lunedì 30 maggio 2016

Beatrice Massaini – Il centro del disegno

Caro diario,
dopo tre giorni di tentennamenti e paure, tre giorni in cui non ho fatto altro che starmene chiusa nella mia cabina a rimuginare, finalmente ho preso il coraggio a due mani e sono uscita. “Anna” mi sono detta guardandomi nello specchio “dopo tutto il daffare che ti sei data per ottenere il biglietto per questa nave, dopo che hai smosso mari e monti e hai dovuto anche vendere l’anello di fidanzamento della tua povera mamma per racimolare la somma necessaria, non puoi, semplicemente non puoi pensare di fare tutto il viaggio standotene rintanata qui. E’ ora di agire, santo cielo!”
E così l’ho fatto. Mi sono vestita di tutto punto, mi sono truccata, mi sono acconciata i capelli come meglio potevo e poi sono scesa nel grande salone a cenare.
Oh, caro diario, vorrei che tu avessi visto la sontuosità di quella sala, l’eleganza di quei tavoli riccamente imbanditi, perfino nel mio stato d’animo alterato non ho potuto fare a meno di ammirarli. E poi la cortesia con la quale sono stata accolta. Pensa che, al mio ingresso, un maitre impettito come un generale mi ha accompagnata al tavolo e poi  ha scostato la sedia per farmi accomodare. Scostato la sedia, hai capito? Scostato la sedia a me! Confesso che mi sono sentita una vera regina, dato che mio marito a casa è già tanto se tiene la porta aperta per farmi passare e quindi non sono abituata a simili gentilezze.
Quanto al menù poi … cosa dire? Un elenco di portate dai nomi esotici e misteriosi, composte da ingredienti di cui non sospettavo nemmeno l’esistenza. Te lo devo proprio confidare in quel momento ho provato un po’ di imbarazzo, perché non sapevo davvero cosa scegliere. Dopo però, ho sbirciato i miei vicini di tavolo (una donna anziana alla mia destra e un uomo più o meno della mia età alla mia sinistra) e ho visto che stavano degustando con evidente soddisfazione delle ostriche e allora le ho ordinate anch’io, anche se non ero sicura che quelle cose mollicce e grigie mi sarebbero piaciute.
Ecco è stato qui che il mio stato d’animo ha cominciato a cambiare, cambiare in peggio voglio dire, perché il cameriere, dopo aver preso la mia ordinazione, mi ha rivolto un breve  inchino ed è stato quel gesto deferente, e per me del tutto inusuale, a mostrarmi la follia di questo viaggio, a far sì che l’incantesimo cominciasse a svanire.
“Cosa ci faccio qui?” ho preso a domandarmi, sentendomi un po’ una truffatrice che agisce sotto mentite spoglie “Le donne come me non sono fatte per i saloni sontuosi, le donne come me non pasteggiano a ostriche e champagne e, soprattutto, non ricevono inchini. Le donne come me se ne stanno a casa ad aspettare che il loro uomo faccia ritorno. Tranquille, paciose e grate al destino per la vita monotona e priva di scosse che conducono. Però … se le donne come me continuano a sentire sui suoi vestiti il profumo di un’altra? Se scoprono tracce di rossetto sulle sue camice? Se trovano due biglietti per una nave nascosti in una tasca interna della sua giacca? Allora cosa fanno?” “Non questo” mi ha alitato una voce nell’orecchio “Non questa pazzia”.
Ho scrollato le spalle e ho cominciato a guardarmi in giro, anche se avevo paura di quello che i miei occhi avrebbero potuto mostrarmi. Il mio sguardo è scivolato tra i tavoli, ha sfiorato le scollature delle belle signore ingioiellate, ha vagato tra gli uomini eleganti che le accompagnavano, pregando e sperando di essermi sbagliata, ma in fondo al mio cuore io lo sapevo che l’avrei visto, lo sapevo che lui era lì. E infatti eccolo, seduto all’altro capo della sala, il mio bel marito che non mi guardava e non mi toccava più da mesi, il mio bel marito che non cercava più nemmeno scuse per giustificare le sue lunghe assenze e che adesso se ne stava lì, avviluppato come un serpente boa, a una ragazza che avrà avuto la metà dei suoi anni.
In quel momento tutto quello che mi stava intorno è diventato inconsistente e vano e una grande stanchezza si è impossessata di me. Inadatto il mio cuore a pompare sangue e vita nelle vene, inadatte le mie dita a reggere le posate che brandivo.
Per dissimulare il loro tremore mi sono nascosta le mani in grembo mentre,  con apatico disinteresse,   ascoltavo i miei commensali parlare degli argomenti più disparati, dal cibo al tempo, dalla comodità delle cabine ai motivi che li avevano spinti a intraprendere questo viaggio. Oh cielo, come diventa molesta e prolissa la gente quando comincia a parlare di sé stessa! Nessuno di loro si è reso conto di quale castigo fosse per la mia anima sconvolta ascoltare i resoconti delle loro vite spensierate e appaganti. Non se ne è accorta la vecchia signora che mi sedeva accanto, che è andata avanti per mezz’ora a parlare della sua allegra vedovanza  e del fatto che adesso si godeva l’eredità girando il mondo, né i due sposini innamorati e felici in viaggio di nozze, per non parlare dei due coniugi che avevano ricevuto il biglietto in regalo e che erano stati fino all’ultimo indecisi se partire o meno, perché il loro bambino era raffreddato e non erano sicuri se i nonni, ai quali lo avevano affidato, si sarebbero presi cura di lui in modo adeguato. 
Caro diario, non ti so dire quanto si sono dilungati quei due con la faccenda del bambino. Neanche fossero stati gli unici esseri sulla terra che avessero mai procreato. Il nostro bambino di su e il nostro bambino di giù, il nostro bambino così bello, così intelligente, così perfetto.
Ti giuro che avrei dato tutto quello che possedevo perché la smettessero, ma è più facile fermare un fiume in piena che due genitori orgogliosi, quando parlano del proprio figlio e così sono andati avanti ancora e ancora, fino a concludere (probabilmente per mancanza di fiato) con un trionfante “Bisogna provare a essere mamma per capire” da parte di lei.
L’ho odiata, so che non avrei dovuto, ma l’ho odiata, un po’ per la sua presunzione, un po’ per l’invidia che mi ispirava  e molto perché le sue parole mi avevano colpita diritta al cuore
 Sì., lo so, quello non era il momento per mettermi a rivangare dei fatti tanto tristi. Ero già abbastanza infelice di mio senza bisogno di caricarmi di ulteriori angosce, ma le immagini sono emerse dal posto buio dove le avevo seppellite e mi hanno circondata come tanti fantasmi cattivi e non è servito a niente serrare le palpebre strette, strette, l’ho visto lo stesso quel bambino minuscolo e pallido che è nato  troppo presto e che troppo presto è volato via e li ho sentiti ugualmente i medici che mi toglievano ogni speranza, che mi dicevano che c’erano state complicazioni durante il parto e che non ci sarebbe mai più stato nessun bambino dentro di me.
Io non sono una persona fortunata, caro diario, non so se te ne sei già accorto.
Comunque,  per tornare alla cronaca della mia serata, ti dirò che, a quel punto ho capito che non sarei potuta restare a quel tavolo nemmeno un minuto in più. Mi sentivo soffocare e avevo un disperato bisogno di aria,  così mi sono alzata di scatto, ho biascicato a mezza voce delle scuse e mi sono precipitata fuori dalla sala.
Non so se fossero stati quei brutti ricordi a scatenare la mia reazione, ma mi sentivo come se fossi stata in preda a un raptus “Il ponte” continuavo a dirmi ansimando “devo salire sul ponte ”. Forse pensavo davvero che, ritrovarmi in uno spazio aperto, avrebbe dato pace alla mia anima angosciata, invece, una volta che ci sono arrivata, mi sono sentita più sola e depressa di quanto già non fossi.
“Qual è il mio posto nel mondo?” ho cominciato a pensare mentre fissavo la volta stellata “Dov’è la mia collocazione esatta? E’ su questa nave? E’ a casa ad aspettare un uomo che non vuole tornare? Oppure da nessuna parte? Ma allora se non c’è un posto per me da nessuna parte … se non c’è …”
La profondità del mare sembrava chiamarmi “Basterebbe niente” mi sono detta “un tuffo a testa in giù, qualche breve istante di terrore e poi la pace, finalmente”.
Non ho dato seguito alla mia tentazione, naturalmente (questo lo puoi evincere anche dal fatto che sono qui a scrivere) e, lo vuoi sapere? Ho fatto bene a non farlo.
Tutti quelli che hanno in animo di compiere un gesto disperato dovrebbero aspettare, dare modo al destino di mostrare loro il suo lato più benigno.
Come è successo a me poco dopo. Quando ormai ero tornata nella mia cabina e l’uomo che mi sedeva accanto a tavola, l’uomo di cui, durante la cena, avevo avuto modo di apprezzare l’educazione e la riservatezza, è venuto a bussare alla mia porta.
“Credo che sia sua questa” mi ha detto porgendomi la borsetta da sera che, nella concitazione del momento, avevo dimenticato sul tavolo. Mormorando un ringraziamento ho allungato la mano per afferrarla e  forse è stato il momento particolare che stavo vivendo (devo pensare che sia stato quello perché in vita mia, te lo giuro, non ho mai avuto pensieri simili) però, sfiorando le sue dita, ho cominciato a immaginare a come sarebbe stato toccargli altre parti del corpo, e poi ho pensato anche che lui aveva un bel sorriso, uno sguardo affascinante e dei modi gentili.  
Così gli ho sorriso a mia volta, l’ho invitato a entrare e …
Insomma ne avevo bisogno caro diario, avevo bisogno di contatto umano, avevo bisogno di un po’ d’amore e, più di tutto, avevo bisogno di sentire che qualcuno mi voleva, che c’era ancora chi apprezzava questo mio corpo rifiutato e offeso.
Certo, lo so benissimo che questa esaltazione non durerà, che non supererà la prova del giorno dopo, quando ci  sveglieremo, ci guarderemo in faccia e scopriremo che siamo solo due estranei che hanno condiviso dei bei momenti, però questa esperienza mi è servita. Mi ha fatto riguadagnare un po’ dell’autostima perduta, e questo non è poco.
Adesso lui sta dormendo nel mio letto, io invece non ci riesco, troppi i pensieri che mi attraversano la mente, troppi i programmi per il futuro che mi sono messa a elaborare.
Ho deciso caro diario, non appena tornerò a casa lascerò mio marito. Non penso che lui mi creerà problemi, vista la situazione attuale. Anzi, sono abbastanza convinta che sarà ben felice di liberarsi di me.
Dopo andrò a vivere in campagna e mi godrò la pace e il silenzio. Ho una piccola rendita, lasciatami dai miei genitori. Non moltissimo, ma più che sufficiente per mantenermi se ci sto attenta, senza contare che potrei anche tirare fuori il mio polveroso diploma da maestra e, perché no? Mettermi a lavorare in qualche piccola scuola di paese.
Lo vedi caro diario come va la vita? Un momento prima sei tanto disperata da pensare di farla finita e, un momento dopo, sei felice e grata al destino per averti messa in grado di dipingere  quello che sembra un disegno perfetto.
Eppure …
Eppure c’è qualcosa che mi pungola il fondo dell’anima. Forse una macchia nera proprio al centro del disegno. Probabilmente sarà l’abitudine alla sfortuna che mi rende diffidente, che non mi consente di godere appieno di questo momento di entusiasmo, ma il fatto è che, poco fa, ho avuto una specie di visione.
Mentre cercavo di immaginare il futuro, nella mia mente non sono apparsi  prati o alberi, né cespugli fioriti o linde casette coi tetti rossi. No, è qualcos’altro quello che ho visto, qualcosa di vasto, gelido e liquido che si chiudeva sopra la mia testa.
Sì, lo so che sono tutte sciocchezze e che domani ne riderò, ma è stato orribile osservare quel mare nero dalle profondità abissali inghiottirmi. Tuttavia, dopo ci ho ragionato su e mi sono tranquillizzata. Voglio dire, questa non è una nave qualsiasi, no? Questo è il Titanic, la nave più sicura del mondo.
E allora cosa mai mi potrebbe capitare?

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