Gongolava il sindaco quella sera, baciando
la mano alle signore del bel mondo che, ostentando gioielli costosi, si
compiacevano con lui (o fingevano di
compiacersi) per essere riuscito in un'impresa quasi leggendaria.
Gli si avvicinò sommessamente il
presidente di un'associazione musicale e
si raccomandò al suo savoir faire per ottenere una breve esibizione del grande maestro, nella sua città.
Anche un pezzo solamente ... Avrebbe pagato qualunque cifra...
- Vedremo, vedremo ... Rispose compiaciuto il sindaco, lisciandosi la barbetta nera che gli
contornava il mento alla maniera di Cavour.
- Forse ... somiglio davvero
a Cavour- pensava l'ometto - Sono
così bravo!
Ma sì ... riesco a
fare splendide cose...
Quel concerto infatti, atteso
da mesi, era una prova della
sua abilità.
Se n'era parlato nei circoli culturali, nei salotti, nei
caffè, persino nelle scuole.
Era un fatto eccezionale che un pianista di quel calibro si fosse degnato di suonare in una cittadina di
provincia di trentamila anime. Lui, il numero
uno del pianismo mondiale. Abituato ad esibirsi nei migliori teatri, osannato da tutti.
Per accaparrarsi quel concerto, l'Amministrazione comunale aveva
pagato fior di milioni, ma la manifestazione avrebbe dato lustro alla città. Sarebbero venuti a centinaia, dai paesi vicini.
Il sindaco avrebbe ricevuto l'abbraccio ideale di tutti gli uomini
di cultura del circondario
e la sua figura ne sarebbe stata illuminata
per lungo tempo.
Nella sala c'era un gran fermento.
A un tratto si
smorzarono le luci e il mormorio si spense, trasformandosi immediatamente in un silenzio d'attesa.
E venne il gran
momento.
Da una quinta laterale, in perfetto frack, apparve
lui, il Maestro, il Genio, il Dio.
Scoppiò in teatro un applauso con la forza di un boato che scaturisce dal ventre di un vulcano, quando
il vulcano è cattivo.
Egli s'inchinò leggermente, guardando senza vedere.
Poi,
si diresse al piano e si sedette.
Le mani scivolate lungo i fianchi,
la testa rovesciata all'indietro, gli occhi chiusi.
Un silenzio di ghiaccio.
Un bimbo chiese
alla madre: Che fa il maestro? Si sente male?
- Zitto! - fece la madre, fulminandolo con gli occhi, mentre
almeno dieci persone dalle poltrone vicine si volgevano verso di
lui, scandalizzate.
Ancora alcuni secondi. Poi, il Maestro pose lentamente le
mani sul piano e
restò immobile per qualche secondo.
Silenzio.
Finalmente, mentre tutti trattenevano il respiro, desiderando godere appieno della magia del momento, le
mani si mossero e sotto le abili dita lo strumento
si animò di suoni, di immagini, di colori.
In un susseguirsi di fantasiose emozioni, danzarono pulcini becchettando il piccolo guscio per vedere la luce; pesantemente avanzò il carro di lavoro dei contadini russi che trascinavano giorno dopo giorno
la fatica del vivere; risero bambini rincorrendosi allegramente nei giardini delle Tuileries; morirono uomini per la ferocia della maga Baba-Yaga, gridando disperati la loro sete di giustizia, fino a quando non invase il teatro la grande luce della porta di Kiev.
La gente sembrava affascinata. Ascoltava
Mussorgsky come in trance. Incapace di muovere un
dito, di raccattare un fazzoletto caduto in terra.
Finì il primo tempo, nella
frenesia di un lungo applauso.
Il Maestro si alzò in un bagno di sudore e, dopo un leggero inchino, sparì dietro le quinte.
Durante l' intervallo, la gente si sciolse dalla tensione, si abbandonò
ai commenti.
Chi se ne intendeva
diceva che il Maestro era stato divino e la sua esecuzione perfetta. Chi non capiva
molto di musica, per paura di dare giudizi sbagliati, si manteneva sulle
generali.
Qualcuno andò
al bar a rinfrescarsi,
prima della seconda fatica.
Qualche altro, invece, non sapendo nulla di Mussorgsky e dei suoi Quadri sgattaiolò dalla sala come
un ladro, per godersi la prosecuzione
della serata sotto le stelle senza troppe complicazioni intellettuali, con la segreta speranza che nessuno avrebbe
notato la sua assenza.
Iniziò il secondo tempo con una famosissima polacca di Chopin.
Il Maestro in forma più che mai, Chopin accattivante come sempre avevano ricreato l'atmosfera
precedente.
A un tratto, nella sala un flebile cri-cri-cri.
Il Maestro ebbe un inconsulto moto di stizza e fece un stecca con la sinistra, avvertita come una frustata da quelle dieci o dodici
persone che conoscevano bene il pezzo.
La gente cominciò a fremere, a dimenarsi sulla poltrona, a guardare nella direzione da cui proveniva quel verso.
- Maledetta bestiaccia!
- pensava il sindaco, col viso rosso di rabbia e un sorriso da ebete. Maledetta bestiaccia!
Proprio qui dovevi venire a cantare! Dopo
tutti i sacrifici che ho dovuto affrontare. Vattene, grillo della malora! C'è la finestra
aperta.
Vattene! Sparisci! Crepa!
Cri-cri-cri-cri-cri ...
Ormai l'incanto era rotto.
Il Maestro nervoso, la gente distratta dal quel maledetto cri-cri.
Una ragazza tirò fuori dalla borsa uno specchietto e, fingendo
di rifarsi il trucco, cercò di vedere
dietro di lei il suo ex che flirtava con una
biondina sciocca. Vide che la baciava sull'orecchio e, stizzita, cercò di riporre lo specchio, che invece scivolò a terra, frantumandosi
con un secco rumore.
Cri-cri-cri-cri-cri ...
Il Maestro si
alzò inviperito. Sul suo
viso paonazzo, prima che sparisse dietro le quinte, il sindaco poté cogliere un'espressione di profondo disprezzo per lui e per
tutta la sua gente. "Sempre gente di provincia siete! -sembrava dire il Genio - Non avrei mai dovuto accettare!".
Il sindaco gli corse dietro come un cagnolino
in colpa che cerca
di farsi perdonare dal padrone, dando ordine frattanto ai soci collaboratori
di uccidere il grillo ad ogni costo.
-Ve lo riporterò il Maestro - disse, mentre correva verso il palcoscenico.
State calmi.
Ve lo riporterò, dovesse costarmi
la vita!
E cominciò la caccia spietata.
Alcune signore che sentirono il grillo vicino, fuggirono
urlando, per paura che l'immondo insetto saltasse loro addosso.
Il grillo si spostava continuamente, atterrito dal frastuono.
- Perché volete uccidere
il grillo? - chiese una
bimba con il visetto
atteggiato al pianto.
- Perché ha rovinato il concerto! - tuonò un signore
in smoking, che si era allentato il papillon per il gran sudare.
- Ma lui ... lui non lo sapeva che avrebbe rovinato il concerto - obiettò la piccina, tentando una timida difesa.
- Deve morire! - decretarono inveleniti i giudici della bestiola.
Ma forse il grillo
si trovava lì per caso.
Forse era fuggito dalla campagna
assolata per paura del fuoco
che qualcuno aveva appiccato alle stoppie.
Era volato via, inseguendo la vita. O forse la musica lo aveva attirato. La musica, espressione di Dio. Forse in quella grande sala , vestita
solo di note, aveva trovato finalmente un po' di pace e si era perduto in un canto di lode al Signore, per quella luce, per
quella pace.
- Eccolo! Eccolo, in quell'angolo!
- Schiacciatelo! Presto, uccidetelo!
Cri-cri-cri-cri-cri ...
Un colpo secco. E l'animale
ridotto a una poltiglia nera.
- Finalmente!
- Il concerto può ricominciare.
- Tutto a posto
- Il grillo è stato ucciso.
Una signora,
accomodandosi meglio sulla poltrona, ripescò nell'ampia scollatura la collana d'oro che, nell'agitazione, le
era scivolata
dentro e la dispose con cura sull'ampio seno,
preparandosi all'ascolto.
Ma un attimo dopo ricomparve il sindaco, invecchiato di dieci anni,
disfatto.
Scusate, signori ... Scusate - balbettò con un fil di voce.
Il Maestro è
andato via. Il concerto è sospeso ... Scusate ... Scusate.
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