“Ben! Vecchia canaglia, dove pensi di andare?”
Il bastardino, che doveva il suo nome al lucido e
folto pelo completamente nero, era schizzato via non appena la portiera della
vecchia panda era stata aperta.
Inseguendo una giovane merla, adesso mostrava,
scodinzolante, la parte meno nobile di se’ mentre il resto del suo corpo
grassoccio e il muso erano scomparsi nell’intreccio dei rami di un cespuglio di
bosso.
“Non sei un cane da caccia, vuoi capirlo? Vieni fuori
di lì!”
Ben, a malincuore, fece retromarcia e si mise a
gironzolare attorno alle gambe del suo padrone che stava scaricando
l’attrezzatura per la pesca.
Era la prima volta, quell’anno, che i due scendevano
nella valle.
Avevano trascorso tutto l’inverno e buona parte della
primavera in paese: il vecchio amico, col quale Ben condivideva la casa e le
giornate, aveva passato un brutto
momento; era stato molto male, così male da dover rinunciare alle settimanali
visite che si erano abituati a riservare al loro fiume.
Adesso, con il tempo, era migliorata anche la salute
del vecchio pescatore. E così, alla prima giornata tiepida e rassicurante, i
due avevano percorso la strada sterrata che, dalle ultime case del paese, declinando
dolcemente attraverso i tornanti all’ombra delle robinie, li aveva alla fine
depositati ad un centinaio di metri dall’argine.
“Andiamo!” si sentì incitare Ben. Il pescatore era già
avanti di qualche passo col suo cesto, la retina, la canna e gli stivaloni
verdi; Ben lo rincorse e, quando gli fu di fianco, prese la sua andatura.
Per arrivare all’argine non ci volle molto; il
difficile era trovare un posto dove mettersi a pescare: infatti, o l’acqua
pareva desolatamente lontana, ridotta ad un rigagnolo in mezzo all’alveo
asciutto del fiume o, dove era un po’
fonda, risultava difficile raggiungerla, soprattutto per il vecchio
pescatore non più così agile da affrontare con sicurezza la discesa lungo i
blocchi di cemento posti di rinforzo alla riva.
“Vediamo se di là è più facile.”
Ben non capiva se il vecchio stesse parlando fra se’ e
se’ o se ce l’avesse proprio con lui. Provò però ad aiutarlo, precedendolo
sulla pietraia, per indicargli il cammino: ogni tanto si fermava ad aspettarlo,
annusando l’acqua che scorreva in mezzo ai due sassi sui quali aveva posto le
zampe anteriori.
Camminare là sopra risultava impegnativo per tutti e
due. E così procedevano con la testa bassa, facendo ben attenzione a non fare
passi falsi.
Se lo trovarono davanti all’improvviso: un ragazzo
alto e magro stava trasportando verso l’acqua con una specie di slitta un bel
quantitativo di sabbia, che evidentemente aveva raccolto più vicino alla
sponda, là dove il fiume aveva disegnato, durante una delle sue ultime piene,
una punta, lasciandosi dietro, quando si era ritirato, un deposito ricco di
pietrisco e minerali.
I tre incrociarono le loro strade.
“Buongiorno!” fece il pescatore. “’Giorno” rispose di
malavoglia il ragazzo.
Ben si era arrestato e, seduto sulle zampe posteriori,
scrutava incuriosito il nuovo venuto.
“Vieni Ben. Stai sempre indietro.” Il cane si scosse,
seguì ancora per un attimo con lo sguardo
il ragazzo che si allontanava e si risolse alla fine a trotterellare
dietro al suo padrone.
Il ragazzo e il pescatore avevano entrambi raggiunto
l’acqua: il primo si era sistemato a monte, dove c’era un po’ di corrente, il
secondo in un punto un po’ più a valle dove il fiume si dispiegava in un’ampia
curva che ne rallentava la corsa.
Il pescatore armò l’amo con un ignaro bigattino e, con
uno dei suoi lanci magistrali, fece planare la lenza là, proprio dove voleva.
Ben lo guardava adorante, aspettando che, da un
momento all’altro, l’impercettibile movimento verticale del galleggiante
segnalasse la cattura di un pesce luccicante.
Ma il pescatore era distratto: ogni tanto guardava
verso il ragazzo e quasi non si accorse che un cavedano grosso, le cui squame
mandavano vividi riflessi gialli, aveva abboccato.
Ben allora abbaiò e, rapido, il pescatore riavvolse il
mulinello: fu così che il povero cavedano finì nel cestino per metà in ammollo
nell’acqua fresca .
“La cena è assicurata.” disse il vecchio, grattando Ben sul muso. “Che
ne dici se andiamo a vedere che cosa combina quello là?” e accompagnò la
domanda con un cenno del capo in direzione del ragazzo.
A Ben non sembrava una buona idea: a naso gli era parso che quel tipo che avevano
incontrato prima fosse un poco ostile o
che comunque non avesse voglia di compagnia.
Ancora una volta, tuttavia, svogliatamente andò dietro
al suo padrone che, tentando di mantenersi in equilibrio sulle pietre bianche e
viscide del fiume, arrivò alle spalle del giovane mentre questi era intento a
lavare la terra che aveva trasportato fin lì, facendo scorrere un velo d’acqua
su un asse solcato da scannellature orizzontali dove l’aveva depositata.
Il ragazzo mostrava una invidiabile perizia e
concentrazione nel compiere quelle operazioni e sembrava non essersi accorto
del loro arrivo; ma, poiché non si erano premurati di avanzare silenziosamente,
c’era da scommettere che li avesse sentiti e che ancora cercasse di ignorarli.
Ben si convinse che non voleva gente tra i piedi.
Il vecchio invece pareva non capirlo e se ne stava lì
in piedi a guardare.
“Ben, guarda chi abbiamo qui: un pescatore d’oro!”
Rimanendo accovacciato, il ragazzo girò un poco il
capo in direzione dei suoi due interlocutori e tanto bastò a Ben per notare due
occhi scuri dentro un volto abbronzato e serio.
“Già.” fu la risposta laconica che avrebbe scoraggiato chiunque dal tentare
una conversazione.
E…però, il vecchio non aveva intenzione di mollare
l’osso: si era imbattuto in un diversivo nelle sue giornate sempre uguali e non
era sua intenzione battere in ritirata così presto.
Ben lo vide che si piegava sulle ginocchia artritiche
e il suo udito percepì lo scricchiolio delle ossa: “E’ da tanto che lo fai? Sì,
che cerchi l’oro, insomma?”
“Da un po’”.
Il vecchio rimase a guardare ancora per un attimo senza
aggiungere altro.
Poi, perdendosi nel ricordo del passato,
malinconicamente constatò: “Era da tanto tempo che non lo vedevo fare. Cercare
l’oro, dico.” Ed i movimenti lenti lenti del ragazzo che ora imprimeva un moto
circolare ad un dito d’acqua dentro un grosso piatto tondo sembrarono averlo
ipnotizzato.
“Perché cerchi l’oro?”
Il ragazzo a quel punto si arrese: depose il piatto,
si alzò, frugò nella tasca posteriore dei calzoni e da un pacchetto
stropicciato tolse una sigaretta. La accese.
“Perché voglio andare via da qui.”
“E dove vorresti andare?”
Il ragazzo, lo sguardo perso verso l’orizzonte, alla
fine si sciolse: “Un’isola. Un’isola in mezzo ad un mare di cristallo,
riscaldata tutto l’anno dal sole, dove poter vivere pescando e mangiando la
polpa fresca delle noci di cocco.”
Al vecchio venne da ridere ma, Ben lo vide, si
trattenne perché nelle parole del ragazzo aveva colto l’eco del dolore e del
sogno.
“Non stai bene qui?” chiese il pescatore con un tono
basso nella voce.
Il ragazzo lo guardò, gli occhi neri come la pece:
“No. Avevo un lavoro ma la mia fabbrica ha chiuso. Ho cercato qualcos’altro ma
ho rimediato soltanto di fare qualche ora in un’impresa di pulizie. Per tanto
così, meglio voltare pagina.”
*****
Ben accompagnò ogni giorno il pescatore al fiume: là
ritrovavano il ragazzo che, sempre più abbronzato, lavava la sabbia cercando le
pagliuzze dorate in fondo ad un piatto.
Il vecchio sembrava aver deciso di non disturbarlo
nella realizzazione del suo progetto e così si sedeva un po’ più in là a
pescare con la compagnia vigile del suo
cane.
Quando il sole calava e l’ombra della canna da pesca
si allungava oltre misura, il ragazzo ed il pescatore ritiravano con cura i
loro arnesi e, sulla via del ritorno, si incontravano a metà strada:
“Abboccavano oggi?” si informava il ragazzo. “Ma sì.” Rispondeva il pescatore
indicando il cestino. “E te, hai tirato vicino qualche cosa?” “Gli occhi del
ragazzo si riempivano di luce: “Ancora un po’ e ci sono.”.
*****
Quel pomeriggio di fine estate Ben e il pescatore
scesero al fiume per gli ultimi lanci della stagione.
Arrivati al solito posto, il pescatore allargò lo
sgabello pieghevole e si sedette.
Attorno non c’era nessuno; l’unica altra traccia di passaggio umano era un’arrugginita barca a
spuntone che giaceva rassegnata su un fianco.
Ben si guardava in giro e si domandava, fiutando, che
fine avesse fatto il ragazzo. E si chiedeva anche che cosa stesse aspettando il
suo padrone per iniziare a pescare: il vecchio invece di darsi da fare con le
esche, se ne stava lì, guardando per aria, con il naso puntato in direzione
dell’aeroporto internazionale che sorgeva a qualche chilometro da lì,
sull’altra riva del fiume. Consultava ogni tanto l’orologio e poi di nuovo si
metteva a scrutare il cielo.
Un grosso velivolo in fase di decollo spuntò
all’improvviso da dietro la vegetazione: era così vicino che sembrava di
poterlo toccare, la fusoliera gialla, le grandi ali spiegate e il nome di una
compagnia area sudamericana ben leggibile su un fianco.
“Ben! Guarda! E’ lui che va via! Ce l’ha fatta.” Iniziò
a gridare il vecchio pescatore e poi con
voce strozzata per l’emozione: “Almeno lui ce l’ha fatta.”
Ben vide che al
vecchio saliva un groppo in gola mentre, riparandosi gli occhi con una mano,
con l’altra accennava ad un saluto.
Rizzò le orecchie ed abbaiò nel vento: gli pareva di
aver visto dentro quella grossa scatola di latta nel cielo, due grandi e felici
occhi scuri.
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