E’
giovedì sera. Evaristo si è infilato sulla pelle la camicia bianca, s’è
guardato nello specchio lungo appeso all’anta dell’armadio, ha fatto un giro su
se stesso, s’è guardato ancora, ha ravviato i capelli neri e lucidi con un gesto
indifferente della mano e, alla fine, conservando un’espressione di
compiacimento sul volto bruno, è uscito nei vicoli del barrio.
E’
giovedì sera e, come ogni giovedì sera, Evaristo si lascia alle spalle la
fatica delle giornate di lavoro al porto, spezza il ritmo dei suoi giorni e si
concede una serata di libertà.
Ha
una passione Evaristo, una di quelle passioni che ti entrano nel sangue e dalle
quali non riesci a liberarti. Ma, forse, nemmeno vorresti, liberartene.
Tiene
duro tutta la settimana solo perché sa che arriverà il giovedì ed il giovedì
l’oggetto del suo amore sconfinato sarà lì ad attenderlo, lo accoglierà sin nel
profondo della notte, lo consolerà e proteggerà, lo sospingerà in un mondo dove
tutto diventa possibile e a portata di mano.
Evaristo
scosta la porta dell’Azul: il locale è immerso nella penombra e nelle volute di
fumo che galleggiano a mezz’aria. Ci vuole un po’ prima che la sua vista prenda
confidenza con l’oscurità. Si lascia il bancone del bar alle spalle e si
avvicina all’unico spazio illuminato della sala.
La
pista da ballo sembra emergere dall’oceano della notte: così bianca e ancora
solitaria, sembra il miraggio di un naufrago.
Addossate
alla parete, poche sedie occupate da sconosciuti distratti.
Non
hanno ancora incominciato a suonare.
Evaristo
lancia il suo sguardo sapiente fra le poche donne presenti: Rosèta ancora non
si vede. Poco male, non ha mai faticato lui a trovarsi una compagna: “Ola,
Guillermo! Non iniziamo questa sera?”.
Un
sorriso si allarga sotto i baffi neri dell’uomo basso e tarchiato, i radi
capelli ben impomatati, cui Evaristo si è rivolto.
Guillermo
non risponde, si siede ed estrae dalle custodia il suo bandoneon, lo appoggia
sulla gamba destra e gli dà fiato. Le note ciniche e melanconiche iniziano a
sprigionarsi dallo strumento, attraversano l’aria greve dell’Azul, entrano in
ogni fessura della vecchia costruzione, si insinuano sotto le tavole del
pavimento, fanno tintinnare i bicchieri di rum già per metà vuoti.
Evaristo
cerca intorno: lui e la sua camicia bianca fremono, non possono più attendere.
Amilar,
dall’altra parte della sala, ammicca ad Evaristo. Lui muove qualche passo verso
quel richiamo ma poi si ferma: nel buio, oltre il perimetro luminoso della
pista, gli è sembrato di cogliere un movimento, un colore mai visto, un
indefinibile riverbero di luce.
Evaristo
tende la mano nell’oscurità e, quando la ritrae, appesa alla sua mano c’è una
ragazza dagli occhi di miele che lo guarda e non sorride.
I
due si fanno largo fra gli altri e raggiungono il quadrato di luce. Stanno
fermi uno di fronte all’altra. Poi, senza sfiorarsi, iniziano ad assecondare
con i loro movimenti il ritmo della milonga. E’ un gioco di passi, di spalle
che si incurvano e arretrano. E’ un assaggiarsi, un provocarsi, offrirsi e fuggire
sulle note di quella musica turbinosa e insinuante.
Evaristo
e la ragazza dagli occhi di miele sono sempre più vicini. Quando lui le infila
il braccio esattamente nell’incavo dell’ascella e la stringe nell’abbraccio
esclusivo del milonguero, sente i suoi capelli lunghi e ricci solleticargli la
pelle e sotto le sue dita la morbidezza del tessuto a fiori del vestito di lei.
C’è
solo la musica del bandoneon adesso, puro ritmo che striscia sull’impiantito e
sale attraverso le gambe e si annida nelle tempie. Su quel ritmo misuri il tuo
respiro e il battito del tuo cuore. E non c’è nient’altro.
Evaristo
si sente libero. E’ la libertà del giovedì sera.
Per
un attimo si è scordato di lei; la guarda e vorrebbe scusarsi di quella
dimenticanza.
Ma
quando incontra i riflessi dorati dei suoi occhi di miele capisce che anche lei
si è scordata di lui e che è una cosa sola con quella musica. Non è il suo
abbraccio a guidarla ma il susseguirsi incalzante delle note.
Evaristo
per un momento si sente inutile ma è questione di un attimo. Poi si abbandona
alla milonga e non ci pensa più.
Hanno
ballato tutta la notte. Per l’Azul è l’ora di chiudere.
“Ti
accompagno” dice Evaristo alla ragazza dagli occhi di miele. Lei sorride, un
po’ disorientata da quella proposta, sorride e non risponde.
Per
strada nessuno dei due parla. Camminano uno a fianco dell’altra. Lui trova il
coraggio di allungare una mano e la trattiene delicatamente per un braccio,
l’attira vicino a se’. I loro volti sono così vicini adesso ed è come se
avessero ripreso a ballare.
Improvvisamente
gli occhi di lei ridono, la ragazza si divincola da quella stretta delicata e
scappa via.
Evaristo
vede la sua gonna a fiori sparire dietro l’angolo di una baracca. Prova a
seguirla ma ormai è troppo tardi. Lei è sparita.
E’
giovedì sera, di nuovo.
Evaristo
ha atteso questo giorno con intensità, eppure lo teme. Teme che la ragazza
dagli occhi di miele sia persa per sempre.
Ma,
appena mette piede all’Azul, la vede. La vede ancor prima che la ragazza si
renda conto della sua presenza: è seduta su una delle seggiole attorno alla
pista da ballo, i grandi occhi frugano la penombra un po’ smarriti, le dita
sgualciscono nervose le pieghe del vestito a fiori.
Quando
infine lo nota, fa un gesto vago con la mano, come un saluto.
Lui
attraversa la pista in diagonale: si sente invincibile e bello e slanciato.
Sta
in piedi davanti a lei ora. Non le tende la mano. Nel suo guardo un perentorio:
“Balliamo” .
Lei
si alza, raccoglie la sfida, quasi lo spinge col suo corpo al centro della
sala. Evaristo arretra, assecondandola con i movimento plateali del tango.
E
già sono nel tempo della musica, nel ritmo, nel vibrare dei passi e delle note.
Fino
a notte inoltrata quando lei, ancora una volta, fugge.
“Non
so chi è, Guillermo. Non mi ha rivolto la parola, nemmeno per dirmi il suo
nome” si confida Evaristo.
“E
tu seguila di nascosto” gli suggerisce il sorriso sotto ai baffi.
E’
un altro giovedì sera, stanno per spegnersi le luci sulla pista dell’Azul.
Prima che il bandoneon esali l’ultimo respiro, Evaristo scioglie dall’abbraccio
la ragazza dai capelli di miele, fa un piccolo inchino sfrontato e se ne va.
Fuori,
si apposta dietro ad un muretto e aspetta.
Quasi
subito la ragazza dagli occhi di miele esce. Guarda a destra. Guarda a
sinistra. Lo sta cercando. Ma non lo scorge. China la testa e si avvia.
Evaristo
la segue tenendosi a distanza; nella luce fioca dei lampioni, i suoi piedi
inciampano e lui teme di venir scoperto. Invece la ragazza dagli occhi di miele
non si accorge di nulla, assorta forse nei suoi pensieri. Un basso caseggiato popolare la aspetta.
Adesso Evaristo sa dove trovarla.
L’indomani,
finito il lavoro, Evaristo torna a cercarla: la vede in cortile, gli dà le
spalle, sta stendendo all’aria il vestito a fiori.
“Scusa!”
la interpella Evaristo con il cuore a mille “Passavo di qua e ti ho visto.
Allora è qui che abiti.”
La
ragazza dagli occhi di miele continua nelle sue faccende e sembra non essersi
accorta di lui.
“Senti,
non ti sarai arrabbiata per ieri sera, vero?” riprova Evaristo. Ancora nessuna
risposta.
Si
sente tirare per una manica. Guarda giù: è una nina di una decina d’anni: “E’
inutile che gridi. Annita non ti sente: è sorda. E’ così da quando è nata.” E,
mentre dice queste parole, quella bambina, per meglio farsi intendere, si copre
con le mani le orecchie.
Quando
Evaristo guarda di nuovo verso la ragazza dagli occhi di miele, lei si è ormai
voltata, lo ha visto e ora lo interroga trepidante con il suo sguardo caldo.
Poi, vedendo che l’uomo se ne sta impietrito in mezzo alla strada, delusa,
accenna a rientrare in casa.
Evaristo
alza un braccio nel gesto di trattenerla: “Sono qui, non andare via”. Lei
aspetta.
Lui
allora inizia a battere le mani al tempo di una milonga. All’inizio è incerto,
poi la ragazza sorride ed anche lei inizia a battere le mani, allo stesso
ritmo.
E’
giovedì sera. All’Azul, Guillermo si fa raccontare una storia d’amore dal suo
bandoneon.
Evaristo
e Annita sono al centro della pista, lui con la sua camicia bianca, lei col suo
vestito a fiori.
Non
parlano, non serve. Parlano i loro cuori che palpitano allo stesso ritmo di
un’incredibile milonga.
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