venerdì 10 aprile 2015

Pierpaolo Lavatelli - Frammenti di cielo

Quando lo guardo, sembra a una casa abbandonata: il tetto è crollato, le travi sono a pezzi e sono appoggiate sul pavimento. Mi si stringe il cuore: il silenzio pervade le stanze e la terra ricopre il pavimento.

Le gelosie sono a pezzi e il rumore dei vetri frantumati sotto le mie scarpe m’inquieta.

Qua e là è rimasta un po' di vernice sui muri, laggiù si vedono ancora i segni di una fiamma che ardeva nel camino.

Lo sapevo che non volevo entrare qui: che ci sono venuto a fare?

Eppure tendo l’orecchio e immagino, rivivo quello che c'è stato in quel luogo. Un ciliegio ha preso possesso di una stanza: il tetto manca completamente, ma lui si è lanciato lassù in alto. Metà pianta rimane in ombra e metà è al sole: è carico di ciliege!

Una porta si regge sui cardini per miracolo, un vecchio portalampade annerito monta ancora una lampadina semi spezzata. Non è questo il posto che mi ricordavo: manca ogni cosa qui e la ruggine ha preso possesso delle inferriate alle finestre; tanto che si sbriciola in pezzi minuscoli assieme al cemento. I muri sono scrostati e solo per alcuni pezzi, pochi frammenti, l’intonaco mostra tratti di cielo con delle stelline dorate.

I mobili, i quadri alle pareti, tutta quell’atmosfera accogliente e intima è sparita. Solo due vecchie sedie sgangherate e con la seduta sfondata giacciono accatastate in un angolo tra pezzi di mattone rosso sgretolato e cemento.

Gli uccelli saltellano con le loro zampette sui coppi pericolanti del tetto, le ragnatele sono ovunque ed hanno catturato polvere e frammenti di cemento sbriciolato.

Altre volte, invece, lo osservo ed è come cenere di un camino dimenticato da tempo: polverizzato e inutile, solo lo scarto della grande fiamma che bruciava. Prendo un ferro e muovo la cenere: doveva esserci un gran braciere.  La cenere è quasi impalpabile come se il fuoco si fosse consumato piano piano e non volesse morire. Che cosa sarà rimasto di lui? Dove è finito? Forse qualche tizzone arde ancora! Una folata di vento gelido spazza la cenere e la disperde nell’aria, non so da quanto tempo non arda più il fuoco.

Guardo la nuvola di cenere che si avvolge nel turbinare del vento e dentro in quel vortice vorrei sparire pure io.

Potrei inseguire quel turbine, come fossi entrato in un tornado che ha catturato nella sua spirale tutto quello che non so e che ho perduto... e che non so ritrovare.

Stamattina il mare si è placato: è presto, la spiaggia è vuota. La marea ha portato sul bagno asciuga bottiglie di plastica, imballi e pezzi di polistirolo; la posidonia marina, strappata dal fondo dalle onde, si rigira nella risacca annerita dalla sabbia e dalla terra.  Gli ombrelloni sono stati strappati dal vento come fuscelli: sono atterrati tutti ammassati dentro una piccola grotta nella roccia. Sulla spiaggia ossi di seppia e qualche pesce morto: sorpreso dalla mareggiata, guarda questo strano mondo con il suo occhio ormai spento.

Eppure solo ieri quest’angolo di costa era un paradiso: tra i castelli di sabbia e le corse dei bambini, con il suo mare color del cristallo e il gabbiano che garriva. Visto dall’alto era un semicerchio che racchiudeva un panorama di rotonda bellezza: il bianco accecante della sabbia e il nero lavato delle rocce, il via vai delle persone nei costumi variopinti e le vele rapide e veloci all’orizzonte. Gli ombrelloni e le sdraio che punteggiavano la spiaggia come tanti tasselli multicolore. Il brusìo delle persone e la musica delle radio sulla spiaggia che si perde e si mescola al vento.

Ora sento solo i miei piedi che affondano nella sabbia e mi volto a guardare le mie impronte che spariscono cancellate dall’onda del mare. Il cielo è grigio-nero carico di nuvole, il vento sferza i pini ed è l’unico padrone della spiaggia oggi. No, non so riconoscerlo neanche qui. Non può essere lui: se questo è quello che resta di lui so che lo troverò in un altro posto. Forse vivrà nell’attimo in cui il sole tocca il mare prima di sparire dall’orizzonte, oppure brillerà come il baluginio della luna sul mare increspato di notte o nuoterà dentro ad una melodia che arriva come un’eco lontano e che, come una pioggia dorata di stelle da un cielo blu, si riflette nei miei pensieri.

E' un letto disfatto, una pianta senz’acqua, un motore annerito e ossidato con le cinghie a pezzi: un locomotore a vapore su un binario morto invaso dai rampicanti, un casello abbandonato o un passaggio a livello incustodito. Quello che è diventato lo vedo con facilità, lo trovo spesso ed a volte faccio finta di non accorgermene. Non mi piace che si senta abbandonato: il suo spirito è indomabile e non esiste una ragione od un motivo per cui si manifesti e per come scelga di farlo. Quello che lui era, invece, non è semplice da trovare e forse ne rimane solo il ricordo.

Lui è imprevedibile: a lui non serve niente di ciò che noi conosciamo per potersi mostrare.

Non serve legna per alimentarne la sua fiamma, sembra a pezzi e cade come una cascina abbandonata eppure è solo fuggito: ha solo cambiato forma e posto. Si è mescolato al vento impetuoso e si confuso con esso, si è fuso nelle sfumature di un giorno grigio di pioggia così come in una tavolozza di colori di un panorama che lascia di stucco chi lo ammira... è nel caldo appiccicoso di una giornata di afa in pianura, così come nella fredda brezza che arriva da un ghiacciaio. Sta dentro alle mie storie ed abita dentro di me: a volte si dispera o mi fa credere che se ne sia andato. L’ho fermato e l’ho fissato nelle mie parole, l’ho espresso con la mia musica e sono certo che lui ci sia stato. Non l’ho solo sognato e non era un turbine di vento che mi ha solo confuso. Lui è fissato nei miei ricordi come una fotografia: a volte, come ora, stento a riconoscerlo e mi confonde. E' tra le cose che ho, pur non essendo certo di averlo: si esprime nei miei gesti e quando non lo sto cercando. Mi appartiene e nello stesso tempo non posso averlo: non posso svegliarlo e nemmeno lasciare che dispieghi le sue grandi ali.

Siamo uomini ed ad ogni cosa tentiamo di dare una dimensione: lui non ha misure e non ha un luogo che lo possa contenere, non si può perdere e non si può ritrovare. E' come una galassia rinchiusa in una piccola sfera o un universo imploso dentro ad un barattolo di caffè. Eppure io lo so e mi ricordo di quando ' volava nei pensieri e nei miei desideri '. E' sempre lui: ed anche se so che è non ha un’età, così come non ha un corpo né una dimensione, io lo chiamo ' il mio vecchio amore'.

Per lui ci sarà sempre un posto nel cuore: una stanza, dove poterlo custodire ogni volta che vorrà stare con me. Io lo aspetto, anche se spesso lui è già arrivato senza avvisarmi e per questo suo modo di fare, continua a stupirmi. So che lui è capace di fare grandi cose per me e quando mi abbandona, io mi sento come perso: come un pesce trascinato dalla tempesta sul bagno asciuga della spiaggia, come un ombrellone in balìa del vento.

Non sono io che posso scegliere se averlo o no: è lui che ha questo potere su di me.    Non ha né rimorsi né rimpianti: è il mio puro sentimento.

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