Il mare, noi altri che
abitavamo sulla collina samese dell’entroterra jonico, lo vedevamo da sempre,
lì, adagiato sullo sfondo, lontano, oltre i campi, oltre la fiumara, lontano e
vicino insieme, pensavamo, contenti, poiché se allungavi le mani ti sembrava
quasi di toccarlo, di poterlo afferrare o quasi pensavi di poterti bagnare in
quelle acque così azzurre e calme!. Era azzurro, bello, misterioso, invitante e
tutto da scoprire, quel bellissimo mare adagiato sullo sfondo della nostra
visuale.
Non so dire quando mi
accorsi del mare, prima di poterlo toccare, vedere, e tuffarmi in esso! La mia
infanzia la trascorsi lì , ai piedi dei monti, tra zolle profumate di muschio e torrenti scroscianti,
sognante, tra edera, capelvenere e girini, oleandri e ginestre in fiore, lì,
tra le verdi colline che si rivestivano di rossa sulla a primavera o di giallo grano maturo d’estate, sempre li, in
collina, tra monti e colline, torrenti e fiumare, puntualmente gonfie e
straripanti alle prime e copiose acque autunnali. Trascorrendo il tempo a
giocare in piazza, sopra casa mia, o a raccogliere lucciole ed erbe, Sulla, e piccoli panetti di Sant’Antonio
che ci offrivano le piante di malva,
prima di fiorire e ‘ngoglie, o steli di cardi
o di trifoglio dal sapore
agrodolce, e poi raccattare alle prime acque, sonnolente
lumache uscite dal letargo, ignare,e poi arance, more, fichi, uva ed ogni sorta di erbe strane e commestibili che il mondo contadino conosceva da
sempre. Scoprii, pian piano, il mondo incantato della Natura, con le sue file interminabili di formichine indaffarate,
laboriose e mai stanche di trascinare enormi pesi, sulle piccole groppe, o il
nero calabrone che appallottolava il fango, per trascinarsi, paziente, una
palla fatta da sé , per istinto, che era come il peso di Titano che si trascinava dietro il mondo! Più tardi avrei scoperto
che anche l’uomo veniva caricato di pesi enormi da trascinare, con grande
fatica, a volte anche in modo ingiusto, che il tempo dell’infanzia nascondeva
ancora , ma per certi versi già anticipava prematuramente, anche se lentamente!
Questo era il mio mondo
infantile: fatto di piccole cose ordinarie, ma belle! E tutto si svolgeva sotto
la luce accecante del sole che troneggiava sui campi coltivati, sui pendii,
sull’acqua, e faceva germogliare ogni cosa, puntuale, all’arrivo della stagione
opportuna! Ed io, guardavo, scrutavo tutto, ogni cosa, con dentro il cuore un
silenzio religioso, per lo stupore delle cose che si rivelavano a me, discrete,
silenziose, sacre. Si, vi era in esse, tanta sacralità e rispetto, che ogni
cosa suggeriva, dettata anche e soprattutto dal comportamento di chi ci stava
intorno, ci educava, ci informava, amava e divertiva, e ci amava. Care figure
dell’infanzia, così sacra ed importante per ogni bambino! Cara infanzia che
ritorni, proustianamente, alla mente, con ogni sapore, odore, parola e gesto, o
canto, che sembra dimenticato, in fondo al cuore, ma dove vive nascosto e
silente e mormora e sussurra, lieve, le cose vere del cuore, che mai moriranno,
perché sanno resistere anche agli attacchi del tempo!.
Dai balconi, dalle
terrazze guardavamo e sognavamo il mare, noi bambini, ma intanto, ci
rinfrescavamo, d’estate nella Gurna di
Don Filici, o al torrente Santa
Caterina, felici e semplici, come sanno essere solo i bambini, specie
quelli dei paesi interni e di una volta. Erano altri tempi, più difficili, e si
scimmioattava di meno, e si viveva
con più semplicità, rigore, e bontà!
Il mio primo incontro con
il mare lo ebbi verso i sei, sette anni, quando la madrina Caterina mi portò per la prima volta al mare con lei. La
madrina era solita prendere con altre
persone del paese, in affitto, come in una sorta di contratto in
multiproprietà, una stanza ed un cucinino per una quindicina di giorni, al
centro del paese, o vicino al mare, a
Bianco, per fare i bagni e prendere il sole del mattino, dall’inizio di
agosto sino a ferragosto, cioè sino al quindici di agosto, data della
festa della Madonna di Pugliano, alla
quale lei e tutto il paese ed i paesi
vicini erano molto devoti, da sempre!
Era, questa la festività
di Ferragosto, ed il mondo contadino
si riposava, così, dalla fatica dei
campi dell’inverno e della mietitura, e poi coincideva con la Fiera del bestiame e degli arnesi del mondo
contadino e tutto l’entroterra si riversava a Bianco a vendere e comprare. Si vendevano, alla fiera, fichi d’india, maialini, monacegli, pomodori, si comprava farina, pale, zappe, roncole, falci, e pure bestiame, asini, ,
maialini da allevare, e cavalli e muli. Si acquistava e vendeva tutto ciò
che serviva alla sopravvivenza, in quel mondo autarchico e contadino. I soldi
erano pochi e tutto era necessario. E, spesso si contrattava intere giornate,
senza buon esito, mercanteggiando anche per un soldo o due sul prezzo, o
permutando le varie mercanzie.
La madrina Caterina era già al mare, da qualche
giorno, io la raggiunsi dopo, accompagnata dalla zia Ciccia, moglie dello zio
Sebastiano, con la corriera. Mia madre preparò per me un sacco pieno di cugliure fatte con farina, olio, uova e
zucchero. Ne fece un’infornata tutta per me e la madrina, per il tempo dei”
Vagni”, così si diceva allora. “Il mare indebolisce, Maria!”, mi ripeteva ogni
giorno la madrina Caterina, “dovete mangiare, se no…non và! Già, la madrina mi
dava del voi, pur se bambina, perché ero la sua commarella, la sua figlioccia, a metà, si divideva il sacramento
del battesimo con la sorella, poiché lei, diceva, mi aveva portata in braccio
sino alla chiesa, e l’altra sorella mi
aveva realmente tenuta a battesimo! Ripeteva sempre: “Sapiti, Maria, eu, vi
portai ‘ambrazza finu a glia chiesija!”, e rivendicava così il suo diritto ad
essere anche se per metà, pure lei mia
madrina di battesimo, con la sorella, che era la mia vera madrina! Cara amata
madrina, piccola mamma affettuosa e discreta!
Io, a quei tempi, ero
esile, inappetente, schizzinosa, amante solo della cioccolata, della pasta e
dei gelati, molte altre cose buone, non mi interessavano, a quei tempi!
Mangiavo poco, giocavo
tanto, studiavo e meditavo su ogni cosa.
Arrivai al mare
silenziosa, timida, con quel gran saccone di cugliure impastate con l’olio di oliva, un gran sacco bianco di
linone, tessuto al telaio da mia madre e chiuso alla bocca, stretto fitto
fitto, con una cordicella!
Non posso dimenticare
quei giorni! La bellezza del mare, l’aria fresca del mattino, i discorsi lieti
delle donne e le sere passate in riva al mare a cantare, adulti e bambini, con una giovane coppia di sposi novelli, a
suonare la chitarra, mentre sopra di noi, in cielo, brillavano copiose e vivide
stelle. Al mattino la madrina Caterina,
accorta come una vera madre, mi preparava il
cordiale , fatto con due uova nostrane del suo pollaio, e sbattute con lo
zucchero, e pretendeva pure che li mangiassi, ma io mi rifiutavo, allora lei si
arrabbiava, io piangevo, mi offendevo e scappavo dietro il retro della casetta
in affitto, e mi nascondevo, tenendo il viso tra le mani, decisa e ritta
accanto ad un cumulo di sassi e pietre, inseguita dalla madrina , preoccupata,
per quel ruolo di madre in prima persona che doveva assolvere al massimo,
poiché, ripeteva, ne sentiva tutta la responsabilità, anche nei confronti di
mia madre!
La madrina mi implorava,
con mille astuzie, mi supplicava di mangiare le uova con lo zucchero, che mi
avrebbero fatto bene, e ripeteva che il mare indebolisce, e che se io non
mangiavo, mi rispediva a casa mia, al paese, da mia madre, lontano dal mare!
Non ricordo come finivano queste scaramucce alimentari, però ne custodisco il
ricordo tenero della cura che aveva per me, la mia madrina, così buona,
affettuosa ed accorta nei miei confronti, sin d’allora!
Poi, alla vigilia giungeva, finalmente, anche
l’altra madrina, la vera, che mi aveva battezzata, ed arrivava carica di dolci,
calia, mostaccioli, uova, pane, formaggio di capra, legna per cucinare, e fichi
d’india e pere di ogni tipo, che aveva raccolto nel podere di Guttà!E con il
suo bel sorriso materno, e carica come un babbo Natale, piena di doni e
prelibatezze, frutta profumata e cibo!Portava pere gentili, con la buccia di un
rosso vivido maturata al sole di luglio agosto, e buttava sul tavolo pere di
ogni tipo che aveva raccolto a Guttà, nel podere di loro proprietà!Pere gentili, pere del tipo pedicurti, o pere maiatiche, pere furcunegli,
vi era ogni sorta di tipo di pere, raccolte nel piccolo pereto, che offriva
frutti per tutta l’estate!e poi ci mondava ed offriva gustosi fichi raccolti al
Vallone ed i fichi d’india datele da mia madre e raccolte
al podere Markiti, posava l’uva ‘nzolia, negregliu da catuna, o tre mani
, ed ogni sorta di cibo o dolce si aggiungeva al lauto banchetto di pasta e
carne col sugo!e Tutto in omaggio alla Madonna,
alla festa di Maria Ss.ma che doveva essere onorata anche con un buon
pranzo!ripetevano lei e la sorella!” Mangiati Maria” mi insistevano, non bevete
tanta acqua!bevete vino, ma io storcevo il viso, e dicevo no, che non mi
piaceva e questo valeva pure per il caffè!Non conoscevo quei sapori ancora e
non mi piacevano affatto!
Quell’arrivo era una
festa!per me, per la sorella, per tutti noi, anche per la Madonna! La madrina era una canterina, e con la sorella cantava la Madonna di Pugliano con antiche
orazioni, ed il capo coperto da un ampio
maccaturi di seta celeste con le frange fatte di fili di seta lucente, per rispetto e
per tutta la novena. Che momenti belli che erano quelli!li custodisco tutti nel
cuore! La mia madrina aveva sempre le labbra improntate al sorriso, lieta,
svelta, semplice, laboriosa, ottimista e volitiva!così la rammento. Cara, e
dolce madrina mia!Quante cose potrei narrare di lei!quante cose dovrò narrare
di lei!
La madrina era una donna
bella, alta, con un corpo da statua greca, dalle spalle dritte e belle, aveva
belle gambe lunghe come il padre Filippo ed una corona di capelli a trecce
castano scuro che ornavano ed incorniciavano il bel viso, scardino, lo definiva lei, per dire che era un viso minuto e non
bianchissimo, ma abbronzato dal sole sulle colline e nei campi a faticare!Gli
occhi piccoli, castani e dolci, profondi e buoni e sempre sorridenti verso gli
altri, le mani svelte,belle e laboriose e che non stavano mai ferme e oziose, ma sempre occupate a lavorare, lavare,
piantare, pulire, cucinare, ed a fare qualcosa, per gli altri soprattutto!Lei, era
molto generosa e prodiga di cuore e modi e chi la conosceva rimaneva colpito
dal suo modo bello di fare e di agire, e dalla generosità e dalla dolcezza e bontà di modi, parole e
gesti!
Ripeteva anche da
anziana: “Du tempu perdutu chi ‘ndaviti?nenti!”e lo diceva per se e per gli
altri!
Per me questa donna era
la pace, l’amore, la sicurezza, la mia grande quercia a cui potevo appoggiarmi!Sin
da bambina, con lei andavo dovunque, volentieri, fiduciosa e felice, perché mi
dava tanta sicurezza!Tanta! perchè di lei mi fidavo e con lei non mi annoiavo
mai!Era una madre per me, mi apparteneva, faceva parte della mia vita di
bambina, tanto difficile e pure travagliata!soprattutto nel mio animo di
bambina che aveva tanti perché in mente, tante richieste, bisogni materiali ed
affettivi!La madrina per me era pane e
cacio ma anche affetto e ristoro,
con la sorella ed il padre!il pane
era bianco di Majorca, il cacio era
di capra ed era una piccola scaglia
bianca profumata che aveva preparato con amore lei o la sorella e che lei mi
porgeva e donava non senza raccomandarmi di”
Cumpaniarlo” col pane, un bel pezzo grosso e bianco di pane di casa fatto
da lei, con amore!Lei affrontava con il buon senso la ristrettezza ed il
bisogno, accorta e materna, poiché conosceva bene pure la fame!Ed era pure
molto saggia!
“A fami è brutta, Maria!è brutta, a fami, Maria!”
Ripeteva accorata!
“Voi non conoscete il
mondo, Maria!il mondo è cattivo!se ‘ndaviti vi dunanu, se no vi negano tutto,
puru na fetta i pani!Figlioli mei, che malu u mundu!chi sapiti!”.Vui ancora non
sapiti, ca siti cotrara!ma u mundu è malu!ricordatavigliu! U mundu è malu
daveru, Maria”
Diceva così, pensosa ed
accorata e poi sorrideva con tutto il corpo, occhi e bocca compresa!guardandomi
fisso negli occhi!
“Vui siti ancora cotrara
non sapiti, non capisciti”!Maria!Chi sapiti vui che bruttu stu mundu!?Si
‘ndaviti vi dunanu, se no vi dassinu i moriti i fami!””E’ fattu così u
mundu!”Pochi ennu boni!”
ripeteva ancora, accorata e saggia, perché lei
conosceva la chiusura anche dell’animo umano paesano che spesso aiutava ….”U
PROVVIDUTO ca u poveru era ‘mparatu i pati a fami!”e questo era un concetto che
ritornava in politica e nel piccolo mondo paesano, sotto forma di proverbio,
antica saggezza dei popoli; e per rafforzare le sue convinzioni narrava mille
aneddoti al riguardo. Io, pur non conoscendo il mondo ascoltavo, ed avrei poi
verificato le nascoste saggezze e verità
dei suoi discorsi.
Ascoltavo tutto in silenzio, e non dicevo
niente, immagazzinavo parole, gesti, concetti, per tirarli fuori al momento
opportuno, credo! Come sto facendo oggi, per esempio, per narrare!chissà!Tutto
mi era nuovo, sconosciuto, anche gli aneddoti di fame e ristrettezze che mi
narrava la madrina!, perchè lei voleva farmi capire il mondo e la durezza della
vita della povera gente, dimenticata da tutti, dallo Stato e dai ricchi!Come in
una sorta di discorso meridionalista primordiale
ed ante litteram, degno dell’analisi
storica che vi è in : “Cristo si è fermato ad Eboli”, di Levi. E, forse Cristo si era davvero fermato ad Eboli e qui al profondo Sud non era mai arrivato, (ti veniva da
pensare!), se non per seminare rassegnazione e speranza biblica, ma ancora
senza riscatto alcuno!Questo sottolineava la madrina con la sua profonda
conoscenza degli stenti della vita dei contadini, che sembravano essere stati dimenticati da
tutti, sino ad allora:dalla politica e pure da Dio.
Le povere donne, infatti,
erano scalze, d’estate e d’inverno, affamate e piene di voglie di tutto e con
la testa piena di sogni e con la Speranza nel cuore che tutto potesse cambiare,
così, all’improvviso, per qualche strano miracolo operato dal cielo.
Ed
intanto vivevano con pochi vestiti che venivano lavati al torrente o alla
fiumara, d’inverno, con i piedi in ammollo in quell’acqua gelida, dove facevano
il bucato x tutta la famiglia ed i tanti figli, ed avevano ancora giovani, i
seni cascanti e risucchiati dai figli voraci, le case misere e fredde, il pane
poco, il futuro difficile, incerto, senza soldi!Era questo che cercava di farmi
capire la mia madrina di battesimo con fare accorto e triste, lei che se pur
ancora giovanile, quel mondo lo conosceva bene e me lo faceva conoscere con i
suoi tanti racconti ed aneddoti e lacrime miste al sorriso!Allora non potevo
capire, oggi si, capisco tutto, o quasi, ogni piccola sfumatura, ogni cosa che
lei tentava di trasmettermi, divenendo così il mio mentore! E, con tristezza ed
amarezza intuisco ora bene e partecipo empaticamente, ad un passato così
difficile e fatto di stenti, per chi, come il popolo calabrese, costituito
soprattutto, da contadini sfruttati, mancava di tutto da sempre e viveva
segnato da ciò, nel corpo e nell’anima ed in attesa di riscattarsi socialmente
ed umanamente!
***
Finita
la festa, finiva anche il tempo dei vagni e del mare e si ritornava in paese.
La madrina Antonia raccoglieva le suppellettili che aveva portato sul capo col
cercine dal paese, per quei lunghi tredici km che ci tenevano distanti dal
mare, e con il suo passo svelto si rimetteva in cammino sulla strada del
ritorno.
Prendeva
pentole e vestiti, i vestiti li metteva in una federa di cotone perché non
prendessero polvere, il resto, pentole ed altro li poneva in un grosso sacco
scuro di canapa che era adatto al trasporto sul capo. Accorta, chiudeva la
bocca del sacco con una cordicella e poi se lo poneva sul capo dopo aver
arrotolato una vecchia salvietta per cercine ed averla posta sul capo e sotto il
saccone ripieno di cose da riportare a casa. Bello sarebbe stato avere un
piccolo asinello per il trasporto di quelle cose, ma era un lusso anche l’asino
perché costava cibo e soldi, così diffici da trovare a quei tempi, narrava la
mia madrina sorridendo e sospirando. “Andiamo, Maria!”mi esortava la madrina
sorridendo,” Anehjiti Kata!è artu jornu, faci cardu, ca quando rrivamu, focu
meu!eu fughiu, ma tu si lenta…Caminati, Maria, ca ora ghiamu u paghisi ca veni
a nostra festa, a Festa i Sangianni Battista!SAngianni vattijhau u Signuri, u
sapiti?!Ah, chi gran santu chi ‘davimu nui!”E, sorridendo si metteva a cantare
con la sorella:”Furtunatu Precacori ad aviri pe d’avvocatu, n ugra santu
protettori chè di tutti veneratu!...”
Io
però tornavo in Corriera al paese perché la madrina che era veloce nel
camminare, si sentiva intralciata dal mio lento di bambina e perché mi voleva
evitare la lunga camminata dei tredici km, che per me bambina era troppo
faticosa e stancante!
Così
tutti felici e ristorati nello spirito e nel corpo ci avviavamo verso il paese,
dopo quella breve pausa estiva regalateci dal mare di Bianco, che avremmo
guardato per tutto l’anno dalle strade e dai balconi come un grande vero amico,
vicino e lontano, nello steso tempo e ci apprestavamo a vivere con tutta la
magia che scaturiva dalle nostre feste paesane, la bella festa del nostro santo
patrono, che chiudeva quasi tutte le feste del circondario. Anche se qualche
giorno dopo la nostra bella ed amata festa patronale la gente del paese si
sarebbe preparata per raggiungere la Madonna
di Polsi a piedi, seguendo il costone di Furrajhina e scendendo poi verso la fiumara che divideva i due
nostri paesi, Samo e San Luca, come
ha ben narrato Corrado Alvaro, in:”Gente in Aspromote!”
Traduzioni:
1.Vagni: bagni; 2. Vi ho
portata in braccio sino alla chiesa per esssere battezzata da mia sorella
Antonia.3.‘Nzolia…: qualità d’uva da vino e da tavola che si coltivava nelle
vigne per fare il mosto;4. Maccaturi:Fazzoletto grande che si usava per coprire
il capo e ripararsi dal sole e dal vento e dalla pioggia, ed era un capo
importante nell’abbigliamento della cultura contadina, che proveniva dalla
cultura greca prima ed araba poi.5.Cumpaniare: nella lingua parlata contadina
indicava sapienza nel mangiare, cioè gustando poco a poco il companatico che
non abbondava, con morsi di pane più abbondanti, per potersi così sfamare ed
essere sazi.6.Del tempo sprecato che si ha o si guadagna?era un incitamento ad
essere laboriosi a non oziare, a stare sempre occupati, a lavorare.7. “La fame
è brutta, non conoscete la cattiveria del mondo, perché troppo giovane ancora,
il mondo è cattivo e nessuno ti da una fetta di pane se non lavori e muori di
fame, perchè tutti aiutano il ricco e non il povero, e chi ha riceve altro e
chi non ha muore del tutto. I buoni sono pochi a questo mondo” Era questa la
dura legge che conosceva la madrina e mi trasmetteva. 8.Muoviti kata, è giorno
fatto!fa caldo, quando arriveremo con questo caldo ed a passo lento, come
cammini tu, io cammino svelta, voi no. Venite Maria, che ora andiamo in paese e
li si farà festa per il nostro caro patrono San Giovanni Battista, che Gran
Santo è per noi, ha battezzato Gesù, lo sapevate?E’ un grande santo San
Giovanni Battista! 9.Canto paesano antico di Precacore:”Fortunato Precacore ad
avere per avvocato un santo così grande ed importante e da tutti
conosciuto,venerato ed amato…” 10.Furraghina= nome
toponomastico della vetta aspro montana che porta a Polsi, al bel Santuario della
madonna di Polsi, appunto, lì nella valle e che la gente raggiunge ogni anno a
piedi ai primi di Settembre o il 14 per festa della Santa Croce!
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