mercoledì 13 gennaio 2016

Maria Stella Brancatisano - Il mare e la madrina Antonia e Caterina

Il mare, noi altri che abitavamo sulla collina samese dell’entroterra jonico, lo vedevamo da sempre, lì, adagiato sullo sfondo, lontano, oltre i campi, oltre la fiumara, lontano e vicino insieme, pensavamo, contenti, poiché se allungavi le mani ti sembrava quasi di toccarlo, di poterlo afferrare o quasi pensavi di poterti bagnare in quelle acque così azzurre e calme!. Era azzurro, bello, misterioso, invitante e tutto da scoprire, quel bellissimo mare adagiato sullo sfondo della nostra visuale.
Non so dire quando mi accorsi del mare, prima di poterlo toccare, vedere, e tuffarmi in esso! La mia infanzia la trascorsi lì , ai piedi dei monti, tra zolle  profumate di muschio e torrenti scroscianti, sognante, tra edera, capelvenere e girini, oleandri e ginestre in fiore, lì, tra le verdi colline che si rivestivano di rossa sulla a primavera o di giallo grano maturo d’estate, sempre li, in collina, tra monti e colline, torrenti e fiumare, puntualmente gonfie e straripanti alle prime e copiose acque autunnali. Trascorrendo il tempo a giocare in piazza, sopra casa mia, o a raccogliere lucciole ed erbe, Sulla, e piccoli panetti di Sant’Antonio che ci offrivano le piante di malva, prima di fiorire e ‘ngoglie, o  steli di cardi o di trifoglio dal sapore agrodolce, e poi raccattare alle prime acque,  sonnolente lumache uscite dal letargo, ignare,e poi arance, more, fichi, uva  ed ogni sorta di erbe strane e commestibili che il mondo contadino conosceva da sempre. Scoprii, pian piano, il mondo incantato della Natura, con le sue file interminabili di formichine indaffarate, laboriose e mai stanche di trascinare enormi pesi, sulle piccole groppe, o il nero calabrone che appallottolava il fango, per trascinarsi, paziente, una palla fatta da sé , per istinto, che era come il peso di Titano che si trascinava dietro il mondo! Più tardi avrei scoperto che anche l’uomo veniva caricato di pesi enormi da trascinare, con grande fatica, a volte anche in modo ingiusto, che il tempo dell’infanzia nascondeva ancora , ma per certi versi già anticipava prematuramente, anche se lentamente!
Questo era il mio mondo infantile: fatto di piccole cose ordinarie, ma belle! E tutto si svolgeva sotto la luce accecante del sole che troneggiava sui campi coltivati, sui pendii, sull’acqua, e faceva germogliare ogni cosa, puntuale, all’arrivo della stagione opportuna! Ed io, guardavo, scrutavo tutto, ogni cosa, con dentro il cuore un silenzio religioso, per lo stupore delle cose che si rivelavano a me, discrete, silenziose, sacre. Si, vi era in esse, tanta sacralità e rispetto, che ogni cosa suggeriva, dettata anche e soprattutto dal comportamento di chi ci stava intorno, ci educava, ci informava, amava e divertiva, e ci amava. Care figure dell’infanzia, così sacra ed importante per ogni bambino! Cara infanzia che ritorni, proustianamente, alla mente, con ogni sapore, odore, parola e gesto, o canto, che sembra dimenticato, in fondo al cuore, ma dove vive nascosto e silente e mormora e sussurra, lieve, le cose vere del cuore, che mai moriranno, perché sanno resistere anche agli attacchi del tempo!.
Dai balconi, dalle terrazze guardavamo e sognavamo il mare, noi bambini, ma intanto, ci rinfrescavamo, d’estate nella Gurna di Don Filici, o al torrente Santa Caterina, felici e semplici, come sanno essere solo i bambini, specie quelli dei paesi interni e di una volta. Erano altri tempi, più difficili, e si scimmioattava di meno, e si viveva con più semplicità, rigore, e bontà!
Il mio primo incontro con il mare lo ebbi verso i sei, sette anni, quando la madrina Caterina mi portò per la prima volta al mare con lei. La madrina era solita prendere  con altre persone del paese, in affitto, come in una sorta di contratto in multiproprietà, una stanza ed un cucinino per una quindicina di giorni, al centro del paese, o vicino al mare, a Bianco, per fare i bagni e prendere il sole del mattino, dall’inizio di agosto sino a ferragosto,   cioè sino al quindici di agosto, data della festa della Madonna di Pugliano, alla quale lei e tutto il paese ed  i paesi vicini erano molto devoti, da sempre!
Era, questa la festività di Ferragosto, ed il mondo contadino si riposava, così,  dalla fatica dei campi dell’inverno e della mietitura, e poi coincideva con la Fiera del bestiame e degli arnesi del mondo contadino e tutto l’entroterra si riversava a Bianco a vendere e comprare. Si vendevano, alla fiera, fichi d’india, maialini, monacegli, pomodori, si comprava farina, pale, zappe, roncole,  falci, e pure bestiame,  asini, , maialini da allevare, e cavalli e muli. Si acquistava e vendeva tutto ciò che serviva alla sopravvivenza, in quel mondo autarchico e contadino. I soldi erano pochi e tutto era necessario. E, spesso si contrattava intere giornate, senza buon esito, mercanteggiando anche per un soldo o due sul prezzo, o permutando le varie mercanzie.

La madrina Caterina era già al mare, da qualche giorno, io la raggiunsi dopo, accompagnata dalla zia Ciccia, moglie dello zio Sebastiano, con la corriera. Mia madre preparò per me un sacco pieno di cugliure fatte con farina, olio, uova e zucchero. Ne fece un’infornata tutta per me e la madrina, per il tempo dei” Vagni”, così si diceva allora. “Il mare indebolisce, Maria!”, mi ripeteva ogni giorno la madrina Caterina, “dovete mangiare, se no…non và! Già, la madrina mi dava del voi, pur se bambina, perché ero la sua commarella, la sua figlioccia, a metà, si divideva il sacramento del battesimo con la sorella, poiché lei, diceva, mi aveva portata in braccio sino alla chiesa, e l’altra  sorella mi aveva realmente tenuta a battesimo! Ripeteva sempre: “Sapiti, Maria, eu, vi portai ‘ambrazza finu a glia chiesija!”, e rivendicava così il suo diritto ad essere anche se per metà,  pure lei mia madrina di battesimo, con la sorella, che era la mia vera madrina! Cara amata madrina, piccola mamma affettuosa e discreta!
Io, a quei tempi, ero esile, inappetente, schizzinosa, amante solo della cioccolata, della pasta e dei gelati, molte altre cose buone, non mi interessavano, a quei tempi!
Mangiavo poco, giocavo tanto, studiavo e meditavo su ogni cosa.
Arrivai al mare silenziosa, timida, con quel gran saccone di cugliure impastate con l’olio di oliva, un gran sacco bianco di linone, tessuto al telaio da mia madre e chiuso alla bocca, stretto fitto fitto, con una cordicella!
Non posso dimenticare quei giorni! La bellezza del mare, l’aria fresca del mattino, i discorsi lieti delle donne e le sere passate in riva al mare a cantare, adulti e bambini,  con una giovane coppia di sposi novelli, a suonare la chitarra, mentre sopra di noi, in cielo, brillavano copiose e vivide stelle. Al mattino la madrina Caterina, accorta come una vera madre, mi preparava il cordiale , fatto con due uova nostrane del suo pollaio, e sbattute con lo zucchero, e pretendeva pure che li mangiassi, ma io mi rifiutavo, allora lei si arrabbiava, io piangevo, mi offendevo e scappavo dietro il retro della casetta in affitto, e mi nascondevo, tenendo il viso tra le mani, decisa e ritta accanto ad un cumulo di sassi e pietre, inseguita dalla madrina , preoccupata, per quel ruolo di madre in prima persona che doveva assolvere al massimo, poiché, ripeteva, ne sentiva tutta la responsabilità, anche nei confronti di mia madre!
La madrina mi implorava, con mille astuzie, mi supplicava di mangiare le uova con lo zucchero, che mi avrebbero fatto bene, e ripeteva che il mare indebolisce, e che se io non mangiavo, mi rispediva a casa mia, al paese, da mia madre, lontano dal mare! Non ricordo come finivano queste scaramucce alimentari, però ne custodisco il ricordo tenero della cura che aveva per me, la mia madrina, così buona, affettuosa ed accorta nei miei confronti, sin d’allora!
 Poi, alla vigilia giungeva, finalmente, anche l’altra madrina, la vera, che mi aveva battezzata, ed arrivava carica di dolci, calia, mostaccioli, uova, pane, formaggio di capra, legna per cucinare, e fichi d’india e pere di ogni tipo, che aveva raccolto nel podere di Guttà!E con il suo bel sorriso materno, e carica come un babbo Natale, piena di doni e prelibatezze, frutta profumata e cibo!Portava pere gentili, con la buccia di un rosso vivido maturata al sole di luglio agosto, e buttava sul tavolo pere di ogni tipo che aveva raccolto a Guttà, nel podere di loro proprietà!Pere gentili, pere del tipo pedicurti, o pere maiatiche, pere furcunegli, vi era ogni sorta di tipo di pere, raccolte nel piccolo pereto, che offriva frutti per tutta l’estate!e poi ci mondava ed offriva gustosi fichi raccolti al Vallone ed  i fichi d’india datele da mia madre e raccolte al podere Markiti, posava l’uva ‘nzolia, negregliu da catuna, o tre mani , ed ogni sorta di cibo o dolce si aggiungeva al lauto banchetto di pasta e carne col sugo!e Tutto in omaggio alla Madonna, alla festa di Maria Ss.ma che doveva essere onorata anche con un buon pranzo!ripetevano lei e la sorella!” Mangiati Maria” mi insistevano, non bevete tanta acqua!bevete vino, ma io storcevo il viso, e dicevo no, che non mi piaceva e questo valeva pure per il caffè!Non conoscevo quei sapori ancora e non mi piacevano affatto!
Quell’arrivo era una festa!per me, per la sorella, per tutti noi, anche per la Madonna! La madrina era una canterina, e con la sorella cantava la Madonna di Pugliano con antiche orazioni, ed il capo coperto da un  ampio maccaturi di seta celeste con le frange  fatte di fili di seta lucente, per rispetto e per tutta la novena. Che momenti belli che erano quelli!li custodisco tutti nel cuore! La mia madrina aveva sempre le labbra improntate al sorriso, lieta, svelta, semplice, laboriosa, ottimista e volitiva!così la rammento. Cara, e dolce madrina mia!Quante cose potrei narrare di lei!quante cose dovrò narrare di lei!
La madrina era una donna bella, alta, con un corpo da statua greca, dalle spalle dritte e belle, aveva belle gambe lunghe come il padre Filippo ed una corona di capelli a trecce castano scuro che ornavano ed incorniciavano il bel viso, scardino, lo definiva lei, per dire che era un viso minuto e non bianchissimo, ma abbronzato dal sole sulle colline e nei campi a faticare!Gli occhi piccoli, castani e dolci, profondi e buoni e sempre sorridenti verso gli altri, le mani svelte,belle e laboriose e che non stavano mai ferme e oziose,  ma sempre occupate a lavorare, lavare, piantare, pulire, cucinare, ed a fare qualcosa, per gli altri soprattutto!Lei, era molto generosa e prodiga di cuore e modi e chi la conosceva rimaneva colpito dal suo modo bello di fare e di agire, e dalla generosità e  dalla dolcezza e bontà di modi, parole e gesti!
Ripeteva anche da anziana: “Du tempu perdutu chi ‘ndaviti?nenti!”e lo diceva per se e per gli altri!
Per me questa donna era la pace, l’amore, la sicurezza, la mia grande quercia a cui potevo appoggiarmi!Sin da bambina, con lei andavo dovunque, volentieri, fiduciosa e felice, perché mi dava tanta sicurezza!Tanta! perchè di lei mi fidavo e con lei non mi annoiavo mai!Era una madre per me, mi apparteneva, faceva parte della mia vita di bambina, tanto difficile e pure travagliata!soprattutto nel mio animo di bambina che aveva tanti perché in mente, tante richieste, bisogni materiali ed affettivi!La madrina per me era pane e cacio ma anche affetto e ristoro, con la sorella ed il padre!il pane era bianco di Majorca, il cacio era di capra ed era una piccola scaglia bianca profumata che aveva preparato con amore lei o la sorella e che lei mi porgeva e donava non senza raccomandarmi di” Cumpaniarlo” col pane, un bel pezzo grosso e bianco di pane di casa fatto da lei, con amore!Lei affrontava con il buon senso la ristrettezza ed il bisogno, accorta e materna, poiché conosceva bene pure la fame!Ed era pure molto saggia!
 “A fami è brutta, Maria!è brutta, a fami, Maria!” Ripeteva accorata!
“Voi non conoscete il mondo, Maria!il mondo è cattivo!se ‘ndaviti vi dunanu, se no vi negano tutto, puru na fetta i pani!Figlioli mei, che malu u mundu!chi sapiti!”.Vui ancora non sapiti, ca siti cotrara!ma u mundu è malu!ricordatavigliu! U mundu è malu daveru, Maria”
Diceva così, pensosa ed accorata e poi sorrideva con tutto il corpo, occhi e bocca compresa!guardandomi fisso negli occhi!
“Vui siti ancora cotrara non sapiti, non capisciti”!Maria!Chi sapiti vui che bruttu stu mundu!?Si ‘ndaviti vi dunanu, se no vi dassinu i moriti i fami!””E’ fattu così u mundu!”Pochi ennu boni!”
 ripeteva ancora, accorata e saggia, perché lei conosceva la chiusura anche dell’animo umano paesano che spesso aiutava ….”U PROVVIDUTO ca u poveru era ‘mparatu i pati a fami!”e questo era un concetto che ritornava in politica e nel piccolo mondo paesano, sotto forma di proverbio, antica saggezza dei popoli; e per rafforzare le sue convinzioni narrava mille aneddoti al riguardo. Io, pur non conoscendo il mondo ascoltavo, ed avrei poi verificato le nascoste  saggezze e verità dei suoi discorsi.
 Ascoltavo tutto in silenzio, e non dicevo niente, immagazzinavo parole, gesti, concetti, per tirarli fuori al momento opportuno, credo! Come sto facendo oggi, per esempio, per narrare!chissà!Tutto mi era nuovo, sconosciuto, anche gli aneddoti di fame e ristrettezze che mi narrava la madrina!, perchè lei voleva farmi capire il mondo e la durezza della vita della povera gente, dimenticata da tutti, dallo Stato e dai ricchi!Come in una sorta di discorso meridionalista primordiale ed ante litteram, degno dell’analisi storica che vi è in : “Cristo si è fermato ad Eboli”, di Levi. E, forse Cristo si era davvero fermato ad Eboli e qui al profondo Sud non era mai arrivato, (ti veniva da pensare!), se non per seminare rassegnazione e speranza biblica, ma ancora senza riscatto alcuno!Questo sottolineava la madrina con la sua profonda conoscenza degli stenti della vita dei contadini,  che sembravano essere stati dimenticati da tutti, sino ad allora:dalla politica e pure da Dio.
Le povere donne, infatti, erano scalze, d’estate e d’inverno, affamate e piene di voglie di tutto e con la testa piena di sogni e con la Speranza nel cuore che tutto potesse cambiare, così, all’improvviso, per qualche strano miracolo operato dal cielo.
Ed intanto vivevano con pochi vestiti che venivano lavati al torrente o alla fiumara, d’inverno, con i piedi in ammollo in quell’acqua gelida, dove facevano il bucato x tutta la famiglia ed i tanti figli, ed avevano ancora giovani, i seni cascanti e risucchiati dai figli voraci, le case misere e fredde, il pane poco, il futuro difficile, incerto, senza soldi!Era questo che cercava di farmi capire la mia madrina di battesimo con fare accorto e triste, lei che se pur ancora giovanile, quel mondo lo conosceva bene e me lo faceva conoscere con i suoi tanti racconti ed aneddoti e lacrime miste al sorriso!Allora non potevo capire, oggi si, capisco tutto, o quasi, ogni piccola sfumatura, ogni cosa che lei tentava di trasmettermi, divenendo così il mio mentore! E, con tristezza ed amarezza intuisco ora bene e partecipo empaticamente, ad un passato così difficile e fatto di stenti, per chi, come il popolo calabrese, costituito soprattutto, da contadini sfruttati, mancava di tutto da sempre e viveva segnato da ciò, nel corpo e nell’anima ed in attesa di riscattarsi socialmente ed umanamente!
***
Finita la festa, finiva anche il tempo dei vagni e del mare e si ritornava in paese. La madrina Antonia raccoglieva le suppellettili che aveva portato sul capo col cercine dal paese, per quei lunghi tredici km che ci tenevano distanti dal mare, e con il suo passo svelto si rimetteva in cammino sulla strada del ritorno.
Prendeva pentole e vestiti, i vestiti li metteva in una federa di cotone perché non prendessero polvere, il resto, pentole ed altro li poneva in un grosso sacco scuro di canapa che era adatto al trasporto sul capo. Accorta, chiudeva la bocca del sacco con una cordicella e poi se lo poneva sul capo dopo aver arrotolato una vecchia salvietta per cercine ed averla posta sul capo e sotto il saccone ripieno di cose da riportare a casa. Bello sarebbe stato avere un piccolo asinello per il trasporto di quelle cose, ma era un lusso anche l’asino perché costava cibo e soldi, così diffici da trovare a quei tempi, narrava la mia madrina sorridendo e sospirando. “Andiamo, Maria!”mi esortava la madrina sorridendo,” Anehjiti Kata!è artu jornu, faci cardu, ca quando rrivamu, focu meu!eu fughiu, ma tu si lenta…Caminati, Maria, ca ora ghiamu u paghisi ca veni a nostra festa, a Festa i Sangianni Battista!SAngianni vattijhau u Signuri, u sapiti?!Ah, chi gran santu chi ‘davimu nui!”E, sorridendo si metteva a cantare con la sorella:”Furtunatu Precacori ad aviri pe d’avvocatu, n ugra santu protettori chè di tutti veneratu!...”
Io però tornavo in Corriera al paese perché la madrina che era veloce nel camminare, si sentiva intralciata dal mio lento di bambina e perché mi voleva evitare la lunga camminata dei tredici km, che per me bambina era troppo faticosa e stancante!
Così tutti felici e ristorati nello spirito e nel corpo ci avviavamo verso il paese, dopo quella breve pausa estiva regalateci dal mare di Bianco, che avremmo guardato per tutto l’anno dalle strade e dai balconi come un grande vero amico, vicino e lontano, nello steso tempo e ci apprestavamo a vivere con tutta la magia che scaturiva dalle nostre feste paesane, la bella festa del nostro santo patrono, che chiudeva quasi tutte le feste del circondario. Anche se qualche giorno dopo la nostra bella ed amata festa patronale la gente del paese si sarebbe preparata per raggiungere la Madonna di Polsi a piedi, seguendo il costone di Furrajhina e scendendo poi verso la fiumara che divideva i due nostri paesi, Samo e San Luca, come ha ben narrato Corrado Alvaro, in:”Gente in Aspromote!”

Traduzioni:
1.Vagni: bagni; 2. Vi ho portata in braccio sino alla chiesa per esssere battezzata da mia sorella Antonia.3.‘Nzolia…: qualità d’uva da vino e da tavola che si coltivava nelle vigne per fare il mosto;4. Maccaturi:Fazzoletto grande che si usava per coprire il capo e ripararsi dal sole e dal vento e dalla pioggia, ed era un capo importante nell’abbigliamento della cultura contadina, che proveniva dalla cultura greca prima ed araba poi.5.Cumpaniare: nella lingua parlata contadina indicava sapienza nel mangiare, cioè gustando poco a poco il companatico che non abbondava, con morsi di pane più abbondanti, per potersi così sfamare ed essere sazi.6.Del tempo sprecato che si ha o si guadagna?era un incitamento ad essere laboriosi a non oziare, a stare sempre occupati, a lavorare.7. “La fame è brutta, non conoscete la cattiveria del mondo, perché troppo giovane ancora, il mondo è cattivo e nessuno ti da una fetta di pane se non lavori e muori di fame, perchè tutti aiutano il ricco e non il povero, e chi ha riceve altro e chi non ha muore del tutto. I buoni sono pochi a questo mondo” Era questa la dura legge che conosceva la madrina e mi trasmetteva. 8.Muoviti kata, è giorno fatto!fa caldo, quando arriveremo con questo caldo ed a passo lento, come cammini tu, io cammino svelta, voi no. Venite Maria, che ora andiamo in paese e li si farà festa per il nostro caro patrono San Giovanni Battista, che Gran Santo è per noi, ha battezzato Gesù, lo sapevate?E’ un grande santo San Giovanni Battista! 9.Canto paesano antico di Precacore:”Fortunato Precacore ad avere per avvocato un santo così grande ed importante e da tutti conosciuto,venerato ed amato…” 10.Furraghina= nome toponomastico della vetta aspro montana che porta a Polsi, al bel Santuario della madonna di Polsi, appunto, lì nella valle e che la gente raggiunge ogni anno a piedi ai primi di Settembre o il 14 per festa della Santa Croce!

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