mercoledì 3 luglio 2019

Marcello Ranieri - Due fratelli

Salì a Cadorna e venne a sedersi di fronte a me nell'unico posto libero, non mi aveva proprio visto. Viveva in via Tovaglie, sapevo, a un passo da casa nostra, ma non ci vedevamo da anni. Lo fissai, non mi aveva ancora notato. Portava i capelli molto corti, ed era invecchiato. Dovevo avere un'espressione tesa perché il cuore mi batteva forte per lo sconcerto. Fra tutte le cose che potevano passarmi per la testa in quel momento, mi tornò in mente, non so perché, un pomeriggio che avevamo trascorso da bambini a casa di una famiglia di amici dei nostri nonni. Doveva essere piena estate, anche se a giocare all'aperto non soffrivamo il caldo, mi sembra. Io avrò avuto sette anni, andavo già a scuola, lui cinque. Ricordo bene i nostri nonni chiacchierare sotto la veranda con i padroni di casa, mentre noi eravamo liberi di girare nell'aia e nei campi lì attorno, nessuno ci faceva caso. Non so chi fossero quelle persone che eravamo andati a trovare, evidentemente delle vecchie conoscenze a cui nonno o nonna avevano deciso di fare un'improvvisata senza neanche telefonare prima per vedere se li avrebbero trovati a casa, non ci erano abituati, il tempo era la loro ricchezza. Mentre ci riposavamo seduti a terra sotto l'ombra di un albero che, poco distante dalla casa e dalle rimesse dei trattori, era l'unico in mezzo a un campo di grano appena mietuto, riarso dal sole, mi urlò “Guarda! Il maggiolino!”. Ne aveva visto uno accanto al suo braccio, sul tronco a cui ci eravamo appoggiati tutti e due con la schiena. Mi voltai e mi misi in ginocchio per guardarlo di fronte. Fece anche lui così. In città non li avevamo mai visti, ma nelle lunghe estati con i nonni ci avevano abituato a lasciarli andare, erano insetti buoni. Sapevo che era innocuo e gli misi un dito davanti, mentre avanzava sulla corteccia del tronco. Ci salì e me lo trovai sull'unghia. Iniziò a procedere. Paolo dopo l'ammirazione iniziale per il mio atto audace ebbe un sussulto “Ti pizzica il dito!”. Gli risposi “Non fanno niente”. Veramente, ero emozionato nel vedere per la prima volta così da vicino quell'insetto bellissimo, di un rosso lucido come appena verniciato e coi tondini neri invece opachi, e, a sentirmelo camminare sulla pelle, un po' di timore che nonostante quello che dicessero nonno e nonna un potere urticante o in qualche modo nocivo potesse averlo, mi venne, ma durò poco: aveva già aperto le due metà della sua corazza sotto le quali spuntarono due ali inaspettate, scure ma trasparenti, con cui spiccò un volo quasi inverosimile per tornare a posizionarsi sul tronco dove l'avevo prelevato. Eravamo meravigliati, ma anche un po' piccati da quella dichiarazione d'indipendenza. Paolo si mise in piedi e si avvicinò di più al tronco per prendere anche lui il maggiolino sulla mano. Glielo lasciai fare, ma quando se lo trovò sulla mano la scrollò per farlo volare via, con lo sguardo spaventato. Il maggiolino cadde per un tratto nell'aria, ma riuscì a prendere il volo prima di arrivare a terra e a tornare dov'era. “Ma che fai!” lo richiamai, “Si fa male!”. E lui quasi si mise a piangere. “Guarda come si fa” dissi e provai a riprenderlo, ma ora il maggiolino sembrava sospettoso, come se non volesse più fidarsi delle nostre dita. Mi balenò un'idea e dissi a Paolo “Vieni”. Mi seguiva sempre volentieri e preferii averlo con me piuttosto che lasciarlo solo a provare di catturare l'insetto con il rischio di nuocergli. Corsi nell'aia alla macchina di nonno, di cui conoscevo ogni segreto, per essermici annoiato dentro centinaia di volte. Aprii lo sportello e sentii che nonno dalla sua seggiola all'ombra mi chiedeva che cosa cercassi. Gli rispose Paolo, “Abbiamo trovato il maggiolino!”. Lo redarguii con lo sguardo, gli adulti ripresero a chiacchierare, mi fu facile prendere la scatola dei fiammiferi dal cruscotto e nascondermela in tasca. Paolo non capiva, ma stette in silenzio e mi seguì di nuovo fino all'albero. Il maggiolino era lì, sul tronco e dissi “Lo portiamo a casa”. Era una di quelle scatole con il cassetto scorrevole, lo aprii e la affidai a Paolo. Dentro erano rimasti pochi fiammiferi, Paolo rimase a guardarli, mentre io mi avvicinavo e appoggiavo di nuovo la mano sul tronco, vicino all'insetto, aspettando che mi salisse sulle dita. Lo fece, dopo un po', come se avesse ritrovato la fiducia e mi avvicinai la mano agli occhi per guardarlo meglio. Le zampe erano altrettanto interessanti del resto, avevano la forma perfetta per aggrapparsi a tutto. Piano piano avvicinai la mano alla scatolina e Paolo me la mise attaccata per facilitarmi il compito. Trepidavamo al pensiero che riprendesse il volo, ma il maggiolino non lo fece. Nel camminarmi sulla mano, solleticandomene il dorso, fu facile farlo cadere nel cassettino tra i fiammiferi. Rimase rovesciato sulla schiena con le zampe all'aria agitandole e Paolo diede una piccola scossa alla scatola; brontolai, ma il maggiolino era di nuovo in piedi, come desideravamo. “Chiudi!” quasi gridai, e Paolo ci provò, ma non era capace. Gli presi la scatola e lo feci io. Dopo un attimo la avvicinai a lui di nuovo e ne aprii uno spiraglio, guardando dentro anch'io, di traverso, per evitare che il maggiolino ne approfittasse per volare via. Era lì, e non sembrava affatto volersene andare. Restava fermo sui pochi fiammiferi e pareva aver trovato pace. Richiusi e tenni la scatola in piano, dicendo a Paolo di seguirmi. Tornammo alla macchina, parcheggiata all'ombra, e una volta entrato a sedere Paolo mi guardò riaprire un attimo la scatolina per assicurarmi che il maggiolino ci fosse, e poi richiuderla subito, prima di rimetterla al suo posto nel cruscotto. Feci finta di nulla per un po', poi scesi e Paolo mi seguì di nuovo fino a un punto dell'aia dove ci si poteva sedere. Gli adulti, distanti, stavolta non ci avevano notato, presi dalla conversazione. Paolo mi chiese dove avremmo tenuto il maggiolino, nella nostra cameretta. Gli risposi che potevamo fargli una casa con il cartone, prendendo la scatola delle scarpe. Parlammo un po' di come si poteva costruire la casetta e poi ci mettemmo a giocare a rincorrerci. Per un po' ci dimenticammo tutto, ma poi l'emozione della novità ci riportò sull'argomento. A lungo quel pomeriggio giocammo così, alternando i momenti di corsa o di nascondino a quelli passati a chiacchierare di quello che avremmo fatto con il maggiolino. Una volta Paolo si nascose nella macchina e quando lo trovai rannicchiato sul tappetino del passeggero, proprio vicino allo sportello del cruscotto, mi venne voglia di guardare, ma corsi a fare tana e poi vidi che nostro nonno era venuto a controllare che tutto fosse a posto. Ci fermammo con lui e temetti che Paolo si lasciasse sfuggire il nostro segreto, ma andò tutto bene. Nonno ci disse di non combinare guai, poco convinto che non gli stessimo nascondendo qualcosa e tornò all'ombra a chiacchierare, in piedi, come per accomiatarsi, ma senza prendere la decisione. Avemmo tutto il tempo di giocare ancora e, quando fu il momento di andare, i signori che ci avevano ospitati ci invitarono a tornare a trovarli. Andando a casa, sul sedile di dietro non stavamo nella pelle per la voglia di raccontare tutto a nonna e nonno che ci chiedevano se ci eravamo divertiti, ma ci scambiavamo sguardi complici in silenzio. Una volta arrivati, presi per mano Paolo e lo tirai con me giù dalla macchina per andare un po' a giocare, mentre i nostri nonni aprivano la porta e si accingevano ai preparativi per la cena. Dopo un po', furtivamente, dissi a Paolo che dovevamo andare a prendere il nostro maggiolino. Nonno aveva acceso la televisione e fu facile aprire la macchina nell'aia di casa senza che nessuno ci badasse. Presi con delicatezza la scatolina, richiusi lo sportello e andammo nella nostra cameretta. Preparai la scatola di scarpe e Paolo mi chiese “Che cosa gli mettiamo da mangiare?”. “L'insalata” risposi, rimandando a dopo. Tutto era pronto, eravamo emozionatissimi. Aprii con cautela il cassetto solo un po', per guardare dentro. Non si vedeva nient'altro che le capocchie azzurre dei fiammiferi e piano piano aprii un po' di più, finché il cassetto scorse tutto. Il maggiolino non si vedeva. Appoggiai la scatoletta sul letto e iniziai a togliere i pochi fiammiferi, temendo di trovarci sotto l'insetto schiacciato. Paolo mi osservava, interrogativo. Quando appoggiai gli ultimi sul letto e vidi che il maggiolino proprio non c'era più, diedi un colpo con la mano sulla coperta per il nervoso e i fiammiferi saltarono cadendo in parte sul pavimento. “Dove l'hai messo?” gridai a Paolo. Ma lui mi disse che non aveva toccato niente, e si mise a piangere. Arrivò mia nonna, che mi sgridò e mi ordinò di raccogliere subito i fiammiferi e di rimettere la scatola a posto. Volle sapere perché avevamo litigato e si mise a consolare il piccolo, portandolo con sé in cucina. Rimasi solo, meditando una vendetta che le patate fritte a cena mi avrebbero fatto dimenticare.
Ora eravamo su un tram, alla fine di un giorno lavorativo. Pioveva, Paolo era seduto di fronte a me ma non mi aveva ancora visto. Rimase assorto in chissà quali pensieri per tutto il tragitto, mentre io lo guardavo senza sapere come comportarmi. Quando alla fine si accorse di me ebbe un moto negli occhi, qualcosa che durò un attimo e fu indecifrabile. Non posso dire se assieme alla sorpresa abbia provato la gioia istintiva di rivedere suo fratello dopo tanto tempo, ma sia riuscito a soffocarla un istante dopo nell'orgoglio, oppure se gli sia tornata la rabbia per gli episodi che attorno ai trent'anni ci avevano allontanato e che dopo un accesso d'ira sia riuscito a contenersi per non darmi la soddisfazione di mostrarsi ancora ferito. Immediatamente si ricompose e, girandosi da un'altra parte, si preparò per scendere alla fermata. Eravamo così vicini.

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