Oggi ho compiuto
ottant’anni e questa mattina mi sono alzato prima del solito.
Al paese quando uno
compie ottant’anni se ne ricordano tutti e ti fermano per strada ogni volta che
ti incontrano. Ma adesso non sto più al paese; non ci sto dal novembre dell’anno
scorso, da quando mia figlia mi ha convinto, o forse è meglio dire “obbligato”,
a venire a Torino. Certo è stata gentile, così come mio genero, e mi hanno
trovato un alloggetto proprio di fronte al loro; io ho ancora la mia indipendenza
e mia figlia è tranquilla che se ho bisogno di qualcosa posso avere l’aiuto che serve.
Qui mi chiamano signor
Rodolfo, mentre in paese per tutti sono sempre stato Dulfu senza nessun signore
davanti e mi manca di sentirmi chiamare
con il nome in dialetto. Un po’ per questo, un po’ perché è il mio compleanno,
ma soprattutto perché oggi, come ogni ultima domenica di settembre, al paese
c’è la festa delle associazioni di volontariato, ne avevo parlato per tempo con
mia figlia; avevo chiesto se potevamo fare tutti una gita al paese a vedere la
festa, andare a pranzo sotto il tendone e fare un giro nella vecchia casa prima
che arrivi l’inverno. Mia figlia era dispiaciuta perché nello stesso giorno il
mio nipote più piccolo aveva un torneo di scherma fuori provincia e non poteva
proprio mancare. Che poi devo capire qual è il senso di portarlo a fare scherma;
non dico di mandarlo a imparare il tamburello o la pallapugno che erano i
giochi di quando ero piccolo io, ma almeno il calcio o la pallacanestro. Per
non parlare del nipote più grande che lo mandano a fare judo che io non so
nemmeno cosa sia. Ai tempi di oggi però sono questi gli sport moderni e so che
devo adeguarmi; io mi adeguo, ma la festa delle associazioni non la perdo per
niente al mondo. Una settimana fa, con la scusa di farmi insegnare dal nipote
grande come funziona questo internet che usano tutti, mi sono fatto guardare
gli orari dei treni verso Asti e per il paese; il giorno dopo sono andato a
prendere un biglietto di andata e ritorno per la domenica dopo. Così questa
mattina mia figlia, mio genero e i miei due nipoti sono partiti presto per la
gara di scherma e si sono anche raccomandati che tenessi acceso tutto il giorno
quell’ aggeggio di un telefonino che mi obbligano a portare quando loro sono
via di casa; stavolta l’ho acceso sul serio mentre dal finestrino guardavo
allontanarsi la stazione di Porta Nuova e se mi figlia mi telefonava avrei detto
che ero appena uscito a prendere il giornale. Il treno è arrivato in perfetto orario
ad Asti e ho preso subito la coincidenza con l’accelerato che partiva per il
paese; quel quarto d’ora di viaggio l’ho fatto tutto al finestrino che se lo
sanno mia figlia e il mio medico mi uccidono. Ma io non potevo rinunciare a
sentire il profumo della mia terra. Che poi in questa stagione non c’è più l’odore
forte del fieno, della meliga o del grano; adesso ci sono i trattori nelle
vigne, con i vendemmiatori tra i filari e le bottiglie di vino all’ ombra sotto
un albero. Così il profumo della mia terra diventa odore di mosto e aroma di
frutta, come a trovarsi in un’ enorme cantina a cielo aperto. E mentre annuso
l’aria che entra dal finestrino, mi torna alla mente il treno che tornava dalla
Russia, insieme a quei pochi fortunati che come me ce l’ avevano fatta a
tornare. Mi ricordo ancora la promessa che avevo fatto a me stesso; la chiamata
alle armi sarebbe stata l’ultimo gesto obbligatorio per la mia terra. Da lì in
avanti avrei fatto la mia parte solo per scelta volontaria. E ho sempre mantenuto
la promessa. L’ho mantenuta quando pochi mesi dopo ho scelto di andare con i
partigiani delle Langhe; o ancora quando dopo la liberazione insieme agli amici
di una vita ho messo il vigore della giovinezza a servizio della mia gente. Negli
anni abbiamo rimesso a posto la scuola elementare e la chiesa con il campanile;
abbiamo fatto la cantina sociale e il consorzio agrario per i contadini,
l’acquedotto per portare l’acqua nelle nostre case e il foro boario per il
mercato delle vacche. Con la Pro Loco abbiamo organizzato la festa patronale
senza mai mancare nemmeno un anno, che venivano anche da fuori provincia nel
nostro ballo a palchetto. E poi ho scelto di fare il consigliere comunale perché
i tempi stavano cambiando e avevo capito che bisognava saper districarsi nella burocrazia
se si voleva fare qualcosa; adesso il paese ha la Casa di Riposo per gli anziani,
il campo di calcio per i ragazzi, la bocciofila per i grandi e addirittura la
sezione della Croce Rossa con il pronto intervento dove per più di trent’anni
ho fatto il volontario a guidare le ambulanze.
Il megafono della
stazione spezza il filo dei miei ricordi; scendo dal treno sull’unico binario e
non mi stupisco che alle nove della domenica mattina non ci siano altri
passeggeri oltre a me. Il programma ce l’ho ben scritto in mente. Esco dalla stazione
e salgo la strada verso il paese alto; la prima tappa sarà nella casa dove sono
nato, cresciuto e vissuto per una vita. Aprirò il portoncino in legno e
accenderò la luce per superare subito il primo impatto; sarà come entrare nell’
acqua fredda di fiume con un tuffo, senza prima bagnarsi nemmeno le braccia per
abituarsi un po’. Poi uscirò ad aprire le persiane per far entrare la luce del
sole; farò un giro fuori a vedere quello che resta dell’orto, il recinto dove
hanno vissuto tutti i cani che ho avuto negli anni e il portico dove tenevo la
fresa e il trattore. Ritornerò in casa e andrò al piano di sopra; aprirò le finestre
e respirerò forte per sentire da dentro casa il profumo della mia terra. Quando
sarò entrato in tutte le stanze mi sposterò al vicino cimitero; voglio farlo per
incontrare quella testona di mia moglie che, come in vita, anche in morte ha
sempre fatto ogni cosa prima che la facessi io. Così passeggerò un po’ tra
loculi e cappelle per salutare tutti gli amici che qui hanno già trovato
ricovero; mi servirà anche per prendere confidenza con quella che sarà la casa
del mio futuro. Dopo ricomincerò a salire la strada per arrivare nella piazza
del paese alto dove ci sarà la messa al campo con tutte le associazioni del
paese, ognuna con il suo stendardo e i volontari in divisa; ascolterò il
discorso del sindaco, la banda suonerà
qualche pezzo allegro e la Pro Loco offrirà l’ aperitivo a tutti i presenti. Ci
sarà giusto il tempo di mangiare due salatini, prima di andare sotto il tendone
per il pranzo dell’amicizia, con la carne cruda, gli agnolotti al plin e l’ arrosto della vena.
Prima di arrivare al
pranzo sotto al tendone devo ancora finire la salita verso casa e fa proprio un
gran caldo per essere a fine settembre. Ma io non patisco né il sudore né la fatica;
sento soltanto il profumo della mia terra e ripercorro con la mente tutto
quello che abbiamo fatto anche per gente fuori dal nostro paesino. Con la sezione
degli alpini siamo andati all’alluvione di Firenze, al terremoto del Friuli e a
quello dell’ Irpinia; quando poi tornavamo al paese organizzavamo raccolte di
offerte e riuscivamo sempre a spedire delle cifre non da poco. Però mentre mi
godo il ricordo nostalgico dei miei anni migliori, devo essere sincero con me
stesso, perche se non lo sono adesso che ho ottant’ anni non so quando potrei esserlo. Ero
convinto che la mia attività, la mia presenza e addirittura la mia persona
fossero indispensabili per tutto quello che è stato fatto; invece mi ritrovo a
ottant’ anni senza poter più dare un contributo e con la coscienza che tutto va
avanti anche senza di me e magari va anche meglio. Ricordo bene quando a trent’anni
pensavo che con la mia giovinezza potevo occupare un mio spazio senza che
nessuno potesse mai togliermelo; e quando a cinquanta mi fossi convinto che la
maturità dell’ età adulta mi desse una forza illimitata. Adesso che sono
arrivato agli ottanta, nessuno si accorge che non ho più né il mio spazio né la
mia forza e per ricordare quello che ero devo cercare con fatica il profumo
della mia terra; come un cane da tartufi malato che ha perso quel fiuto che lo
aveva fatto diventare così importante per tutti quelli che gli erano vicini.
Sono davvero un vecchio
rimbambito se con i miei ragionamenti stupidi sono riuscito a rovinarmi l’umore
in un giorno come questo; per fortuna sono arrivato nel mio cortile e la sola
vista della vecchia casa scaccia qualunque pensiero. Prima di entrare mi devo
fermare un momento; un po’ per riprendere fiato, ma soprattutto per ricacciarmi
dentro un groppo che mi si è bloccato in mezzo al collo. Faccio fatica a
infilare la chiave nel portoncino; c’è un po’ di ruggine nella serratura e non
ho gli occhiali sul naso, ma la verità è che la mano mi trema come una foglia.
Finalmente riesco a entrare e accendere la luce con l’ interruttore che sta
sulla destra subito dopo la porta della cucina.
“Tanti auguri, nonno!”
Se non mi è venuto l’
infarto adesso, vuol dire che non mi verrà mai più. Sulla parete opposta di
fianco al caminetto ci sono mia figlia, mio genero e i miei nipoti che mi sono corsi
incontro come solo i ragazzini sanno fare.
-Io non avevo mica tanta
voglia di andare a fare la gara di scherma!- urla il nipote più piccolo.
-Quando abbiamo guardato
su internet gli orari dei treni io gliel’ ho subito detto alla mamma.- mi prende
in giro il nipote più grande.
-Spero che mia moglie non
diventi testarda come suo padre, altrimenti sarà dura tenerla a bada quando
sarà avanti negli anni!- mi dice mio genero.
-Guarda che non sei mai
riuscito a fregarmi quando eri giovane e non pensare di poterlo fare adesso.- borbotta
mia figlia mentre mi abbraccia.
Mentre mi sforzo di tenere
dentro agli occhi quelle due lacrime che sono lì lì per uscire, mi rendo conto che
non mi interessa più andare a vedere l’orto, il porticato e il recinto del cane;
e nemmeno salire di sopra a guardare quelle stanze che ormai mi sono già
lasciato dietro alle spalle. Già che ci sono non faccio nemmeno più il giro al
cimitero e con la mia famiglia al completo andiamo direttamente alla festa
delle associazioni; ci prendiamo la messa, ci gustiamo l’aperitivo e poi
andiamo al pranzo sotto il tendone. Staremo insieme a tutti quelli che negli
anni passati si sono impegnati con me e a chi si sta impegnando adesso con la
stessa passione che avevo io; e non mi rattristerà più pensare che un tempo
sono stato come loro, mentre adesso sono solo un attempato signore che ha
dovuto scappare dal proprio paesino per garantirsi una vecchiaia assistita. Perché
oggi ho capito che non sta scritto da nessuna parte che devi crescere dove sei
nato e morire dove sei cresciuto; la vita può farti restare ottant’ anni nello
stesso posto o spostarti ottanta volte in tutta la tua esistenza. Questo però non
cambia niente perché il profumo della terra, se mai esiste, non è nell’aria che
ti circonda, ma è dentro le narici del tuo naso; lo puoi sentire parlando con
le persone care che ti stanno intorno, guardando indietro a quello che hai
fatto per gli altri e pensando a quello che gli altri continueranno a fare senza
di te.
Oggi ho compiuto ottant’
anni e questa mattina mi sono alzato prima del solito; credo che quando rientreremo
a casa andrò a dormire presto. Prima di coricarmi aprirò la finestra e prenderò
un lungo respiro; non vedrò le mie colline di campagna, ma un trafficato corso
di città. Però so che nel naso c’è il profumo della mia terra e niente potrà
farlo sparire; anche se adesso ho ottant’ anni e la Pro Loco, la Croce Rossa e
la bocciofila vanno avanti senza di me che sto a cinquanta chilometri di
distanza. Ma ora lo so bene qual è il profumo della terra; è sapere che c’e qualcuno
che porta avanti l’ opera di chi lo ha preceduto. Magari con mezzi, modi e
soluzioni diverse, ma con la stesso cuore e passione che hai avuto tu e quelli
che c’erano prima di te; è come passarsi un’eredità che attraversa le
generazioni senza mai consumarsi, diventando più intensa e vivace ad ogni
passaggio.
E’ questo il profumo che
ho dentro al naso. E’ questo il profumo delle mie radici.
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