Antonio Rinaudo era un
contadino. E lo era perché suo padre era stato un contadino, suo nonno era
stato un contadino e via via all’indietro, fino a dove la memoria riusciva ad
arrivare, tutta la sua famiglia aveva sempre lavorato la terra. Era venuto su in
Cascina, con i suoi fratelli e le sue sorelle, fatto tutte le elementari e
perfino le medie giù in paese, e al momento giusto aveva anche trovato una
moglie: la Rina. Ecco ,
a essere onesti quella non era stata una cosa poi così semplice, però. Perché
lui con le donne non sapeva proprio come fare. La natura, per giunta, non gli era
venuta esattamente in aiuto: grande, grosso e con i vestiti dei fratelli
maggiori sempre o troppo stretti o troppo larghi, aveva sempre dovuto contare
ciecamente sul detto che sostiene che un uomo più bello di un asino sia già un
bell’uomo. C’era qualcuno degli amici, viceversa, che non se ne lasciava
scappare nemmeno una, e lui aveva anche provato seguirne i consigli. Ma non era
servito a nulla. Eppure, malgrado tutto, quando aveva visto Caterina la prima
volta in chiesa, lei aveva guardato lui e non c’era stato bisogno di altro. O
quasi. In realtà aveva dovuto seguire l’intera trafila: l’approvazione delle
famiglie, il fidanzamento, tutte quelle cose che servono per sposarsi insomma. Ma
alla fine ce l’avevano fatta. E visto che alla Cascina lo spazio ormai era quello
che era, alla nuova coppia era toccato di spostarsi al Cascinino, forse un po’
troppo isolato ma sicuramente un bel posto. Lì avevano continuato a mandare avanti la
terra, inclusa quella che Caterina si era portata dietro in dote. Poi era arrivata
la guerra. C’erano stati morti e ammazzamenti , dispersi, feriti e mutilati.
Eserciti regolari, bande e sbandati erano venuti e se ne erano andati via,
lasciandosi alle spalle più che altro lutti e macerie. C’erano stati gli
attentati, le rappresaglie, i
bombardamenti, fortunatamente non troppo vicini. E soprattutto c’era stata la
paura, la paura e la fame. Caterina era sempre rimasta al suo fianco, lui da
solo di certo non ce l’avrebbe fatta. Poteva solo sperare di essere stato per
lei lo stesso sostegno che lei era stata per lui, aveva compiuto anche
l’impossibile pur di riuscirci. Ma queste
non sono cose di cui uno va a chiedere. Infine era scoppiata la pace, e la
vita, lentamente, era tornata quella di prima. I figli erano arrivati subito
dopo, in fretta: tre maschi e due femmine in totale, e farli crescere e
diventare persone decenti era stato un gran bell’impegno. Nel frattempo il mondo era cambiato. In
campagna si usavano macchine sempre più grosse e potenti, e dove prima lavoravano
tante persone adesso ne bastavano molte, molte meno. I figli erano andati a studiare in città e
avevano poi fatto le loro scelte. Solo il più piccolo, Pietro, era tornato a
lavorare i campi, e ormai riusciva a stare dietro praticamente a tutto da solo
o quasi. Erano arrivati la televisione, i telefonini e poi anche l’internet. Il
paese si era dapprima spopolato, le case erano rimaste vuote e tanti negozi avevano
chiuso. Il camioncino della frutta e verdura non passava più, nemmeno quello
che vendeva le sedie a sdraio. Per fare la spesa, anche spicciola, bisognava
andare in città. Al centro commerciale, dove metà delle cose che servivano per
davvero non te le vendeva più nessuno. Se perdi un bottone, diceva la Rina , devi cambiare tutta la
camicia. Poi la gente era tornata, ma non erano gli stessi prima. Adesso
arrivavano da posti che non riuscivi a trovarli neanche sull’Atlante De
Agostini. Senegal, Sri Lanka, Ucraina. E avevano tutti la medesima faccia,
quella che avevano anche loro quando c’era la guerra: la faccia di chi ha fame,
ha paura. Alcuni erano venuti a vivere in Cascina, tanto ormai di posto ce ne
era, e aiutavano il figlio piccolo (che intanto era diventato grande) a mandare avanti la terra. Un giorno
probabilmente l’avrebbero presa loro, come avevano preso il bar del paese. E lo
tenevano anche meglio di quelli che c’erano prima. Poco male, così andava il
mondo. Le cose cambiavano e uno ci si doveva adattare.
Antonio uscì nel cortile
del Cascinino. Erano rimasti solo lui e Caterina adesso, anche Pietro aveva
preferito farsi costruire una villetta in paese. Un peccato, perché il
Cascinino, come si diceva, era proprio un bel posto. E restava “ino” solo in
paragone alla Cascina, in effetti di spazio ce n’era in abbondanza. Spazio e
tranquillità. La strada che ci arrivava finiva lì, e appena più avanti il fiume
si allargava per prender fiato e saltare giù da uno sbarramento costruito
chissà poi per quale motivo. Intorno erano rimasti due vecchi filari di pioppi,
e a maggio, quando liberavano i loro fiocchi, sembrava sempre che nevicasse.
Comunque, loro avevano ormai superato la settantina ma il Padreterno li aveva
tenuti in buona salute, e restare un po’ in disparte non era certo problema. Anzi.
Era difficile capire perché la gente preferisse ammassarsi nei condomini,
piuttosto, o nelle villette a schiera, con tutti i casolari abbandonati che
stavano andando in rovina. Arrivò fino al portone, da lì l’ampio specchio
d’acqua del fiume restava proprio di fronte.
Gli piaceva guardare la campagna che si rimetteva in movimento al
mattino presto, specialmente ora che la primavera era appena iniziata. Dalla
cucina arrivavano i consueti rumori della colazione. E i profumi, che mettevano
una fame da lupi già da soli. Spesso e volentieri, ormai, si svegliava prima di
Caterina, ma poi restava lì nel dormiveglia ad attendere che lei si alzasse per
prima. Per pigrizia, certo (se lo
meritava però), ma anche per godersi quegli ultimi minuti di intimità prima che
le incombenze quotidiane li separassero per il resto della mattinata. E poi a
Caterina non sarebbe piaciuto scoprire di non essere più il motorino di
avviamento della giornata. L'avrebbe fatta sentire in qualche modo meno
importante. La casa, la famiglia erano
la sua vita, e lui avrebbe fatto tutto quello che serviva per tenerla al
centro del mondo, a costo di doversi riaddormentare ogni volta. Almeno, così
amava pensare al mattino presto, e più se lo ripeteva più gli sembrava
plausibile. Un movimento insolito al
centro preciso del laghetto, se così si può dire, colpì la sua attenzione. Aguzzò
la vista per capire cosa stesse guardando, poi, quasi automaticamente, chiamò:
“Rina! Vegna a vidè che strani Agni in rivà!” Vale a dire “Vieni a vedere che
strane anatre sono arrivate!” In effetti non erano anatre, ma Svassi. Svassi Maggiori per la precisione, non molto
comuni a quei tempi. Si erano piazzati proprio nel punto in cui lo slargo del
fiume raggiungeva la sua massima ampiezza e, presumibilmente, profondità. Quasi
subito il maschio aveva preso a lanciare strani latrati in direzione della
femmina. Quindi si era immerso, per riemergere immediatamente accanto alla
compagna che nel frattempo aveva assunto una posa che ricordava un gatto in
agguato. Terminata l’operazione, la pantomima si era ripetuta a parti
invertite, e poi ancora e ancora... Dopo un po’ di girarsi intorno, uno dei due
si era sollevato sul pelo dell’acqua di tutta la sua altezza, e l’altro gli si
era posto di fronte nella stessa posizione, accompagnando il movimento con una
serie di trilli e richiami. Erano rimasti così per parecchi secondi, dritti
come due pinguini sul ghiaccio, poi erano ridiscesi, iniziando a scuotere le
teste a destra e a sinistra. C’erano state altre rincorse e scuotimenti, e danze
e balletti che culminavano spesso in quella strana posizione in piedi
sull’acqua, pancia contro pancia. In un paio di occasioni c’era anche stato uno
scambio di doni, ciuffi di alghe raccolte sul fondo sembrava.
“As veda che as voran
ben”, "Si vede che si vogliono bene", commentò dolcemente Caterina,
che doveva già essere arrivata da qualche tempo.
Antonio si voltò e la
guardò negli occhi. Come tanti anni prima, in chiesa, non c’era bisogno di
altro. Non c’era mai stato. Però questa volta non poté far a meno di pensare a
quei due uccelli, nel fiume, che stavano dichiarando il loro amore al mondo intero. Pensò a tutte
le occasioni in cui avrebbe potuto fare lo stesso. Avrebbe dovuto fare lo
stesso. Pensò ai giorni della guerra,
pensò alla nascita dei figli. E a quando se ne erano andati. Pensò agli anni
che avevano trascorso insieme, e non erano stati tutti buoni. In un istante
pensò a tutto questo, e a come lei era sempre stata lì per lui. E lui per lei,
ma di questo non se ne era mai parlato. Perché di queste cose non si parla, no?
Non serve. Non sta bene. Però, stavolta..
Strinse a se la sua
Caterina, e con voce incerta le mormorò: “Ti amo.”
Lei rimase sbalordita
per un lunghissimo istante, poi, con la stessa voce rotta dall’emozione,
rispose. “Anch’io ti amo, Tonio.”
Era la prima volta che dichiaravano
il loro amore. Con la pratica sarebbero migliorati.
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