venerdì 28 giugno 2019

Stefano Ficagna - Una leggerezza

L'unica cosa certa, in tutta questa storia, è che mentre lui inizia a disegnare lei non tira neanche un fiato.
Il suo ruolo negli avvenimenti fu accettato con leggerezza, la stessa che ostentavano i sei fazzoletti di lino bianco che stringeva in mano. Una tassa d'entrata inusuale, un vezzo di eleganza di dubbia utilità in luoghi dove ogni movimento costa sudore. Il sole in quel villaggio sembra camminare al tuo fianco, ma il suo abbraccio non è per niente benevolo. Soffoca.
Dei fazzoletti ricamati, a pochi passi dalla giungla, rappresentano una bellezza effimera. Un esotismo al contrario, laddove esotico è qualunque simbolo di lande che forse non vedremo mai.
La regione intera era un miraggio prima che potesse vederla coi suoi occhi. Ciò che gli veniva raccontato di quei luoghi era tanto inverosimile da provocare una reazione consolidata sul suo volto: il sopracciglio sinistro arricciato verso il basso; quello destro, una linea retta verso l'alto, come un accento; la fronte increspata di rughe.
E gli occhi, tanto fissi quanto distanti, persi in chissà quale ragionamento. Partecipare alla spedizione era stata una sfida, ai propri limiti fisici certo ma non di meno a quelli della propria mente.
Voleva vedere, toccare con mano. Come un novello San Tommaso necessitava dei sensi per credere a un mondo diverso da quello in cui era cresciuto. Innumerevoli viaggi non lo avevano abituato alla varietà del creato, perché gli agi della propria ricchezza gli facevano da schermo.
La curiosità di entrare finalmente in contatto con qualcosa di autentico lo spinse ad agire. L'espressione corrucciata, quella distanza fra la linea dello sguardo e l'effettivo orizzonte che i suoi occhi vedevano, furono stigmate che non lo abbandonarono nemmeno in quella terra dove l'impossibile appariva reale.
E a chi gli promise di mostrargli qualcosa di cui non sospettava l'esistenza, un atto al quale nemmeno calpestare quella terra e respirare l'aria pesante e umida lo avevano preparato, egli riservò leggerezza e incredulità in egual misura.

Camminarono a lungo, un piccolo drappello scelto. Eterogeneo e insolito, dagli abiti al colore della pelle finanche all'età. Lui si lasciava guidare, ogni tanto gettava un'occhiata distratta al tributo che andava recando, ma i suoi occhi si fissavano oltre. Incapaci di fissarsi sul presente, cercavano segni di qualcosa di là da venire.
Risposte, a domande nemmeno troppo chiare nella sua testa.
Arrivarono al villaggio successivo accolti da una deferenza eccessiva, solitamente riservata solo a ospiti importanti o temuti. A quale categoria appartenesse il drappello lo testimoniavano piccoli dettagli. Occhi rivolti verso il basso, sorrisi incerti, piccoli tremori delle mani.
Abituati alla crudeltà, gli abitanti del villaggio associano l'uomo bianco alla paura. Il suo arrivo getta sempre un'ombra sugli eventi, e al tramonto la si può vedere che si allunga dai loro piedi, assumendo le più svariate forme. Una nave che solca il mare, un ammasso di catene.
E una montagna di mani tagliate, che hanno smesso per sempre di tremare.
La paura era il minimo comune denominatore che legava i due gruppi, e sfuggivano alle sue grinfie solo i più forti e gli innocenti. O chi, come l'uomo che si avvicinò al capo villaggio, era presente col corpo ma non con lo spirito.
Guardarono la sua ombra, ma il sole era allo zenit ed essa ristagnava neutra sotto di lui. Ci si poteva aspettare qualunque cosa, ma egli recava con sé un dono e per il capo villaggio quello era un buon presagio.
Il dono avanzò. Sembrava leggera quanto il lino di cui erano composti i fazzoletti con cui era stata scambiata, o forse era l'innocenza dei suoi dieci anni a renderla tale. Non tremò di fronte agli uomini a cui veniva ceduta, nemmeno al cospetto di colui che l'aveva comprata.
Ma alla voce di quest'ultimo, alla sua richiesta espressa in una lingua che masticava a malapena, un sospiro le sfuggì dalle labbra.

La sacralità di ciò che sta per accadere è rotta solo da pochi rumori, coltelli che vengono affilati, una matita che corre veloce sul foglio. Per la tribù tutto questo non è una novità, ma sentono che oggi qualcosa di diverso permea l'aria.
Forse lo sente anche la ragazza, legata a un albero e come arresa al suo destino. Gli occhi fissano qualcosa di indefinito, ma quando un uomo le si avvicina con la lama al fianco non riesce a impedirsi di guardare.
Due rapidi tagli al ventre, due strisce rosse che si allargano. Il sangue le cola lungo il corpo, ma il dolore non trova sfogo sulle sue labbra serrate.
Intanto l'uomo bianco osserva, mantenendo quell'espressione incredula sempre fissa sul volto. Distoglie lo sguardo solo per girare un foglio, ricominciare a disegnare, tratteggiare ogni dettaglio di quello strazio.
Gli uomini della tribù continuano ad affilare i coltelli. La cerimonia è solo all'inizio, ma la ragazza non ne vedrà la fine. Ogni minuto che passa gli occhi sono meno lucidi, le gambe meno salde, eppure continua a non emettere un lamento.
Sembra formarsi un legame fra lei e l'uomo che l'ha condannata a quel supplizio. Forse c'è un motivo per tanta crudeltà, e il suo martirio è anche estasi. Cosa vede? È ancora il nostro mondo che osserva?
E lui, quanto è consapevole del suo ruolo negli eventi? La sua leggerezza nel cercare prove di una pratica che non credeva vera gli fa orrore, oppure è insensibile di fronte al male? Quella goccia che scorre veloce dalla sua tempia al mento, spazzata via con un veloce gesto della mano, potrebbe essere sofferenza fisica quanto dell'animo, ma sul volto non appaiono moti di pentimento.
Quando la ragazza muore, lui continua a disegnare. Anche quando iniziano a farla a pezzi la sua matita corre veloce sul foglio, tratteggia una lama calata sul braccio, le viscere calde estratte dal ventre, l'acqua che monda le lame una volta finito il massacro.
Forse è stato davvero un momento sacro. Gli uomini della tribù renderanno onore alla vittima divorandone le carni, e l'uomo bianco potrà convincersi che il suo ruolo nella vicenda era scritto nel libro del destino. Che non esistono martiri senza un carnefice, e per ogni santo ci sono un uomo o una donna che ne hanno permesso l'ascensione, non meno degni di beatitudine.
O forse un demone si è rivelato al mondo, e non si è nemmeno riconosciuto.

(Ispirato alla vera storia del Jameson Affair, vicenda accaduta nel 1886 durante la sanguinosa occupazione del Congo da parte di Re Leopoldo II del Belgio)

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