Laggiù in fondo una volta era tutta campagna, ed ora c’è un condominio con le puttane cinesi.
A grandi linee il succo è questo, però mi piacerebbe spiegarvi meglio il contesto.
A metà degli anni ottanta i miei genitori lavoravano entrambi tutto il giorno, e ad andare all’asilo piangevo. Così passavo tanto tempo dai miei nonni. Nelle mie perlustrazioni pomeridiane mi spingevo fino ad un piccolo campo da calcio situato poco dopo la loro casa. Non si poteva andare oltre, perché a parte un paio di villette non c’era niente.
Negli anni novanta il campetto sparì. Al suo posto sorse un condominio in cui i miei nonni andarono ad abitare. E da lì a pochi anni ci fu un’ulteriore novità: continuando a camminare si poteva andare ancora più avanti! Infatti nel frattempo era stato emanato il nuovo il piano regolatore, che dava il permesso di costruire in quella zona, poiché al Comune erano pervenuti degli studi abbastanza credibili secondo i quali c’era la possibilità che a breve la popolazione cittadina aumentasse del quaranta percento, cosa che effettivamente accadde.
A dire il vero, i rapporti di causa ed effetto di quanto ho appena enunciato potrebbero essere invertiti. Fatto sta che i costruttori di case in quel periodo si arricchirono, e non poco.
L’odonomastica è il dare nomi alle vie, e in quel periodo c’era bisogno di nomi, e tanti. I morti celebri erano divisivi, perché ognuno tendeva a darne una lettura politica. Così furono i bambini delle elementari a scegliere i nomi delle nuove strade, ma io ero già grande all’epoca, quindi non ho potuto compiere questo esercizio di democrazia partecipativa.
In buona sostanza, ad una nuova strada fu dato il nome di una valuta monetaria che avrebbe dovuto unificarci tutti quanti come fosse una bandiera. La storia recente mostra che non è andata proprio così, ma non mi son mai piaciuti i riferimenti all’attualità: le storie devono avere valenza universale. Quindi la chiudo qui, ma ne approfitto per rilevare una certa ironia in una via col nome di moneta in cui è sorto un condominio con le puttane.
Una volta i condomini erano un mondo in miniatura, una comunità in cui tutti si conoscevano e si aiutavano tra di loro. Tanti esseri umani, così vicini l’uno all’altro. Come potevano non organizzarsi per ricavare il meglio da una simile modalità di vita? Eppure, nei palazzi nuovi non accade questo. Molti usano l’appartamento solo per dormirci la notte, altri invece nel cuore della notte si svegliano per andare a lavorare. I più giovani nemmeno si accorgono di tutto ciò, in quanto immersi nel sentimento del proprio tempo, che non prevede più l’uscita da casa. Ormai non capita sovente di incontrare il proprio vicino di casa e di salutarlo lungo le scale.
Tagliando corto: c’era un appartamento pieno di donne cinesi dedite alla vendita di servizi nell’ambito del benessere, ma nessuno lo sapeva. Evidentemente si erano insediate contestualmente alla costruzione del palazzo e non erano mai uscite di lì, ed esercitavano la propria professione con estrema discrezione, oppure avevano dei vicini sordi. Solo i veterani del sesso a pagamento sapevano di questo appartamento pieno di prostitute, in quanto l’informazione era veicolata tramite canali non ufficiali. In breve tempo, quindi, si era formato un viavai di maschietti (prevalentemente pensionati) che suonavano il citofono, salivano le scale in silenzio, facevano quello che dovevano fare e se ne andavano com’erano venuti.
Ad un vecchietto, che chiameremo Gianni, era giunta la notizia delle puttane cinesi, ma l’informatore non gli aveva detto a quale campanello suonare. Giunto alla pulsantiera, Gianni non si era fatto ottenebrare dalla libido, ma aveva fatto un ragionamento logico: c’era un solo nome non italiano, e doveva essere per forza quello giusto. Infatti, dopo qualche secondo di attesa, il portone si aprì. Gianni entrò nel pianerottolo e con movimenti circospetti cercò di leggere i nomi sui campanelli posti di fianco alle porte d’accesso ai singoli appartamenti. Dovette accendere la luce ed inforcare gli occhiali, perché l’età non giocava a suo favore, ma più o meno stava proseguendo nella sua ricerca della giusta porta a cui bussare. Di base c’era un buon ragionamento: prendere l’ascensore, selezionare un piano, scrutare il pianerottolo alla ricerca del nome straniero. Ripetendo queste azioni un paio di volte, finalmente Gianni trovò quello che aveva identificato come appartamento delle puttane cinesi. Era particolarmente compiaciuto del fatto che tutto fosse andato liscio e questa sensazione, frammista all’eccitazione per un atto proibito, gli fece recuperare un vigore che sembrava perduto da tempo. Così, mentre suonava il campanello col nome straniero, sentì che non aveva molto tempo: doveva iniziare a sbottonarsi i calzoni.
L’esotico proprietario di casa lo chiameremo Mark, poiché è semplicemente il mio nome tradotto in albanese, così non scontenterò nessuno. Dunque: una trentina di secondi dopo aver udito il suono del campanello, Mark aprì la porta e sgranò gli occhi. Era convinto di trovare davanti a sé suo cugino, venuto per aiutarlo con un trasporto di mobili, invece davanti a lui c’era un attempato signore con un paio di capelli attaccati alla testa, un paio di occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia, e soprattutto un paio di calzoni sbottonati dai quali sembrava sporgere qualcosa.
“Buonasera, sono venuto per… Ehm… Le signorine”, esordì educatamente Gianni.
Mark aveva una bottiglia di birra in mano, e poiché nell’altra stanza c’erano la moglie e la figlia, tale contenitore non gli sembrava un’arma abbastanza potente per difendere ciò a cui teneva di più al mondo. Ma, per evitare spiacevoli complicazioni, per adesso bisognava rimanere calmi e limitarsi ad usare le parole.
“Che cazzo vuoi”, pronunciò quindi Mark a denti stretti. Senza punto interrogativo, perché era un’affermazione.
“Eh, le signorine! Mi hanno detto che si trovano qui. Posso entrare?”, chiese Gianni, che pensava che l’atteggiamento scontroso di Mark fosse parte del gioco. Secondo lui era tutto normale, erano scene che aveva già visto nei film. Non era particolarmente preoccupato: al massimo l’albanese gli avrebbe chiesto una parola d’ordine, o qualcosa del genere.
“Allora. Prima di tutto: il cazzo lo metti nei pantaloni”, gli intimò Mark.
Gianni obbedì. Era ancora convinto di stare recitando abilmente la propria parte.
I calzoni ora erano abbottonati ma la rigidità perdurava, quindi i due si trovavano in una condizione di stallo: Mark impugnava saldamente una bottiglia che era pronto a scagliare contro le pudenda del vecchio, e quest’ultimo, senza troppo rendersene conto, aveva ancora il pennacchio puntato verso Mark, benché trattenuto dal cavallo dei pantaloni. Era una situazione senza uscita, a meno che uno dei due facesse qualcosa. I film americani insegnano che in questi casi ha la meglio chi fa una mossa inaspettata. Fu così che Mark, sempre guardando Gianni fisso negli occhi e mantenendo protesa la bottiglia avanti a sé, iniziò a indietreggiare fino a chiudere la porta.
Gianni credette di aver ricevuto in questo modo la conferma di essere nel giusto: di lì a poco la porta si sarebbe aperta e l’albanese l’avrebbe lasciato entrare. Una volta varcato l’uscio, ci sarebbero state le tanto rinomate puttane cinesi ad aspettarlo, e con loro niente sarebbe potuto andare storto.
Infatti la porta si aprì. Ne uscì Mark, stavolta brandendo un’arma più appropriata: un coltello a serramanico. “Vai via, stronzo! Ti ammazzo!”, gli urlava, mentre il vecchio chiamava a sé tutte le energie salvaguardate nei suoi primi ottant’anni, e nel saltare giù dalle scale non sentiva nemmeno più l’artrite. Il cazzo, nel frattempo, gli si sgonfiava, perché il sangue in quel momento era maggiormente necessario altrove. Il sistema cardiocircolatorio doveva irrorare come si deve la muscolatura delle gambe, perché Gianni aveva assoluta necessità di percorrere in tempi rapidi quella quarantina di metri che lo separavano dalla sua automobile. E doveva sperare di trovare immediatamente le chiavi nelle tasche. E che la sua Nissan Micra venticinquenne partisse al primo colpo. E di non incorrere in uno sbalzo di pressione o in qualche altro scherzo della vecchiaia nel frattempo. Insomma, c’erano tante variabili da considerare, e Mark sopraggiungeva urlante, col suo coltello ben stretto in pugno. Se solo il povero Gianni non avesse dato retta alle recensioni entusiastiche da turisti sessuali dei suoi compagni di bocciofila!
La Nissan Micra infine partì. Non al primo colpo, ma partì. Ma Mark, in realtà, aveva dato a Gianni tutto il tempo necessario a raggiungere la macchina in tranquillità. Non voleva veramente accoltellare il vecchio. Era soltanto molto spaventato. Pianse, infatti, per la prima volta nella sua vita. E nel cortiletto del palazzo lo raggiunsero presto la moglie, la figlia, e pure il cugino, giunto nel frattempo. Mark strinse al petto la figlioletta, poi le prese la testolina tra le mani e guardando la bimba negli occhi si ricordò i motivi per cui ogni mattina si alzava dal letto e andava a lavorare. Sua figlia era la sua vita, ed era fiero di averla difesa da un vecchio depravato. Poi si rivolse al cugino e gli spiegò che quella sera non si sarebbero occupati di alcun trasporto di mobili, perché c’era da chiamare le forze dell’ordine e denunciare quanto successo.
Nel giro di cinque minuti arrivò una coppia di carabinieri, che parlavano in napoletano come i loro analoghi dei Simpson, però erano abbastanza svegli. Diedero una rapida lettura ai nomi sulla pulsantiera del citofono. Esclusero i nomi di alcune persone notoriamente perbene, e suonarono ad uno ad uno tutti gli altri campanelli, tranne quello di Mark, per ovvi motivi. Annotarono i nomi di chi aveva risposto. Entrarono nel palazzo ed ottennero facilmente accesso ad ognuno dei cinque appartamenti su cui ricadevano sospetti. Quattro non erano interessanti, in uno invece trovarono un’elegante signora italiana che sorseggiava amabilmente un tè in salotto insieme a due sorridenti donne orientali pesantemente truccate. L’appartamento presentava pareti di colori discutibili e complementi d’arredo stravaganti. Era chiaramente una casa di appuntamenti, ma i due carabinieri cosa potevano farci? La faccenda si esauriva chiedendo alle tre donne di mostrare la regolarità dei propri documenti. Da lì in poi c’era un problema di competenze. Se l’attività fosse lecita o meno, non stava all’Arma dei Carabinieri stabilirlo, ma eventualmente alla Guardia di Finanza. Determinare se l’appartamento fosse occupato legittimamente era invece una cosa da Polizia Locale. L’unico reato sul quale avrebbero potuto forse indagare era lo sfruttamento della prostituzione, ma non era elegante dare della maîtresse ad una distinta signora di mezza età, e in più le due cinesi non sembravano sfruttate. Quindi i carabinieri accettarono una tazza di tè e se ne andarono ripromettendosi di tornare ad investigare ulteriormente in tempi futuri, cosa che non avvenne in quanto la cittadina era in espansione e c’erano sempre più manigoldi da arrestare.
E questa, in sostanza, è la storia del condominio con le puttane cinesi. Però vorrei ricavarne una morale, anche se so che non va più di moda.
A teatro, è regola che tutti gli oggetti in scena vadano in qualche modo utilizzati durante lo spettacolo. E così, se dai ad una via il nome di una moneta, è lecito aspettarti che in quella stessa via sorga un condominio con le prostitute.
I nomi dei morti creano divisioni, è vero, perché si tende ad associarli alla politica. Però io avrei delle idee. Ci sono i letterati e gli scienziati. O, se vogliamo aderire alla cultura popolare, nel novecento ci son stati tanti cantanti celebri. Per me va bene chiunque, da John Lennon a Janis Joplin. Siamo in Italia, vanno bene anche Luigi Tenco o Mia Martini. Chissà mai che in una via intitolata ad un personaggio di questi un giorno si generi qualcosa di bello in un mondo così vicino al nulla.
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