venerdì 11 marzo 2016

Marco Scotti – L’acqua della Providencia

La poltrona su cui sedeva era molto comoda ed accogliente; o almeno così pareva.
Le mani scarne, sulle quali le vene disegnavano appassionanti decorazioni demodé, tenevano saldamente i poggioli. Lo sguardo, proteso oltre il muro grigio che gli si parava di fronte, era fermo e sicuro. Non badava certo se qualcuno entrava o usciva da quella camera poiché i suoi pensieri erano altrove, e niente e nessuno avrebbero potuto distrarlo.
Sul tavolino alla destra della poltrona una lampada, accesa nonostante fosse quasi ora di pranzo, illuminava un portacenere, fatto probabilmente dalle mani di un nipote, che era clamorosamente pieno di gusci di pistacchi. Dei pistacchi, nemmeno l’ombra.
“El abuelo”, come lo chiamava Esteban, se ne stava fermo per ore sprofondato nella sua poltrona ed agli occhi di uno sprovveduto poteva sembrare in catalessi, cotto, andato; dentro i suoi occhi però uno scrutatore attento avrebbe potuto vedere ancora la presenza di quella scintilla che da sempre ne aveva contraddistinto le azioni, i pensieri, le scelte e le decisioni apparentemente azzardate.
Era il 2 novembre del 1918 quando il dispaccio venne consegnato. Non poteva credere ai suoi occhi. La Germania, la Keiserliche Marine, il suo comando, lui: tutto finito. Quelle firme, quel trattato, su quel treno nascosto tra i boschi di Compiégne gli stavano creando un dolore incredibile. Cosa sarebbe successo al Kaiser Guglielmo II? Bastarono pochi secondi per capire che non ci sarebbe stato più niente, che l’Impero era finito per sempre; che il buio stava avanzando.
Chiamò i suoi ufficiali sul ponte di comando: spiegò celermente la situazione con il consueto distacco e si offrì, con pochi uomini di truppa, di consegnare egli stesso il suo U88 agli alleati, permettendo agli altri di scendere a terra in qualche amena località, salvi. Così si fece.
Il giorno seguente, la mattina del 3 novembre 1918 il comandante Walther, Ariete classe 1885, fatti dei rapidi calcoli, mappe alla mano, tracciò la rotta di sola andata per la Isla de la Providencia, davanti alla costa del Nicaragua. La truppa, ragazzi scelti tra chi non aveva nulla a cui tornare, ascoltò con attenzione la voce profonda, calma, decisa del Comandante: “Abbiamo 9000 miglia marine di autonomia ed il cibo è sufficiente; “La Isla” dista da noi 5000 miglia ed alla velocità di 7 nodi scenderemo su quelle spiagge dorate tra 29 giorni!” E come formiche impazzite, quegli uomini impauriti da quegli avvenimenti più grandi di loro, fecero ripartire quel sottomarino ancora nuovo, verso il Paradiso. Viaggiando poco immersi, lo snorkel avrebbe lasciato una scia bianca di schiuma di una decina di metri, ma non vi sarebbero stati aeromobili intercettatori in quei giorni. L’armistizio avrebbe addormentato le fazioni. Il Comandante lo sapeva.
Le mani tremavano occasionalmente quando un ricordo affiorava prepotentemente. Il sapore del sale, l’odore del gasolio, la sabbia calda, gli olandesi amici, il granchio negro, il pirata Morgan, Martine…

“Com’è profondo il mare – ripeteva spesso dentro di sé – com’è profondo e bello il mare…”

<Dal diario di bordo.
18 novembre 1918: chissà se il Capitano Nemo… quindici giorni ormai di navigazione in immersione, siamo a metà del viaggio verso l’ignoto. Oggi andremo in emersione.
19 novembre 1918: emersione in mezzo all’ignoto dell’Atlantico; mai nessun altro U-boot aveva viaggiato così distante da Amburgo, dalla Germania, dall’Europa. La radio in sola ricezione ha ricevuto un messaggio che dice che il nostro Kaiser si è rifugiato nel Paesi Bassi. Gli olandesi sono amici. Gli olandesi sono amici.
25 novembre 1918: Hans il cuoco ha finito i cavoli. Peter ha gestito un’emergenza al Diesel che ci rallenterà di qualche giorno, ma che ci permetterà di arrivare. Rolf ha lucidato per la sesta volta tutti i fregi del sommergibile. E’ un bravo ragazzo.
1 dicembre 1918: patate, patate, patate….
10 dicembre 1918: dai miei calcoli domani sarà terra. Emersione….>

La Isla de la Providencia, piccola ma accogliente, si stagliava davanti a loro. Nella piccola torretta dell’U88 il Comandante Walther, Rolf, Peter, Markus, Alfred, Franz, Gunther, Otto e il cuoco Hansy si strinsero per annusare i profumi di quella terra, di quel mare così limpido, chiaro; a contare quei pesci colorati che circondavano lo scafo di quel sommergibile imperiale sporco di migliaia di miglia marine. Erano arrivati. Erano salvi. Erano vivi.
Un fremito scosse il vecchio sprofondato nella sua poltrona: le onde del Mare dei Caraibi lo cullavano anche da sveglio, anche ora che non poteva più spogliare le sue scarpe senza l’aiuto di qualcuno, che non poteva risvoltarsi i pantaloni, affondare i piedi nella sabbia calda e scendere verso il mare. Lo avevano fermato troppe volte per lasciarlo libero di uscire. Ma in quello sguardo fisso nel vuoto, c’era tutta la forza necessaria per scavalcare la balconata, scendere lungo la grondaia, saltare due siepi a piè pari, correre sulla spiaggia e tuffarsi nudo nel caldo abbraccio del mare.
Una lacrima proruppe all’improvviso e gli segnò il viso. Chiuse le palpebre e se ne andò.

Com’è profondo il mare, com’è profondo e bello il mare.

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