Il
padre di Mario morì quando il ragazzo aveva diciassette anni. Lavorava come
tecnico manutentore in una raffineria che si affacciava sul mare. Uno di quegli
stabilimenti che inquinano non solo l’aria, l’acqua ed il suolo ma anche l’umore
delle persone. Uno di quei posti per i quali si parlava di chiusura già dal
giorno seguente all’inizio dell’attività. Carlo, questo era il nome del padre
di Mario, si era calato in uno stretto passaggio sotterraneo ed era morto per
mancanza di ossigeno. Pare che nessuno gli avesse dato ordine di entrare nel
cunicolo, come emergeva dai verbali. Un rappresentante della raffineria si era
recato presso la casa di Mario cinque giorni dopo l’accaduto ed aveva
consegnato al giovane orfano una busta contenente degli assegni per coprire le
spese dei successivi due anni di istituto tecnico. Appena completati gli studi,
Mario era destinato a riprendere nello stabilimento il posto del padre.
Ora
Mario ha venticinque anni e questo è il sesto anno che lavora in raffineria. Fa
il tecnico turnista e i momenti liberi li passa al bar del suo paese, con gente
più grande di lui. Il sabato sera giocano a poker nel retrobottega. A volte
vince, a volte perde, a lungo andare pareggia i conti. Quando vince,
solitamente, offre un giro di birra a tutto il tavolo, lui che è astemio.
Quando perde, invece, esce dal locale con duecento o trecento euro in meno nel
portafogli e sparisce dalla circolazione per qualche settimana, per poi
ritornare come se nulla fosse. A casa, Mario ha due sorelle ancora minorenni ed
una madre. Nessuna di loro gli proibisce lo svago del poker, ma una quota dello
stipendio serve alle esigenze famigliari e quindi Mario deve stare molto
attento alle spese.
Le
poche domeniche libere Mario le dedica al volontariato presso un gruppo di
disabili che frequentano la località marittima nella quale vive. A quanto pare
l’aria di mare fa bene, nonostante la raffineria attiva da quarant’anni. Presso
il gruppo di volontariato Mario ha recentemente conosciuto Serena, ventitré
anni. Gli arti inferiori di Serena sono nati deformi e quindi il chirurgo aveva
deciso per l’amputazione di entrambi, sopra il ginocchio. Serena ha una forza
impressionante nelle braccia, che utilizza per alzarsi dalla carrozzina e salire
sul furgone guidato da Mario, ma la mancanza dell’articolazione delle ginocchia
le impedisce di camminare per lunghi tratti con l’ausilio di protesi e
stampelle.
Serena
è figlia di un ricco armatore e studia ingegneria navale. “Si vede proprio che
ti fa bene stare al mare”, le dice Mario ogni volta che i loro sguardi si
incrociano sul furgone, “i tuoi occhi sono diventati dello stesso colore dell’acqua
marina… Beh, magari non qui vicino alla raffineria, ma più in là, al largo, le
acque sono proprio così”. Di solito Serena risponde sorridendo e ringraziando
timidamente, ma oggi, con inaspettato coraggio, si lancia in un’esternazione.
“Adoro il mare e ho in mente una sorpresa… Ma ho bisogno del tuo aiuto.
Vediamoci martedì sera, prima del tramonto”.
Mario
non era in attesa di sorprese e passa la domenica sera e tutto il lunedì in uno
stato di profonda agitazione. Per un attimo si pone anche l’interrogativo di
come faccia Serena a sapere che martedì sera lui non lavora. Poi non ci pensa
più e alle cinque di martedì pomeriggio sale sulla sua automobile e va a
prendere Serena al centro per disabili.
Serena
indica la strada ed in mezz’ora di macchina i due arrivano ad una piccola baia
dall’acqua limpida. E’ una proprietà privata ed è recintata, ma la ragazza ha
le chiavi per entrare. C’è ormeggiata una barca a remi. “E’ di mio padre”, dice
Serena, “ma la uso spesso anch’io. Dammi una mano a salire a bordo e a caricare
il mio zaino”. Nonostante le oscillazioni dovute alle onde del mare, Serena
sale facilmente a bordo della barca. L’aiuto da parte di Mario è minimo, perché
la ragazza ha una gran forza nelle braccia. Lo zaino, invece, una di quelle
grandi sacche da campeggio, in grado di contenere una tenda e altre cose di
quel genere, è pesante e sembra racchiudere al proprio interno qualcosa di
gommoso ma al tempo stesso metallico.
“Non
mi aspettavo tutto questo peso… Cosa c’è qui dentro?”, chiede Mario
incuriosito.
“C’è
la sorpresa”, risponde Serena, lasciando intendere che lo zaino non andasse
aperto in quel momento.
E’
Serena a remare, instancabile, fino al largo. Nel frattempo racconta poco di
sé. Parla dei suoi studi, del suo stage in Olanda e del fatto che negli altri
paesi europei ci siano meno limiti ed ostacoli, soprattutto per chi è disabile.
Poi è il turno di Mario, al quale nessuno mai chiede come vada la vita. Mario
non è abituato a parlare di sé, di certo non durante i turni di manutenzione,
né al tavolo del poker, né con le sorelle piccole, né con la madre che pensa a
Carlo e ai soldi che mancano. Ma dopo meno di un minuto di imbarazzo si lascia
andare. Scavalca Serena, che sta remando, e si porta sulla prua della barca,
girato verso la ragazza, guardandola negli occhi, noncurante di oscurarle la
visuale. Serena continua a remare, mantenendo il contatto visivo con Mario. Non
ci sono imbarcazioni all’orizzonte e difficilmente la barca di Serena entrerà in
collisione con qualcuno. Mentre il sole si appresta a tramontare, Mario inizia
a parlare ed è un fiume in piena che sfocia nel mare degli occhi di Serena.
“Sono
condannato a fare questo lavoro per tutta la vita. Un po’ per volta ci tolgono
anche le poche cose che avevamo. Quest’anno perdiamo la Pasqua pagata, poi
perderemo il premio per le presenze, poi la tredicesima e andando avanti così
arriveremo al punto che se staremo a casa in malattia ci toglieranno una fetta
di stipendio. Ma il peggio è per quei giovani che iniziano a lavorare ora e non
sanno nemmeno di cosa stiamo parlando. Penseranno che siamo sempre stati dei
privilegiati. E poi in raffineria siamo sempre di meno. Sono obbligato a fare
gli straordinari, anche quando sono stanco, perché devo lavorare anche per chi
va in pensione. Mi guardo intorno e vedo chilometri di corridoi vuoti, reparti
da dieci persone dove prima ne lavoravano cento. Un giorno la raffineria chiuderà
come hanno chiuso tutte le altre industrie della zona, o forse verrà acquistata
da qualche gruppo straniero e noi verremo licenziati e riassunti ripartendo da
zero e senza tutele. Due panini e una birra al giorno. Quello sarà il nostro
nuovo stipendio. Io la birra neanche la bevo, quindi magari riuscirò a mettere
qualcosa da parte”.
Serena,
che ha alle spalle una situazione famigliare, sociale ed economica
completamente diversa, sembra accogliere gli sfoghi di Mario senza difficoltà.
Sembra capirlo, lei che ha visto e vissuto anche altri angoli di mondo.
Ciononostante, pur consapevole dell’inutilità della propria domanda, prova a
simulare entusiasmo nel chiedergli se non ci sia una possibilità per lui di
andare altrove o di cambiare vita.
“Sono
orfano di padre e ho sorelle piccole da mantenere. Non abbiamo risparmi. Devo
andare avanti coi turni e tutto il resto. Non ho amici veri, non ho una donna e
forse non l’avrò mai, perché questo stile di vita mi logora e mi impedisce
qualsiasi contatto. E poi non c’è più nessuno qui, se ne vanno via tutti. Ormai
lavorare così, da operaio, è una cosa del millennio scorso. La generazione
precedente ci metteva entusiasmo: i soldi bastavano, si potevano avere sogni,
creare una famiglia, pensare a comprare la macchina e fare le vacanze. I
giovani non fanno più questa vita. Chi ha i genitori o i nonni alle spalle può
inventarsi qualcosa per vivere come ai vecchi tempi. Può sposarsi, fare figli,
viaggiare, come se niente fosse, finché non si esauriranno le risorse. Chi è
rimasto incastrato, come me, può solo andare avanti così fino ad una pensione
che forse non arriverà mai”.
Arriva
il tramonto. Gli occhi di Serena sono, in questo momento, esattamente dello
stesso colore dell’acqua sulla quale si muove la barca. Un misto tra il verde e
l’azzurro. La ragazza smette di remare e durante alcuni istanti di assoluto
silenzio fissa il sole all’orizzonte. I suoi occhi brillano ma Mario non può
vederli perché nel frattempo è tornato a poppa, dove c’è lo zaino. Sa che è il
momento di aprirlo.
Mario
tira fuori la pesante e complessa apparecchiatura contenuta nella sacca. E’
qualcosa che il giovane non aveva mai visto. Esternamente è di un colore tra il
verde e l’azzurro, lo stesso degli occhi di Serena, e sembra fatta dello stesso
materiale delle mute subacquee. Ha la forma della pinna caudale di un grosso
pesce. La trama della plastica di cui è rivestita sembra ricalcare quella delle
scaglie che ricoprono l’orata o il pesce persico. Da un lato è aperta e si
intravedono una serie di componenti meccanici ed elettronici, due incavi della
dimensione dei moncherini delle gambe di Serena e, negli spazi liberi ai fianchi,
due salsicciotti rivestiti di materiale impermeabile, dalla funzione
sconosciuta.
Lo
strano congegno pesa meno di una decina di chilogrammi e Mario lo guarda con stupore
ed ammirazione per qualche istante mentre lo tiene tra le mani. Poi lo passa a
Serena, che inserisce negli incavi ciò che le resta delle gambe ed allaccia una
serie di fibbie. “Studiare ingegneria navale mi è servito a qualcosa. Da questo
momento in poi cambio nome. Ero Serena, ora sono Sirena”.
Serena,
ora Sirena, guarda con entusiasmo la sua nuova appendice a forma di pinna.
Prova qualche movimento in una direzione e nell’altra. Poi, con un deciso colpo
di reni, si tuffa in acqua ed inizia a nuotare. La pinna si muove da una parte
all’altra con movimenti decisi e fluidi. La strana creatura marina nuota per
qualche decina di metri, poi si gira verso Mario, che guarda incredulo.
Mario
si tuffa in acqua. Con una cinquantina di bracciate raggiunge la sua Sirena. La
barca appare molto lontana ed il sole ha già ampiamente raggiunto la linea
dell’orizzonte. “Io e questo mare siamo fatti della stessa sostanza. Non è
stato semplice per me adattarmi alla terra. Ora posso tornare da dove sono
venuta”. Mario non è convinto di capire perfettamente cosa la sua amica intenda
dire, ma dentro di sé è tranquillo e prova un sensazione di sottile entusiasmo
che mai prima d’ora aveva sperimentato nella vita.
Sirena
ricomincia a nuotare. Con decisi movimenti di reni è in grado di saltare fuori
dall’acqua e piegare la pinna e poi tuffarsi nuovamente. Come un pesce. Senza
difficoltà. Mario è estasiato.
“E’
profondo il mare in questo punto. Vieni qui sotto. Vieni qui sotto con me, Mario”,
esclama Sirena, con voce dolce ed accogliente. “E’ profondo, vieni qui sotto
con me…”.
Sirena
si immerge. Mario è terrorizzato e felice allo stesso tempo. Davanti a sé vede
solo la linea dell’orizzonte. Tra poco sarà buio.
Poi,
di colpo, due piccole esplosioni provocano dei sussulti tra le onde. Sirena non
riemerge dalle acque. Mario osserva per qualche istante in silenzio, poi con
una decina di bracciate si reca verso il punto nel quale per l’ultima volta ha
visto la sua Sirena. Si immerge in acqua, cerca di andare sempre più a fondo.
L’acqua marina è gelida ed intorno a sé Mario vede tutto nero. Dopo aver
trattenuto il fiato per alcuni interminabili secondi, Mario si lascia andare e
lascia entrare l’acqua del mare nel naso e nella bocca fino ai polmoni.
In
lontananza, la barca a remi rimane sola in mezzo al buio della notte che arriva.
Tra
poco, in raffineria, inizierà il turno di notte.
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