La poltrona su cui sedeva era molto comoda ed accogliente; o almeno così
pareva.
Le mani scarne, sulle quali le vene disegnavano appassionanti decorazioni
demodé, tenevano saldamente i poggioli. Lo sguardo, proteso oltre il muro
grigio che gli si parava di fronte, era fermo e sicuro. Non badava certo se
qualcuno entrava o usciva da quella camera poiché i suoi pensieri erano
altrove, e niente e nessuno avrebbero potuto distrarlo.
Sul tavolino alla destra della poltrona una lampada, accesa nonostante
fosse quasi ora di pranzo, illuminava un portacenere, fatto probabilmente dalle
mani di un nipote, che era clamorosamente pieno di gusci di pistacchi. Dei
pistacchi, nemmeno l’ombra.
“El abuelo”, come lo chiamava Esteban, se ne stava fermo per ore
sprofondato nella sua poltrona ed agli occhi di uno sprovveduto poteva sembrare
in catalessi, cotto, andato; dentro i suoi occhi però uno scrutatore attento
avrebbe potuto vedere ancora la presenza di quella scintilla che da sempre ne
aveva contraddistinto le azioni, i pensieri, le scelte e le decisioni
apparentemente azzardate.
Era il 2 novembre del 1918 quando il dispaccio venne consegnato. Non
poteva credere ai suoi occhi. La Germania, la Keiserliche Marine, il suo
comando, lui: tutto finito. Quelle firme, quel trattato, su quel treno nascosto
tra i boschi di Compiégne gli stavano creando un dolore incredibile. Cosa
sarebbe successo al Kaiser Guglielmo II? Bastarono pochi secondi per capire che
non ci sarebbe stato più niente, che l’Impero era finito per sempre; che il
buio stava avanzando.
Chiamò i suoi ufficiali sul ponte di comando: spiegò celermente la
situazione con il consueto distacco e si offrì, con pochi uomini di truppa, di
consegnare egli stesso il suo U88 agli alleati, permettendo agli altri di
scendere a terra in qualche amena località, salvi. Così si fece.
Il giorno seguente, la mattina del 3 novembre 1918 il comandante Walther,
Ariete classe 1885, fatti dei rapidi calcoli, mappe alla mano, tracciò la rotta
di sola andata per la Isla de la Providencia, davanti alla costa del Nicaragua.
La truppa, ragazzi scelti tra chi non aveva nulla a cui tornare, ascoltò con
attenzione la voce profonda, calma, decisa del Comandante: “Abbiamo 9000 miglia
marine di autonomia ed il cibo è sufficiente; “La Isla” dista da noi 5000
miglia ed alla velocità di 7 nodi scenderemo su quelle spiagge dorate tra 29
giorni!” E come formiche impazzite, quegli uomini impauriti da quegli
avvenimenti più grandi di loro, fecero ripartire quel sottomarino ancora nuovo,
verso il Paradiso. Viaggiando poco immersi, lo snorkel avrebbe lasciato una
scia bianca di schiuma di una decina di metri, ma non vi sarebbero stati
aeromobili intercettatori in quei giorni. L’armistizio avrebbe addormentato le
fazioni. Il Comandante lo sapeva.
Le mani tremavano occasionalmente quando un ricordo affiorava
prepotentemente. Il sapore del sale, l’odore del gasolio, la sabbia calda, gli
olandesi amici, il granchio negro, il pirata Morgan, Martine…
“Com’è profondo il mare – ripeteva spesso dentro di sé – com’è profondo e
bello il mare…”
<Dal diario di bordo.
18 novembre 1918: chissà se il Capitano Nemo… quindici giorni ormai di
navigazione in immersione, siamo a metà del viaggio verso l’ignoto. Oggi
andremo in emersione.
19 novembre 1918: emersione in mezzo all’ignoto dell’Atlantico; mai
nessun altro U-boot aveva viaggiato così distante da Amburgo, dalla Germania,
dall’Europa. La radio in sola ricezione ha ricevuto un messaggio che dice che
il nostro Kaiser si è rifugiato nel Paesi Bassi. Gli olandesi sono amici. Gli
olandesi sono amici.
25 novembre 1918: Hans il cuoco ha finito i cavoli. Peter ha gestito
un’emergenza al Diesel che ci rallenterà di qualche giorno, ma che ci
permetterà di arrivare. Rolf ha lucidato per la sesta volta tutti i fregi del
sommergibile. E’ un bravo ragazzo.
1 dicembre 1918: patate, patate, patate….
10 dicembre 1918: dai miei calcoli domani sarà terra. Emersione….>
La Isla de la Providencia, piccola ma accogliente, si stagliava davanti a
loro. Nella piccola torretta dell’U88 il Comandante Walther, Rolf, Peter,
Markus, Alfred, Franz, Gunther, Otto e il cuoco Hansy si strinsero per annusare
i profumi di quella terra, di quel mare così limpido, chiaro; a contare quei
pesci colorati che circondavano lo scafo di quel sommergibile imperiale sporco
di migliaia di miglia marine. Erano arrivati. Erano salvi. Erano vivi.
Un fremito scosse il vecchio sprofondato nella sua poltrona: le onde del
Mare dei Caraibi lo cullavano anche da sveglio, anche ora che non poteva più
spogliare le sue scarpe senza l’aiuto di qualcuno, che non poteva risvoltarsi i
pantaloni, affondare i piedi nella sabbia calda e scendere verso il mare. Lo
avevano fermato troppe volte per lasciarlo libero di uscire. Ma in quello
sguardo fisso nel vuoto, c’era tutta la forza necessaria per scavalcare la
balconata, scendere lungo la grondaia, saltare due siepi a piè pari, correre
sulla spiaggia e tuffarsi nudo nel caldo abbraccio del mare.
Una lacrima proruppe all’improvviso e gli segnò il viso. Chiuse le
palpebre e se ne andò.
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