mercoledì 13 gennaio 2016

Marco Maresca - Serena

Il padre di Mario morì quando il ragazzo aveva diciassette anni. Lavorava come tecnico manutentore in una raffineria che si affacciava sul mare. Uno di quegli stabilimenti che inquinano non solo l’aria, l’acqua ed il suolo ma anche l’umore delle persone. Uno di quei posti per i quali si parlava di chiusura già dal giorno seguente all’inizio dell’attività. Carlo, questo era il nome del padre di Mario, si era calato in uno stretto passaggio sotterraneo ed era morto per mancanza di ossigeno. Pare che nessuno gli avesse dato ordine di entrare nel cunicolo, come emergeva dai verbali. Un rappresentante della raffineria si era recato presso la casa di Mario cinque giorni dopo l’accaduto ed aveva consegnato al giovane orfano una busta contenente degli assegni per coprire le spese dei successivi due anni di istituto tecnico. Appena completati gli studi, Mario era destinato a riprendere nello stabilimento il posto del padre.
Ora Mario ha venticinque anni e questo è il sesto anno che lavora in raffineria. Fa il tecnico turnista e i momenti liberi li passa al bar del suo paese, con gente più grande di lui. Il sabato sera giocano a poker nel retrobottega. A volte vince, a volte perde, a lungo andare pareggia i conti. Quando vince, solitamente, offre un giro di birra a tutto il tavolo, lui che è astemio. Quando perde, invece, esce dal locale con duecento o trecento euro in meno nel portafogli e sparisce dalla circolazione per qualche settimana, per poi ritornare come se nulla fosse. A casa, Mario ha due sorelle ancora minorenni ed una madre. Nessuna di loro gli proibisce lo svago del poker, ma una quota dello stipendio serve alle esigenze famigliari e quindi Mario deve stare molto attento alle spese.
Le poche domeniche libere Mario le dedica al volontariato presso un gruppo di disabili che frequentano la località marittima nella quale vive. A quanto pare l’aria di mare fa bene, nonostante la raffineria attiva da quarant’anni. Presso il gruppo di volontariato Mario ha recentemente conosciuto Serena, ventitré anni. Gli arti inferiori di Serena sono nati deformi e quindi il chirurgo aveva deciso per l’amputazione di entrambi, sopra il ginocchio. Serena ha una forza impressionante nelle braccia, che utilizza per alzarsi dalla carrozzina e salire sul furgone guidato da Mario, ma la mancanza dell’articolazione delle ginocchia le impedisce di camminare per lunghi tratti con l’ausilio di protesi e stampelle.
Serena è figlia di un ricco armatore e studia ingegneria navale. “Si vede proprio che ti fa bene stare al mare”, le dice Mario ogni volta che i loro sguardi si incrociano sul furgone, “i tuoi occhi sono diventati dello stesso colore dell’acqua marina… Beh, magari non qui vicino alla raffineria, ma più in là, al largo, le acque sono proprio così”. Di solito Serena risponde sorridendo e ringraziando timidamente, ma oggi, con inaspettato coraggio, si lancia in un’esternazione. “Adoro il mare e ho in mente una sorpresa… Ma ho bisogno del tuo aiuto. Vediamoci martedì sera, prima del tramonto”.
Mario non era in attesa di sorprese e passa la domenica sera e tutto il lunedì in uno stato di profonda agitazione. Per un attimo si pone anche l’interrogativo di come faccia Serena a sapere che martedì sera lui non lavora. Poi non ci pensa più e alle cinque di martedì pomeriggio sale sulla sua automobile e va a prendere Serena al centro per disabili.
Serena indica la strada ed in mezz’ora di macchina i due arrivano ad una piccola baia dall’acqua limpida. E’ una proprietà privata ed è recintata, ma la ragazza ha le chiavi per entrare. C’è ormeggiata una barca a remi. “E’ di mio padre”, dice Serena, “ma la uso spesso anch’io. Dammi una mano a salire a bordo e a caricare il mio zaino”. Nonostante le oscillazioni dovute alle onde del mare, Serena sale facilmente a bordo della barca. L’aiuto da parte di Mario è minimo, perché la ragazza ha una gran forza nelle braccia. Lo zaino, invece, una di quelle grandi sacche da campeggio, in grado di contenere una tenda e altre cose di quel genere, è pesante e sembra racchiudere al proprio interno qualcosa di gommoso ma al tempo stesso metallico.
“Non mi aspettavo tutto questo peso… Cosa c’è qui dentro?”, chiede Mario incuriosito.
“C’è la sorpresa”, risponde Serena, lasciando intendere che lo zaino non andasse aperto in quel momento.
E’ Serena a remare, instancabile, fino al largo. Nel frattempo racconta poco di sé. Parla dei suoi studi, del suo stage in Olanda e del fatto che negli altri paesi europei ci siano meno limiti ed ostacoli, soprattutto per chi è disabile. Poi è il turno di Mario, al quale nessuno mai chiede come vada la vita. Mario non è abituato a parlare di sé, di certo non durante i turni di manutenzione, né al tavolo del poker, né con le sorelle piccole, né con la madre che pensa a Carlo e ai soldi che mancano. Ma dopo meno di un minuto di imbarazzo si lascia andare. Scavalca Serena, che sta remando, e si porta sulla prua della barca, girato verso la ragazza, guardandola negli occhi, noncurante di oscurarle la visuale. Serena continua a remare, mantenendo il contatto visivo con Mario. Non ci sono imbarcazioni all’orizzonte e difficilmente la barca di Serena entrerà in collisione con qualcuno. Mentre il sole si appresta a tramontare, Mario inizia a parlare ed è un fiume in piena che sfocia nel mare degli occhi di Serena.
“Sono condannato a fare questo lavoro per tutta la vita. Un po’ per volta ci tolgono anche le poche cose che avevamo. Quest’anno perdiamo la Pasqua pagata, poi perderemo il premio per le presenze, poi la tredicesima e andando avanti così arriveremo al punto che se staremo a casa in malattia ci toglieranno una fetta di stipendio. Ma il peggio è per quei giovani che iniziano a lavorare ora e non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando. Penseranno che siamo sempre stati dei privilegiati. E poi in raffineria siamo sempre di meno. Sono obbligato a fare gli straordinari, anche quando sono stanco, perché devo lavorare anche per chi va in pensione. Mi guardo intorno e vedo chilometri di corridoi vuoti, reparti da dieci persone dove prima ne lavoravano cento. Un giorno la raffineria chiuderà come hanno chiuso tutte le altre industrie della zona, o forse verrà acquistata da qualche gruppo straniero e noi verremo licenziati e riassunti ripartendo da zero e senza tutele. Due panini e una birra al giorno. Quello sarà il nostro nuovo stipendio. Io la birra neanche la bevo, quindi magari riuscirò a mettere qualcosa da parte”.
Serena, che ha alle spalle una situazione famigliare, sociale ed economica completamente diversa, sembra accogliere gli sfoghi di Mario senza difficoltà. Sembra capirlo, lei che ha visto e vissuto anche altri angoli di mondo. Ciononostante, pur consapevole dell’inutilità della propria domanda, prova a simulare entusiasmo nel chiedergli se non ci sia una possibilità per lui di andare altrove o di cambiare vita.
“Sono orfano di padre e ho sorelle piccole da mantenere. Non abbiamo risparmi. Devo andare avanti coi turni e tutto il resto. Non ho amici veri, non ho una donna e forse non l’avrò mai, perché questo stile di vita mi logora e mi impedisce qualsiasi contatto. E poi non c’è più nessuno qui, se ne vanno via tutti. Ormai lavorare così, da operaio, è una cosa del millennio scorso. La generazione precedente ci metteva entusiasmo: i soldi bastavano, si potevano avere sogni, creare una famiglia, pensare a comprare la macchina e fare le vacanze. I giovani non fanno più questa vita. Chi ha i genitori o i nonni alle spalle può inventarsi qualcosa per vivere come ai vecchi tempi. Può sposarsi, fare figli, viaggiare, come se niente fosse, finché non si esauriranno le risorse. Chi è rimasto incastrato, come me, può solo andare avanti così fino ad una pensione che forse non arriverà mai”.
Arriva il tramonto. Gli occhi di Serena sono, in questo momento, esattamente dello stesso colore dell’acqua sulla quale si muove la barca. Un misto tra il verde e l’azzurro. La ragazza smette di remare e durante alcuni istanti di assoluto silenzio fissa il sole all’orizzonte. I suoi occhi brillano ma Mario non può vederli perché nel frattempo è tornato a poppa, dove c’è lo zaino. Sa che è il momento di aprirlo.
Mario tira fuori la pesante e complessa apparecchiatura contenuta nella sacca. E’ qualcosa che il giovane non aveva mai visto. Esternamente è di un colore tra il verde e l’azzurro, lo stesso degli occhi di Serena, e sembra fatta dello stesso materiale delle mute subacquee. Ha la forma della pinna caudale di un grosso pesce. La trama della plastica di cui è rivestita sembra ricalcare quella delle scaglie che ricoprono l’orata o il pesce persico. Da un lato è aperta e si intravedono una serie di componenti meccanici ed elettronici, due incavi della dimensione dei moncherini delle gambe di Serena e, negli spazi liberi ai fianchi, due salsicciotti rivestiti di materiale impermeabile, dalla funzione sconosciuta.
Lo strano congegno pesa meno di una decina di chilogrammi e Mario lo guarda con stupore ed ammirazione per qualche istante mentre lo tiene tra le mani. Poi lo passa a Serena, che inserisce negli incavi ciò che le resta delle gambe ed allaccia una serie di fibbie. “Studiare ingegneria navale mi è servito a qualcosa. Da questo momento in poi cambio nome. Ero Serena, ora sono Sirena”.
Serena, ora Sirena, guarda con entusiasmo la sua nuova appendice a forma di pinna. Prova qualche movimento in una direzione e nell’altra. Poi, con un deciso colpo di reni, si tuffa in acqua ed inizia a nuotare. La pinna si muove da una parte all’altra con movimenti decisi e fluidi. La strana creatura marina nuota per qualche decina di metri, poi si gira verso Mario, che guarda incredulo.
Mario si tuffa in acqua. Con una cinquantina di bracciate raggiunge la sua Sirena. La barca appare molto lontana ed il sole ha già ampiamente raggiunto la linea dell’orizzonte. “Io e questo mare siamo fatti della stessa sostanza. Non è stato semplice per me adattarmi alla terra. Ora posso tornare da dove sono venuta”. Mario non è convinto di capire perfettamente cosa la sua amica intenda dire, ma dentro di sé è tranquillo e prova un sensazione di sottile entusiasmo che mai prima d’ora aveva sperimentato nella vita.
Sirena ricomincia a nuotare. Con decisi movimenti di reni è in grado di saltare fuori dall’acqua e piegare la pinna e poi tuffarsi nuovamente. Come un pesce. Senza difficoltà. Mario è estasiato.
“E’ profondo il mare in questo punto. Vieni qui sotto. Vieni qui sotto con me, Mario”, esclama Sirena, con voce dolce ed accogliente. “E’ profondo, vieni qui sotto con me…”.
Sirena si immerge. Mario è terrorizzato e felice allo stesso tempo. Davanti a sé vede solo la linea dell’orizzonte. Tra poco sarà buio.
Poi, di colpo, due piccole esplosioni provocano dei sussulti tra le onde. Sirena non riemerge dalle acque. Mario osserva per qualche istante in silenzio, poi con una decina di bracciate si reca verso il punto nel quale per l’ultima volta ha visto la sua Sirena. Si immerge in acqua, cerca di andare sempre più a fondo. L’acqua marina è gelida ed intorno a sé Mario vede tutto nero. Dopo aver trattenuto il fiato per alcuni interminabili secondi, Mario si lascia andare e lascia entrare l’acqua del mare nel naso e nella bocca fino ai polmoni.
In lontananza, la barca a remi rimane sola in mezzo al buio della notte che arriva.
Tra poco, in raffineria, inizierà il turno di notte.

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