
calcolare
la tua
altezza sopra l’orizzonte
e
ritrovare infine la parola
per dar
nome alla tua stella
vicina
questa volta, qui
nelle mie
mani,
ancora,
sempre.
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