E’ inutile.
Ci ho provato ad
andare avanti.
Inciampo sempre
nella mia infanzia.
Avevo anche
imparato a bocciare “ a martello” che avevo si e no dodici anni.
Il mio maestro era
Dino Remondini, praticamente infallibile nell’arte di colpire la boccia
avversaria lanciando la propria dall’alto verso il basso. Disegnava parabole
celestiali. Stessa forma dell’arcobaleno, ma colori più luminosi, credetemi.
Per me lui era il
Maestro.
Non che mi avesse
mai dato lezioni vere e proprie, sia chiaro. A dire il vero, non mi aveva mai rivolto neanche una parola. Non
sono sicuro neppure che mi avesse mai notato.
Andavo al pallaio
della Casa del Popolo tutte le sere d’estate del 1989. Mi mettevo seduto in
fondo, per terra, e seguivo tutte le partite del torneo.
Non mi ci volle
molto a capire che il Remondini sarebbe stato il Mio Maestro.
Prendeva la sua
boccia da terra, la soppesava per qualche secondo, ci sputava sopra e con la
mano spalmava ben bene la saliva. Bestemmiava svariati santi, poi prendeva la
mira chiudendo un occhio e tirando su la punta di un solo piede. Scagliava la
boccia e … bam!
Infallibile, non sbagliava un colpo. Davvero, non ricordo
di averlo mai visto mancare una bocciata.
Non era l’unico ad
usare quella tecnica per bocciare. Altri si sforzavano ad imitarlo con
risultati non all’altezza.
In ogni caso, la
maggior parte dei giocatori preferiva usare la tecnica della bocciata di “
striscio”, che consisteva semplicemente nel far rotolare la boccia sul pallaio
senza che si staccasse mai da terra.
Il Braciola era
l’esponente più efficace di questa scuola di pensiero. Magro, stempiato e con
delle scarpe enormi. Magari aveva anche i piedi enormi, per quanto possa
saperne io…
Il Braciola era
anche molto più giovane del Remondini, ma niente a che vedere con l’eleganza
del mio Maestro. Niente da spartire con la personalità del Remondini, che per
altro era l’unico giocatore a non essere chiamato dagli altri con un
soprannome. Per quanto ne so, non ne aveva proprio. Ho sempre pensato che
nessuno fosse riuscito a trovarne uno che gli rendesse giustizia.
La sera, a cena,
prima di andare al pallaio, mi rivolgevo a mio padre per cercare di saperne di
più.
- Babbo, ma è vero che il Remondini
è il più forte di tutti?
- Boh, non saprei. Come si fa a
dirlo? L’anno scorso il torneo l’ha vinto il Braciola…
Mio padre ci
perdeva sempre. Da entrambi.
- Babbo, ma è vero che bocciare “ a
martello” è più difficile che bocciare “ di striscio”?
- Son due cose diverse, è difficile
stabilirlo…
- E allora perché quasi tutti
bocciano di striscio?
- Ognuno boccia come crede…
Niente, mio padre
non voleva mai ammettere che il Remondini era il più forte in assoluto e che
bocciare come bocciava lui, nessun altro sulla faccia della terra. Mio padre
non voleva saperne di darmi ragione.
Quell’estate mi
feci regalare le bocce. In legno. Bellissime. Leggere , ma non troppo.
Mi allenavo ogni
giorno nel piccolo pezzetto di giardino che c’era dietro casa. In realtà, non è
che mi allenassi proprio a giocare. Più che altro cercavo di bocciare.
Disegnare arcobaleni coloratissimi, come il Maestro.
Piazzavo una boccia
per terra, indietreggiavo di alcuni metri, cercavo la concentrazione. Stringevo
l’altra boccia di legno in mano, ci sputavo sopra. Spalmavo la saliva per bene,
in modo che si uniformasse il più possibile sulla superficie della boccia.
Bestemmiavo. Alzavo la punta del piede, miravo e lasciavo andare la boccia.
Solitamente la guardavo atterrare a pochi centimetri dal bersaglio. Qualche
volta, quel rumore:toc! Era il rumore
del successo. Significava che tutto aveva funzionato alla perfezione. In quei
casi cercavo sempre di riprodurre ogni singolo gesto e suono, cercavo persino
di ricordare la quantità di saliva che avevo sputato e la divinità tirata in
ballo restava chiaramente la stessa. Non sempre funzionava. Anzi, funzionava
poche volte.
Di solito, al
tramonto si affacciava la nonna alla finestra di camera e stava lì ad
osservarmi. Stava in silenzio, anche quando bestemmiavo. Non mi sgridava.
Capiva che era soltanto un rituale. Aveva sempre un cenno di sorriso sul volto.
Interrompeva il silenzio solo per dirmi “ Bravo brocciolone” nel momento in cui
riuscivo a bocciare. Mi chiamava Brocciolone. La guardavo e le sorridevo. Mi
faceva cenno che era pronta la cena. Scattavo di corsa, chè mi piaceva cenare.
Quell’estate
terminò in fretta.
La nonna morì poco
prima di Natale. Sul librone delle condoglianze scrissi “ Ciao nonna, firmato
Brocciolone”.
Durante l’estate
del 1990 non andai mai a vedere giocare il Maestro Remondini. Non toccai
neppure le mie bocce di legno. Erano bellissime ma mi facevano piangere.
Mio padre
continuava a non volermi dare mai ragione.
Mia madre era
diventata più triste.
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