mercoledì 8 aprile 2015

Sara Brugo - Milonga

E’ giovedì sera. Evaristo si è infilato sulla pelle la camicia bianca, s’è guardato nello specchio lungo appeso all’anta dell’armadio, ha fatto un giro su se stesso, s’è guardato ancora, ha ravviato i capelli neri e lucidi con un gesto indifferente della mano e, alla fine, conservando un’espressione di compiacimento sul volto bruno, è uscito nei vicoli del barrio.
E’ giovedì sera e, come ogni giovedì sera, Evaristo si lascia alle spalle la fatica delle giornate di lavoro al porto, spezza il ritmo dei suoi giorni e si concede una serata di libertà.
Ha una passione Evaristo, una di quelle passioni che ti entrano nel sangue e dalle quali non riesci a liberarti. Ma, forse, nemmeno vorresti, liberartene.
Tiene duro tutta la settimana solo perché sa che arriverà il giovedì ed il giovedì l’oggetto del suo amore sconfinato sarà lì ad attenderlo, lo accoglierà sin nel profondo della notte, lo consolerà e proteggerà, lo sospingerà in un mondo dove tutto diventa possibile e a portata di mano.
Evaristo scosta la porta dell’Azul: il locale è immerso nella penombra e nelle volute di fumo che galleggiano a mezz’aria. Ci vuole un po’ prima che la sua vista prenda confidenza con l’oscurità. Si lascia il bancone del bar alle spalle e si avvicina all’unico spazio illuminato della sala.
La pista da ballo sembra emergere dall’oceano della notte: così bianca e ancora solitaria, sembra il miraggio di un naufrago.
Addossate alla parete, poche sedie occupate da sconosciuti distratti.
Non hanno ancora incominciato a suonare.
Evaristo lancia il suo sguardo sapiente fra le poche donne presenti: Rosèta ancora non si vede. Poco male, non ha mai faticato lui a trovarsi una compagna: “Ola, Guillermo! Non iniziamo questa sera?”.
Un sorriso si allarga sotto i baffi neri dell’uomo basso e tarchiato, i radi capelli ben impomatati, cui Evaristo si è rivolto.
Guillermo non risponde, si siede ed estrae dalle custodia il suo bandoneon, lo appoggia sulla gamba destra e gli dà fiato. Le note ciniche e melanconiche iniziano a sprigionarsi dallo strumento, attraversano l’aria greve dell’Azul, entrano in ogni fessura della vecchia costruzione, si insinuano sotto le tavole del pavimento, fanno tintinnare i bicchieri di rum già per metà vuoti.
Evaristo cerca intorno: lui e la sua camicia bianca fremono, non possono più attendere.
Amilar, dall’altra parte della sala, ammicca ad Evaristo. Lui muove qualche passo verso quel richiamo ma poi si ferma: nel buio, oltre il perimetro luminoso della pista, gli è sembrato di cogliere un movimento, un colore mai visto, un indefinibile riverbero di luce.
Evaristo tende la mano nell’oscurità e, quando la ritrae, appesa alla sua mano c’è una ragazza dagli occhi di miele che lo guarda e non sorride.
I due si fanno largo fra gli altri e raggiungono il quadrato di luce. Stanno fermi uno di fronte all’altra. Poi, senza sfiorarsi, iniziano ad assecondare con i loro movimenti il ritmo della milonga. E’ un gioco di passi, di spalle che si incurvano e arretrano. E’ un assaggiarsi, un provocarsi, offrirsi e fuggire sulle note di quella musica turbinosa e insinuante.
Evaristo e la ragazza dagli occhi di miele sono sempre più vicini. Quando lui le infila il braccio esattamente nell’incavo dell’ascella e la stringe nell’abbraccio esclusivo del milonguero, sente i suoi capelli lunghi e ricci solleticargli la pelle e sotto le sue dita la morbidezza del tessuto a fiori del vestito di lei.
C’è solo la musica del bandoneon adesso, puro ritmo che striscia sull’impiantito e sale attraverso le gambe e si annida nelle tempie. Su quel ritmo misuri il tuo respiro e il battito del tuo cuore. E non c’è nient’altro.
Evaristo si sente libero. E’ la libertà del giovedì sera.
Per un attimo si è scordato di lei; la guarda e vorrebbe scusarsi di quella dimenticanza.
Ma quando incontra i riflessi dorati dei suoi occhi di miele capisce che anche lei si è scordata di lui e che è una cosa sola con quella musica. Non è il suo abbraccio a guidarla ma il susseguirsi incalzante delle note.
Evaristo per un momento si sente inutile ma è questione di un attimo. Poi si abbandona alla milonga e non ci pensa più.
Hanno ballato tutta la notte. Per l’Azul è l’ora di chiudere.
“Ti accompagno” dice Evaristo alla ragazza dagli occhi di miele. Lei sorride, un po’ disorientata da quella proposta, sorride e non risponde.
Per strada nessuno dei due parla. Camminano uno a fianco dell’altra. Lui trova il coraggio di allungare una mano e la trattiene delicatamente per un braccio, l’attira vicino a se’. I loro volti sono così vicini adesso ed è come se avessero ripreso a ballare.
Improvvisamente gli occhi di lei ridono, la ragazza si divincola da quella stretta delicata e scappa via.
Evaristo vede la sua gonna a fiori sparire dietro l’angolo di una baracca. Prova a seguirla ma ormai è troppo tardi. Lei è sparita.

E’ giovedì sera, di nuovo.
Evaristo ha atteso questo giorno con intensità, eppure lo teme. Teme che la ragazza dagli occhi di miele sia persa per sempre.
Ma, appena mette piede all’Azul, la vede. La vede ancor prima che la ragazza si renda conto della sua presenza: è seduta su una delle seggiole attorno alla pista da ballo, i grandi occhi frugano la penombra un po’ smarriti, le dita sgualciscono nervose le pieghe del vestito a fiori.
Quando infine lo nota, fa un gesto vago con la mano, come un saluto.
Lui attraversa la pista in diagonale: si sente invincibile e bello e slanciato.
Sta in piedi davanti a lei ora. Non le tende la mano. Nel suo guardo un perentorio: “Balliamo” .
Lei si alza, raccoglie la sfida, quasi lo spinge col suo corpo al centro della sala. Evaristo arretra, assecondandola con i movimento plateali del tango.
E già sono nel tempo della musica, nel ritmo, nel vibrare dei passi e delle note.
Fino a notte inoltrata quando lei, ancora una volta, fugge.

“Non so chi è, Guillermo. Non mi ha rivolto la parola, nemmeno per dirmi il suo nome” si confida Evaristo.
“E tu seguila di nascosto” gli suggerisce il sorriso sotto ai baffi.
E’ un altro giovedì sera, stanno per spegnersi le luci sulla pista dell’Azul. Prima che il bandoneon esali l’ultimo respiro, Evaristo scioglie dall’abbraccio la ragazza dai capelli di miele, fa un piccolo inchino sfrontato e se ne va.
Fuori, si apposta dietro ad un muretto e aspetta.
Quasi subito la ragazza dagli occhi di miele esce. Guarda a destra. Guarda a sinistra. Lo sta cercando. Ma non lo scorge. China la testa e si avvia.
Evaristo la segue tenendosi a distanza; nella luce fioca dei lampioni, i suoi piedi inciampano e lui teme di venir scoperto. Invece la ragazza dagli occhi di miele non si accorge di nulla, assorta forse nei suoi pensieri.  Un basso caseggiato popolare la aspetta. Adesso Evaristo sa dove trovarla.
L’indomani, finito il lavoro, Evaristo torna a cercarla: la vede in cortile, gli dà le spalle, sta stendendo all’aria il vestito a fiori.
“Scusa!” la interpella Evaristo con il cuore a mille “Passavo di qua e ti ho visto. Allora è qui che abiti.”
La ragazza dagli occhi di miele continua nelle sue faccende e sembra non essersi accorta di lui.
“Senti, non ti sarai arrabbiata per ieri sera, vero?” riprova Evaristo. Ancora nessuna risposta.
Si sente tirare per una manica. Guarda giù: è una nina di una decina d’anni: “E’ inutile che gridi. Annita non ti sente: è sorda. E’ così da quando è nata.” E, mentre dice queste parole, quella bambina, per meglio farsi intendere, si copre con le mani le orecchie.
Quando Evaristo guarda di nuovo verso la ragazza dagli occhi di miele, lei si è ormai voltata, lo ha visto e ora lo interroga trepidante con il suo sguardo caldo. Poi, vedendo che l’uomo se ne sta impietrito in mezzo alla strada, delusa, accenna a rientrare in casa.
Evaristo alza un braccio nel gesto di trattenerla: “Sono qui, non andare via”. Lei aspetta.
Lui allora inizia a battere le mani al tempo di una milonga. All’inizio è incerto, poi la ragazza sorride ed anche lei inizia a battere le mani, allo stesso ritmo.

E’ giovedì sera. All’Azul, Guillermo si fa raccontare una storia d’amore dal suo bandoneon.
Evaristo e Annita sono al centro della pista, lui con la sua camicia bianca, lei col suo vestito a fiori.
Non parlano, non serve. Parlano i loro cuori che palpitano allo stesso ritmo di un’incredibile milonga.

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