Soffiava la brezza in riva al mare Adriatico. Soffiava
tra i capelli, scuotendo i miei pensieri.
Soffiava sulle onde, increspandole a riva in
flessuose piroette.
Correva lo sguardo sulla linea dell’orizzonte.
Era un pomeriggio afoso d’agosto. Leggevo e sognavo, sognavo e leggevo.
La mente è come una farfalla che vola tra le
idee che crea la fantasia, vi si poggia in un attimo di serenità e poi riprende
a vagare in cerca della sua oasi.
Rimasi a lungo a fissare l’orizzonte dopo aver
letto quelle ultime righe sulla sofferenza di un amore non rivelato. Di scatto
mi alzai e cercai un contatto con lo spazio che mi circondava. Percorsi chilometri
di spiaggia nella più totale assenza, non accorgendomi del tempo che continuava
a scorrere veloce e del sole che mi accarezzava le spalle spogliandole del loro
tenue pallore, sorda alle grida dei bambini che costruivano castelli di sabbia
ingoiati dal mare a riva.
A un tratto sentii una voce che interruppe il
flusso dei miei pensieri. In realtà credo mi stesse chiamando da un po’, ma
solo in quel momento avvertii la sua presenza e alzai lo sguardo.
Mi chiese: “Scusi, sa dove si trova lo
Stabilimento Balneare Aurora?” Rimasi un attimo sorpresa e guardandomi attorno
mi accorsi di aver vagato per ore e di non sapere con precisione dove mi
trovassi. Rimasi a fissarlo immobile, incrociando i suoi occhi castani lucidi e
profondi. Risposi con una frase sciocca, ma fu la prima cosa che mi balenò per
la mente: “Eh io che ne so … Perché chiede proprio a me?” Lui rispose: “Tu dove
stai andando?” - “Non lo so” - risposi - “Sto seguendo il vento che mi ha
portato fin qui col suo soffio leggero, mentre osservavo le nuvole danzare
intorno al sole e le onde trascinarmi nell’acqua”. “Interessante! Come ti
chiami?” - “Carlotta, e tu?” ribattei senza esitazione. “Paolo … Ti va un
gelato?” - ”Sì, in effetti sto camminando da ore, sto cercando risposte, ma
finora ho trovato solo domande … le mie … le tue …”. E così ci incamminammo
sulla sabbia bollente, lasciando che le nostre orme vicine si stampassero sulla
sabbia. In effetti non so perché accettai l’invito di questo sconosciuto. Fu
l’istinto a spingermi ad andare. E mi sembrò come se Paolo fosse stata l’unica
persona ad essersi accorta di me. Ebbi l’impressione che quella mia fuga
momentanea dal reale fosse passata inosservata a tutte le persone che avevo
incrociato sui miei passi fino a quel momento. E il fatto stesso che Paolo,
invece, mi avesse notata fu un’ulteriore spinta a fidarmi di lui.
Iniziava ad incalzarci la brezza marina,
disperdendo i granelli di sabbia casualmente.
Arrivammo senza accorgercene al Lido Aurora.
Alzai lo sguardo e vidi l’insegna scintillare. Esclamai: “Lido Aurora! Non era
lo stabilimento che stavi cercando?” Paolo esitò nel rispondere, poi disse: “In
realtà sono partito dal Lido Aurora, non mi sono perso … Anch’io sto cercando
delle risposte … Scusa se ti ho mentito, ma avevo bisogno di parlare con chi
sta provando le mie stesse sensazioni”. Restai per un momento in silenzio. In
effetti il suo discorso mi turbò, mi sentii per un momento nuda, perché
sembrava leggesse nella mia anima. E ciò mi procurò vergogna, un’improvvisa
voglia di fuggire. Ma non riuscii a muovermi. Sull’arena c’era una vecchia
barca abbandonata, celeste e bianca, due colori che si armonizzavano col cielo
e la spuma del mare. Sedetti su quella vecchia imbarcazione, scolorita dalla
salsedine e dagli anni. Affondai i piedi nella sabbia ed il viso tra le mani come
per coprirmi. Paolo si accorse dei miei tentennamenti, del mio malcelato
imbarazzo e mi raggiunse. Mi disse: “Che gusto preferisci? Pistacchio?”. Di
nuovo rimasi stupita. Il pistacchio era il mio gusto preferito e annuii senza
guardarlo.
La scogliera brillava sotto la carezza dei raggi
del sole, gli stessi raggi che scivolavano sulla mia pelle sciogliendo le paure
nel cuore, come lastre di ghiaccio. Paolo mi confessò che da un po’ mi
osservava negli afosi pomeriggi di quel mese quando ero sola sotto il mio
ombrellone e lui girovagava sulla spiaggia in cerca di risposte. Si era accorto
che i miei occhi osservavano,ma non guardavano, erano l’espressione
dell’essenza del pensiero. E lui era affascinato da questa mia diversità
rispetto a tutti gli altri “attori” che animavano la spiaggia. Rimasi a
fissarlo intensamente, mentre la sensazione di “nudità” lentamente scivolava
via. Gli dissi: “Sono incinta”. Paolo rimase sorpreso da queste mie parole, che
attraversarono la sua mente come un fulmine improvviso. Ora leggevo nei suoi
occhi lo stesso imbarazzo che avevo avvertito io fino a pochi istanti prima.
Poi continuai, constatando la sua esitazione: “Teramo non è una metropoli, tra
un po’ lo sapranno tutti … Anche i miei genitori … Ho solo 18 anni!”.
Paolo era uno studente universitario, frequentava
la Facoltà di
Architettura. Ancora un esame e poi … Era spaventato dal futuro, come lo ero
io. Gli anni universitari erano volati ed ora temeva di non riuscire a trovare un
lavoro. Aveva già inviato decine di curriculum, ma senza ricevere alcuna
proposta, alcuna risposta. Per questo continuava a porsi domande. Sia per me
che per lui era arrivato il momento di affrontare il presente. Mio padre, un
ingegnere, stava cercando un architetto per un progetto che gli era stato
affidato a seguito dell’aggiudicazione di una gara d’appalto. Colsi la palla al
balzo e gli dissi: “So chi potrebbe aiutarti … Mio padre sta seguendo un
progetto innovativo di riqualificazione del centro storico di Campli. Ti
andrebbe di fare un colloquio con lui? Finora ha visto molti giovani, ma di
poca sostanza e con poco spirito di sacrificio. Tu sembri diverso. Tu hai una
gran voglia di imparare, sei un ragazzo profondo ed umile, lo leggo nel tuo
sguardo, nella semplicità dei tuoi modi … Magari non ci siamo incontrati per
caso …”
Paolo rimase sorpreso dalle mie parole, non si
aspettava di trovare una risposta in quel caldo pomeriggio. Stava preparando un
esame impegnativo e si sentiva scoraggiato, la tesi era già pronta da mesi
sulla sua scrivania, l’avrebbe discussa a fine settembre. Fece un sorriso
bellissimo che come un enorme sole gli illuminò il viso. Mi disse: “Sei un
angelo, grazie! Come rinunciare ad una proposta così invitante?” - “Ti va di
venire a casa mia stasera? Così mi accompagni, non mi sento molto bene, mi gira
un po’ la testa, temo di essermi molto stancata a girovagare e pensare oggi
pomeriggio … Ti presento mio padre e vediamo come va” incalzai prontamente.
Decidemmo di partire subito col primo treno che
da Pescara ci avrebbe portati fino a casa mia, nel centro storico di Teramo, di
fronte al Duomo. Il treno sembrava solcare le onde mentre il tramonto si
spegneva nelle acque lucenti dell’Adriatico. Paolo mi strinse la mano e mi
chiese: “Sai di chi è il bambino? E lui sa di quanto ti sta accadendo?” Germano,
il mio fidanzato, non sapeva che ero incinta. Dovevamo frequentare l’ultimo
anno delle superiori, come avremmo fatto? Lui era a rischio bocciatura, io non
ero sicura di voler tenere il bambino, dovevamo diplomarci, le nostre famiglie desideravano
questo per il nostro futuro. “Dovresti parlargliene” – incalzò Paolo, mentre
l’ultimo raggio che filtrava dal finestrino gli abbagliava gli occhi – “il peso
di questa decisione non può essere solo tuo. E dovresti parlarne alla tua
famiglia”. “Ma secondo te, Germano capirà? Mi capirà?” gli domandai. “Sì, se
Germano ti ama davvero come dici, lui capirà. Come canta Battiato <Tutto
l’universo obbedisce all’amore…>. L’amore è il motore delle nostre
esistenze. Anche se ieri avete litigato, vedrai che tutto si sistemerà. Gli
devi delle spiegazioni... Anche per me è stato così …” E su queste parole si
interruppe, mentre una lacrima gli rigava il viso come un ruscello su un prato
fiorito. Mi raccontò che due anni prima aveva conosciuto una ragazza a Pescara,
in Piazza Salotto, bellissima, bionda, con gli occhi azzurri. Faceva la
cameriera in un rinomato caffè storico del centro che di lì a pochi mesi chiuse
i battenti. Inaspettatamente. Lui era un cliente abituale di quel bar e appena
vide Petra se ne innamorò perdutamente. Lei si trasferì nella casa che Paolo
condivideva con altri studenti nei pressi della lussureggiante Pineta
Dannunziana dove amavano trascorrere i pomeriggi di primavera, osservare la
natura esplodere di vita, passeggiare mano nella mano sotto le macchie d’ombra
dei pini d’Aleppo. Quando rimase incinta gli era stato vicino, ma un giorno lei
scomparve nel nulla, facendo perdere le sue tracce per sempre. E lui non seppe
mai se suo figlio fosse venuto al mondo oppure no, perché non era mai più
riuscito a contattarla. Pensava avesse abortito, aveva bisogno di soldi e
doveva lavorare, non avrebbe potuto “perder tempo” con una maternità,
probabilmente era tornata in Germania …
Arrivammo nella stazione di Teramo sul far della
sera. Poche persone scesero dal treno, di corsa. Attraversammo il ponte che ci
avrebbe portati nel centro storico, con quel sapore antico che ancora
conservava nel cuore, sotto gli occhi dei corvi che ci spiavano dai rami degli
alberi del parco fluviale. Superammo il groviglio di vicoli più o meno stretti,
con l’asfalto ancora caldo che mi bruciava i piedi. Sotto casa mia vidi in
lontananza Germano che mi aspettava con un mazzo di fiori in mano. Quando mi
vide con Paolo, gettò i fiori a terra in un impeto di gelosia. Stava
attraversando un periodo particolare anche lui, i suoi si stavano separando ed
era spesso nervoso ed intrattabile. Paolo gli corse incontro e gli parlò. Gli
disse che dovevo presentarlo a mio padre per il suo progetto e che mi aveva
riaccompagnata a casa perché non mi sentivo bene. Arrivai anch’io, gli diedi un
bacio sulla guancia, ma Germano mi allontanò chiedendomi perché non lo avessi
chiamato se stavo male. Fu a quel punto che gli dissi: “Sono incinta …” Paolo
mi aveva dato forza, pensai che fosse arrivato il momento di metterlo al
corrente di quanto mi stava capitando, ci stava capitando. Lui mi strinse forte
tra le sue braccia. Lasciammo per un attimo Paolo da solo davanti al citofono
di casa mia e corremmo mano nella mano, condividendo un’emozione fortissima
accompagnata da un brivido di intensa felicità, mentre diffondevo nell’aria
l’odore di salsedine che sprigionava il mio corpo di mamma. Corso San Giorgio
era semi-deserto, dalle finestre aperte si scorgevano le famiglie riunite per
consumare la cena. Germano mi disse: “Sono felicissimo, Carlotta. Perché non me
ne hai parlato prima?” Di colpo le mie paure, le mie ansie, le mie
preoccupazioni svanirono. Intanto mio padre stava rincasando e vide Paolo un
po’ in imbarazzo, così gli domandò chi stesse cercando. Lui disse che cercava
un ingegnere, il padre di Carlotta … e bisbigliò sottovoce: “Sto per diventare
architetto”. Mio padre lo invitò a salire in casa nostra e gli chiese se avesse
con sé il curriculum. Paolo lo cercò sullo Smartphone che gli aveva regalato
sua zia per il compleanno e lo inviò prontamente all’Ing. Bramarte. Quando la
bustina con la mail si aprì, il padre di Carlotta rimase stupito dalla
semplicità ed al contempo efficacia con cui Paolo, da solo, aveva redatto il
suo curriculum. Assolutamente impeccabile ed essenziale. Gli chiese se gli
andava di iniziare a collaborare con lui a partire dalla settimana seguente,
mentre io e Germano rientravamo in casa, mano nella mano, raggianti di
felicità, con gli occhi lucidi come le stelle che decoravano il cielo di quella
speciale notte d’agosto che ci aveva uniti nel nostro segreto. Mangiammo a
sazietà, poi accompagnammo Paolo a Pescara, mentre le stelle cadenti
tempestavano il cielo ed ognuno di noi, nel suo cuore, esprimeva un desiderio
che era già diventato realtà in quella magica sera. E la radio cantava: “Tutto
l’universo obbedisce all’amore…”
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