martedì 31 maggio 2016

Rosa Romano – Vino e Delfina

Com’è profondo il mare!
La voce espressiva di Dalla invade l’intero spazio quasi a voler scomporre l'immobile puzzle di stelle.

Sulla terrazza del ristorante Marechiaro alcuni clienti celebrano con sussiego il rito della cena e, cullati dal lento sciabordio delle acque, si sforzano di essere felici.
Brindano. 
A cosa non lo dichiarano, forse alla scampata noia, o forse al bisogno di una pausa diversa, da intercalare nel susseguirsi di giornate fragili, affannate, in corsa verso una direzione imprecisa.

Tra questi, seduto al tavolo centrale, uno degli uomini più chiacchierati.  Luigi Lavori, cassa di risonanza e perfetto esecutore dei capricci del capo.
Luigi è un caso esemplare. Figlio di una società che da povera e ossequiosa in un batter d’occhio si è ritrovata smemorata e benestante, si è adattato con facilità al nuovo stato, ma non ha mai smesso di sentirsi povero dentro. E per salvaguardare la temporanea ricchezza ha costruito barriere e confini, da difendere con i denti e con le unghie.
Di fronte a lui c’è Maria la sua giovane compagna. Bella, anzi bellissima, così bella che per diritto di nascita e di avvenenza si aspetta un futuro lussuoso e di successo.

Nella penombra ovattata del ristorante, Il cameriere, in giacca nera e papillon rosso, con discrezione si avvicina ai tavoli, elenca i piatti del giorno, suggerisce e consiglia gli abbinamenti. Racconta di umori, di coltivazioni protette, di vigneti unici per la loro particolare esposizione e di altrettanti particolari conservazioni.
Il cibo è cultura che occorre conoscere.
Il cibo è arte e ben lo sanno i frequentatori abituali. 
Lo sa anche Luigi che però oggi rifiuta ogni aiuto e con un gesto deciso interrompe il cameriere. “Vorrei“, dice, “un pesce, un pescato fresco, meglio se spigola, cucinato al forno, con pochi aromi e tutta la fragranza del mare nostrum". Mentre parla si accende di entusiasmo per le cose che riesce a dire e per la capacità che ha di esprimere un pensiero tutto suo. Non sono desideri del capo questi, ma suoi e sue le considerazioni con cui soddisfatto conclude “Vuole mettere il valore di un pesce del mediterraneo rispetto a un pesce cl he so, pescato nell’oceano indiano, pieno di mercurio e sostanze inquinanti?””
Poi, nell'attesa della spigola mediterranea, si dedica alla sua dolce e bella Maria, figlia di una spezzina e di un siciliano e le regala una rosa rossa, contrattata al ribasso, al marocchino che tutte le sere gira per bar e ristoranti con un mazzo congelato di rose, cercando di guadagnarsi la cena.

Trecento metri più sotto, c’è un via vai indescrivibile. Pesci di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, raggruppati in banchi, si muovono verso una fossa dove la corrente sta trascinando i corpi di un barcone affondato la notte prima. I pesci non parlano, ma la notizia è arrivata veloce, e ancora più velocemente si è diffusa. Da banco a banco è passata in un baleno e ora tutti corrono per vedere e accaparrarsi del cibo tra quell’ammasso di corpi sbattuti qua e là.
“Anche se non è granché...”, dicono alcuni cetacei. Questi barconi portano solo gente ossuta, magra e asciutta. Altro non c'è. Si mangia poco, e quel poco è legnoso”.
“Va bene anche così, risponde un argenteo banco di sardine. Quando finiranno i neri, se mai finiranno, non ci resterà molto. L’inquinamento sta distruggendo I fondali, alcuni oceani incominciano a soffrire, con le scorie nucleari e il mercurio. Prima o poi questa sorte toccherà anche al Mediterraneo“.
Mentre il gruppo commenta, discute e ricorda i bei tempi andati quando a fondo ci andavano i bianchi, con le loro ricche e fornite navi crociere, una giovane e giocosa delfina lascia il gruppo per rincorrere un fagotto che la corrente sta sballottando di qua e di là.
Cos'è? si domanda la delfina.  Non può essere una persona, è troppo rotondo, e sempre più incuriosita lo segue. Ma man mano che si avvicina, però, ha l’impressione che il fagotto nasconda un corpo, anche se quella che dovrebbe essere la pancia ha le dimensione di una grosso pallone.
Un istante ed eccolo. E’ così vicino che lo può toccare. La delfina lo guarda di nuovo, gli gira intorno, ispeziona con cura ogni particolare, finché controvoglia ammette che no, non si sbaglia, è’ proprio il corpo di una persona, anzi una donna. Giovane, per lo più, con la pelle e capelli neri,
Usa le pinne per spostarle i capelli bagnati, il viso doveva essere bello, poi le sfiora il ventre, gonfio e rotondo, un mappamondo, più che una palla.
Non le ci vuole molto per capire che quella pancia trattiene un bambino. Morto.
Intanto dietro la delfina sopraggiunge un capodoglio che, avendola vista muoversi in tondo, l’ha seguita; altrettanto fa un piccolo squalo, ed ecco che arriva anche un tonno, inseguito da un banco di spigole.
I pesci si guardano, boccheggiando si parlano.
Pochi fonemi per capire ciò che non serve spiegare, finché, insieme e senza una precisa regia improvvisano una danza, la danza funebre in onore della giovane madre. Le girano intorno, le sfiorano il volto, le labbra nere, il ventre gonfio, battendo le pinne a tempo di nenia cantano la ninna nanna del mare. Qualche spigola inciampa nei resti della veste, quasi si arrotola dentro, ma nessuno osa toccare la donna.
“Che tristezza” dice la delfina ad un tratto. “Portiamola giù nell’abisso, veneriamola, come fanno gli uomini con il Cristo del Mare”.
“Ma è una femmina!” dice lo squalo.
“E allora sarà la Madonna Nera degli affondati”

Il cameriere, con religioso sussiego, versa poche gocce di vino e le porge a Luigi perché proceda all’assaggio. Lui porta il bicchiere alle labbra, anche se in verità non è un vero amante dei vini.
Ma deve. Il ruolo e la società in cui è stato catapultato lo esigono.
Maria intanto giocherella col cellulare. Facebook. Scorre veloce i vari post, trattano tutti di cibo, moda e aforismi. Cerca informazioni su provini, spettacoli e selezioni televisive, quand’ecco una foto. Come le sia capitata non si può sapere, certo è una foto diversa da quelle che lei e i suoi amici hanno il vezzo di condividere. Non esalta bellezze né lusso, ma racconta un fatto di miseria e commozione.
Un uomo bianco di mezza età, medico volontario a Lampedusa, crocevia di disperazione e solidarietà, stringe tra le braccia una bambina di colore.  E sotto lo stralcio di un articolo.
Nel barcone sono seicento, il barcone si rovescia e affonda, alcuni muoiono, più di cinquecento sono tratti in salvo a Lampedusa, e poi c’è anche la piccola: ha nove mesi, la mamma è morta, la piccola è sola. Ha nove mesi: un piccolo corpo che si teneva stretto al grande ma scavato corpo della madre per proteggersi.

Aggrappata alla mamma con le braccine di una bimba di nove mesi, nell’incavo del seno e delle braccia e del ventre, con uno scialletto sulla testa, con il latte della madre se ancora la disperazione glielo faceva avere, senza capire e senza chiedere, i bambini e le bambine di nove mesi non fanno domande: ti guardano e si stringono a te in cerca di amore. E ora è sola, la piccola Favour...” .

Maria legge, all’inizio è incuriosita, poi qualcosa la irrita e con un certo fastidio passa oltre.
Che c’entra questo? Dice a se stessa, come se la foto, svelando una realtà a lei sconosciuta, arrivasse di colpo a disturbare il suo mondo di celluloide e di sogni. Via, via, non è questo ciò che lei va cercando, ma quel qualcosa che l’aveva irritata non smette di pungere, anzi, s’incunea di più tra la sua mente e i suoi occhi. Non serve andare oltre, quegli occhi fissi di bimba la rincorrono.
E così torna indietro, cerca il post con il medico e Favour, la bambina. Rilegge e bisbiglia.
Nove mesi, la madre è morta, terribile, come farà? e perché poi?  E mentre si fa la domanda dice di no con il capo e stringe strette le labbra.
Luigi la vede e si rabbuia.
“Che c’è? Brutte notizie? “.
“No, guardavo questa bambina…. Risponde Maria e gli porge il cellulare con la foto e l’articolo.
“Hai visto cos’è successo? Poveretta! Ora è orfana…” continua.  
Luigi, guarda, legge si e no poche righe, poi scuote la testa.  “E allora? Che c’è di strano? Ormai succede sempre più spesso” risponde.
Poi, senza aggiungere altro, riempie di vino il bicchiere e lo ingoia tutto d’un fiato. 

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