Una
pioggia così non si vedeva da mesi. Pioveva come se il cielo stesse piangendo,
pioveva come se il mondo dovesse
venire giù. Forse Dio stava
facendo sentire alla Spagna che si stavano sbagliando, che
tutto quel sangue versato rappresentava una mostruosità
irreparabile. O forse tutta quella pioggia non significava niente. Forse anche Dio era antisemita.
Francisco
era nato in Spagna, sulla
carta era catalano ma nel cuore degli spagnoli era
solo uno sporco ebreo. Aveva venti sette anni, la carnagione scura e si era
laureato in legge. Gli piaceva scrivere e
inventare storie per i fratelli più piccoli, c'erano
streghe, draghi e mostri feroci, cavalieri senza macchia e senza paura, fanciulle rinchiuse dentro inespugnabili torri; i fratelli lo guardavano con occhi ingenui e trasognati, la più piccola si tappava le orecchie ma poi finiva sempre con l'ascoltare quelle storie spaventose che si concludevano col lieto fine. Juan, di nove anni, il più coraggioso
tra i fratelli, si era costruito una spada di legno, la brandiva fiero mentre Francisco arrivava al punto in cui il cavaliere uccideva il drago e liberava la bella Dulcinea.
"Non
faceva paura nemmeno un
po'." Al termine di ogni racconto erano queste le
parole del piccolo Juan.
Facevano paura i soldati, le armi, le grida disperate.
Il fumo nero nel cielo
spento. Francisco li rincorreva
per casa, "Sono
il drago sputa fiamme e vi mangio!", diceva ai fratellini,
poi li afferrava e faceva loro il solletico. Tutti ridevano. Francisco ci pensa mentre adesso cammina da solo sotto
la pioggia.
Vivevano
in una bella casa,
avevano un giardino sempre curato, la madre di Francisco ci teneva
molto. Una varietà di fiori colorati lo
impreziosiva nei mesi primaverili. Non ci
saranno più fiori. Avevano una ricca collezione di libri, testi religiosi, romanzi, opere teatrali. A
Francisco piaceva Calderòn de la Barca.
"La vita è un sogno", ripeteva alla madre mentre questa
preparava la cena. La vita è un
incubo, un abbandono doloroso, uno strazio crudele e immotivato. Avevano
e ora non hanno niente. Sono tutti morti.
Era
vietata ogni forma
d'informazione che non fosse allineata al regime, abolite libertà di stampa e di associazione,
si respirava un clima di sospetto e terrore come non
era mai accaduto prima. Francisco aveva ventisette anni e desiderava sposare Estrella, che di anni ne aveva ventitré. Francisco portava lo stesso nome
dell'uomo che avvelenò e distrusse ogni suo sogno.
Estrella era la principessa delle sue favole, aveva lunghi capelli ondulati, ebano e miele, li scioglieva e li ornava solo per lui con corone di fiori. Brillavano al sole di Spagna di vita e speranza. Le sono stati tagliati.
La pioggia scende inclemente
sulle strade
di Barcellona, non un'anima, non un conforto, solo il ricordo di quello che non può tornare.
Perché Franco nutrisse tanta
ostilità nei confronti
degli ebrei, nessuno lo sapeva. Perché quella rivoluzione cattiva? La
miccia era scoppiata in Germania e come un virus l'antisemitismo era tornato una realtà incredibilmente attuale. Popolo mal visto da sempre, additato
come usuraio e usurpatore, eternamente alla ricerca di una terra propria. Usuari con figli piccoli, usuari che avevano madri, mogli, dignità. Ogni cosa fu metodicamente
strappata dai
loro
occhi, dai
loro cuori e dalle loro braccia. Shoa. Morte, pensava semplicemente il ragazzo che vagava sperduto sotto la pioggia incessante.
Avevano deciso chi era buono e chi era cattivo, chi era
diverso e
chi normale.
Le persecuzioni
contro un capro espiatorio che conformasse l'immagine
della Spagna
agli altri due regimi totalitari d'Europa erano ricominciate. E non erano ancora finite.
Francisco scorse un uomo sdraiato per terra, indossava uno stravagante cappello e una giacca zuppa di pioggia. Dimostrava cinquant'anni ma poteva averne molti di più. La strada invecchia e logora ma è
la solitudine a uccidere dentro. Francisco gli andò vicino. Da mesi non parlava con nessuno e viveva nell'ombra, scacciato come un randagio,
sbiadiva lentamente. L'uomo non fece caso
alla sua presenza, non sollevò il capo, sembrava anzi che lo stesse aspettando e che stesse aspettando da un'eternità. Francisco cercò di attirare la sua attenzione, gli chiese
se stesse
bene o
avesse bisogno di qualcosa. L'uomo finalmente sollevò il capo. Due occhi neri come pece lo trapassarono come un pugnale, erano occhi che avevano patito la fama, l'odio e la guerra. Francisco pensò che, in fondo, erano uguali ai suoi
occhi.
Zaka era effettivamente più giovane di quanto Francisco
avesse immaginato,
aveva quarantadue anni. Viveva per strada da un po',
i suoi cari li aveva persi in una notte di luna piena. Non sapeva se fossero morti. Li
avevano semplicemente portati via, insultati, picchiati, trattati come bestie. Zaka era rimasto nascosto, aveva visto la moglie che veniva trascinata per i capelli, urlante, mentre i soldati davano fuoco alle loro umili abitazioni. Facevano pulizia, eliminavano il marcio, la feccia. Eseguivano gli ordini come automi animati da oscuri
intenti di morte. Le donne più anziane lo avevano predetto, terribili atrocità si sarebbero abbattute su di loro, l'uomo avrebbe
sparato all'uomo, ancora una volta, i bambini sarebbero rimasti orfani e le donne vedove. Le donne più anziane non si erano sbagliate.
Zaka provava un cocente
senso di colpa. Non perchè non avesse salvato la sua gente, loro erano troppi e
lui era da solo. Che cosa avrebbe potuto fare? Zaka si sentiva in colpa per non essere stato
preso, si vergognava di essere vivo. Non aspettava Francisco in quell' angolo di strada. Aspettava di essere catturato.
Francisco tremava, la Spagna
tremava. Non era sicuro restare fermi nello stesso luogo per molto tempo, occorreva eludere i controlli, strisciare. I
soldati non si
fecero attendere. Francisco sentì il rumore degli zoccoli dei cavalli, sapeva che lo avrebbero trovato se non fosse
fuggito immediatamente. Scosse lo zingaro, lo tirò con tutte le sue forze. Il corpo era pesante, rigido, forse malato. Zaka gli parlò col suo spagnolo contaminato
di chi è
scappato nella notte, ha girato il mondo e dal mondo è sempre stato
rifiutato. "Lasciami stare qui. Io devo rimanere qui".
Il rumore degli zoccoli era sempre più
vicino. Gli
occhi di Francisco si riempirono di lacrime. Quanto dolore era ancora
necessario sopportare? Sentì qualcuno urlare "Zingari!"
e cominciò a correre, lasciando Zaka al
suo destino.
I soldati si avvicinarono, lo circondarono rimanendo distanti, come
se avessero di fronte un lebbroso. Gli chiesero dove fosse andato l'altro sporco zingaro che era con lui. Zaka indicò la direzione
opposta a quella presa da Francisco. Un soldato gli sputò in pieno viso. Zaka
non temeva quello che stava per accadere. Per la prima volta in quella sporca
vita solitaria qualcuno non aveva avuto paura di
lui né lo aveva insultato. E poi doveva pagare in qualche modo
per i suoi peccati. Francisco non
riusciva a credere a quel che aveva fatto. Aveva abbandonato un uomo indifeso ed era fuggito come un
codardo. Si stava
trasformando in un mostro privo di umanità, nel mostro che loro volevano che fosse. Non
l'avrebbe permesso. Decise di tornare indietro sperando di poter aiutare Zaka a fuggire. Trovò solo un
cappello variopinto ali' angolo della strada. Era sporco di sangue.
Il cuore di Francisco si
fermò. Fissava con gli occhi sgranati la strada deserta. L'avevano preso e sicuramente gli avevano
fatto del male. E lui non aveva fatto nulla per
impedirlo! Un senso di colpa e impotenza che
conosceva bene e aveva provato solo qualche mese prima si impadronì di lui, ma prima che le lacrime potessero scendergli dagli occhi, la canna di un fucile gli fu puntata alle spalle.
Estrella correva
sorridendo. Una
corona di fiori bianchissimi le ornava gli splendidi capelli corvini.
"Prendimi!" lo esortava felice. Il temporale era cessato.
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