mercoledì 15 aprile 2015

Gastone Campanati – Amore è vita

“Caro fratello devo darti una bella notizia”, Aldo si allarmò al pensiero di ciò che avrebbe potuto sentire e infatti, Mauro gli disse:
“Io e Nora avremo un bambino”.
E' un annuncio che di solito riempie di felicità i parenti e gli amici dei diretti interessati ma in quel caso, Aldo, intravide un uragano in avvicinamento. Tre anni prima Mauro, ormai quarantenne, durante uno dei suoi viaggi per diporto in terra di Marocco s’innamorò di una ragazza del luogo e fedele agli insegnamenti di Susanna Tamaro, che aveva appena scritto -Va’ dove ti porta il cuore-, si fece Musulmano, legittimò la sua relazione con una cerimonia nuziale in terra d’Africa e si portò l’amata in Italia. La diletta Nora arrivò senza valige, non possedeva nulla. Le sue poche cose erano stipate in una borsa troppo piccola per esser definita borsone e troppo grande per essere una borsetta. Quella sacca conteneva però qualcosa di inquietante che aveva il potere, come direbbe il sommo Dante, di -far tremar le vene e i polsi-. Un foglio compilato da un medico marocchino definiva Nora affetta da -Psicosi cronica dissociativa-. Prima del matrimonio a Mauro venne detto che la futura moglie, talvolta, era un po' depressa, ma la realtà si rivelò più grave del previsto poco tempo dopo l'arrivo di Nora in Italia. La vita vuota e annoiata dell'ingenuo Mauro, all'improvviso divenne frenetica. Le difficoltà conseguenti al suo matrimonio, anzitutto economiche, si accumulavano una sull'altra e coinvolgevano anche parenti e amici che gli volevano bene e non potevano lasciarlo al suo destino. Qualcuno aveva sperato che divorziasse subito dalla moglie, prima che quell’unione riservasse altre sorprese difficili da risolvere e...una sorpresa ora c’era: stava arrivando un bambino.
Ti rendi conto di cosa si tratta?”, chiese Aldo al fratello.
“Certo”, disse lui, “io ho 44 anni e Nora 38. Potrebbe essere questa l'ultima nostra  occasione per avere un erede. Tu non puoi comprendere”, proseguì un po’ risentito, “sei più vecchio di me, non hai figli e non so se ci tieni ad averne. A me l’idea di vedere crescere un bambino riempie d’entusiasmo e altrettanto posso dire di mia moglie. Questa novità potrebbe persino guarirla. Io l'amo e mi devo occupare di lei e del nostro futuro. Quando sta bene è allegra, ottimista, coinvolgente ed io spero che il bimbo in arrivo abbia il carattere che ha sua madre nei momenti migliori.”
-Mai interrompere un’emozione!- disse qualcuno. Pur conoscendo quella citazione Aldo dovette avvertire il fratello di ciò che sarebbe potuto accadere.
“E’ tutto  più complicato di come sembra”, gli disse.“Nora non potrà curarsi nel modo migliore per non danneggiare il feto e dovrà essere controllata, senza interruzione, nel reparto di psichiatria dell’ospedale. Ve la sentite di affrontare tutto questo?”
Mauro vacillò e assunse un’espressione che si poteva interpretare in vari modi: di meraviglia per il quadro che gli si era parato davanti, e sul quale non aveva ancora riflettuto, e di improvvisa ostilità nei confronti di chi, senza pietà, gli distruggeva un momento felice. Si concesse un lungo silenzio per riflettere sulla risposta da dare al fratello.
“Mi stai consigliando di farla abortire?” Chiese dopo un po’.
“Questa è una scelta difficile e nessuno al mondo potrà compierla al posto tuo o di tua moglie. Dovete però essere consapevoli di ciò che vi aspetta”, rispose Aldo.
“E già,” riprese Mauro, “tu sei quello perfetto che prevede e calcola ogni cosa. Non credi di essere un po' cinico? Non pensi mai che la vita possa presentare situazioni nelle quali è meglio abbandonarsi all'amore e alla speranza anziché al raziocinio e a una fredda valutazione delle conseguenze? Assomigli a quegli odiosi politici che parlano sempre di euro ed investimenti dimenticando ogni altra filosofia di vita.”
Seguì un'altra lunga pausa e, purtroppo, una nuova inesorabile barriera s'alzò a separare i due fratelli, già così diversi fra loro.
“Parleremo con il medico”, disse poi Mauro, “e seguiremo i suoi consigli.”
La tristezza di Mauro provocò in Aldo una pena profonda e tanta rabbia verso se stesso. Aveva disilluso il fratello e questo lo angustiava. Per sollevarsi il morale ricordò altre occasioni in cui avrebbe dovuto dargli utili consigli e non lo fece. Tre anni prima, per esempio, quando Mauro s'innamorò e decise di coniugarsi con una signorina africana di nome Nora, pressoché sconosciuta. Gli sembrò un'enorme sciocchezza. Si fece degli scrupoli ad intervenire e ora, più che mai, si pentiva per non averlo fatto. Dopo aver parlato con Aldo, Mauro contattò lo psichiatra di Nora e ne trasse giovamento.
“Sarà dura per i primi tre mesi”, gli disse lo specialista, “ma poi le cose si semplificheranno e anche voi proverete la gioia di vedere crescere un figlio.”
Aldo scoprì che quello stesso psichiatra, di fronte al desiderio di maternità di Nora, disse che solo se avesse interrotta temporaneamente la sua terapia avrebbe potuto prendere in considerazione una gravidanza, e lei lo fece senza esitare. Forse sarebbe stato più sensato se il medico l’avesse dissuasa da una simile scelta ma, a volte, gli psichiatri non si preoccupano troppo dei danni che certe soluzioni causano ai pazienti e alle loro famiglie. Iniziarono i guai. Nora cominciò a sentire delle strane voci ronzarle nella testa e inoltre divenne, inutilmente, iperattiva. Quando era sola, vuotava tutti i mobili della casa e rovesciava sul pavimento il contenuto delle scatole della dispensa; comprese quella del sale, del caffè e dello zucchero. Alla sera il marito rimetteva tutto in ordine ma il fatto si ripeteva il giorno dopo. Mauro, non potendo assentarsi dal lavoro per assistere la moglie chiese, ed ottenne, che i suoi anziani genitori la ospitassero durante la giornata. In altri momenti il cervello di Nora regrediva sino a renderla un oggetto inanimato. Ogni tentativo di coinvolgerla in qualcosa di costruttivo cadeva nel vuoto. Doveva essere vestita, nutrita, lavata e accudita come un neonato. I genitori di Mauro facevano del loro meglio per assistere la gestante e alla sera il figlio, dopo una giornata di lavoro, andava a prendere Nora e la riportava a casa; preparava la cena, aiutava lei a portarsi il cibo alla bocca, la lavava, la preparava per la notte e, per quanto possibile, cercava di riposare. Qualche volta Aldo e la moglie andavano a trovarli portandosi appresso la cena per quattro. Non serviva a nulla, se non a dimostrare a Mauro che non doveva sentirsi abbandonato. La situazione stava precipitando. La mamma di Mauro si ammalò per lo stress eccessivo e dovette entrare in ospedale; una sorella di Nora giunse dal Marocco per sostituirla nell’ingrato compito ma tutto fu inutile. Un Sabato mattina Aldo ricevette una telefonata disperata di Mauro, stava male anche lui e chiedeva il suo aiuto immediato. Aldo si precipitò a casa del fratello, lo trovò piangente e irrigidito; non poteva alzarsi dalla poltrona dov'era sprofondato e non riusciva a piegare le dita.
“Grida e inveisce in continuazione”, disse Mauro indicando la moglie, “non so cosa fare per calmarla e, come se non bastasse, non riesco a rimettermi in piedi.”
La moglie, esagitata, si spostava senza sosta da un lato all’altro del soggiorno. Forse non si rendeva conto di quanto stava accadendo. La sorella di Nora, all'arrivo di Aldo, assunse un’espressione fiduciosa. L’ammalata l’aveva minacciata e ora lei sperava che qualcuno l’aiutasse ad uscire da quella situazione. Aldo diede subito a Mauro il calmante che si era procurato in precedenza e afferrato il telefono chiamò senza indugio due ambulanze, una per la cognata e una per il fratello. Mauro fu dimesso dal pronto soccorso dopo qualche ora mentre sua moglie, al quarto mese di gravidanza, venne ricoverata nel reparto psichiatrico dove rimase per più di tre mesi. Un periodo di sofferenze per Mauro, per tutti quelli che volevano rendersi utili e per Nora, rinchiusa tra quelle mura. Mauro per almeno due settimane non riuscì a varcare la soglia della psichiatria. Una porta chiusa a chiave impediva a chiunque di uscire da lì e obbligava i visitatori a suonare un campanello per annunciarsi prima di entrare. Ciò affliggeva Mauro, si sentiva in colpa; aveva la sensazione di aver rinchiuso la moglie e il bambino che doveva nascere in un carcere. L'abnegazione e l'impegno delle donne della sua famiglia gli concessero il tempo necessario per riprendersi e superare il periodo di grande disagio che stava attraversando. Quando la sorella di Nora se ne tornò in Marocco, Mauro, un po’ rinfrancato, comprese che doveva farsi forza per assistere la consorte. Trascorso il tempo di gestazione indispensabile allo sviluppo del feto, oltre sette mesi, i medici decisero di trasferire Nora al reparto di maternità per farla partorire e porre fine a quell’odissea. Nel frattempo arrivò sua madre dal Marocco. Si prese cura della figlia alla quale, dopo il parto, vennero somministrate dosi massicce di medicinali per sedarla e rimetterla in sesto in tempi brevi. A portare un po’ di gioia in tutto quel trambusto c’era il nuovo arrivato: un neonato che necessitava dell'incubatrice per sopravvivere e per rimettersi dalle fatiche alle quali, suo malgrado, era stato sottoposto. Sono passati dodici anni da allora e quel neonato è divenuto un bel bambino, alto, un po' scuro di carnagione e con un labirinto inestricabile di riccioli neri posti ad incorniciare un volto somigliante a quello della mamma. Elia, così si chiama, è amato e coccolato da tutti, in modo particolare da chi conosce le vicende che hanno preceduto il suo ingresso nel mondo. E’ un bambino un po’ insicuro ma con un buon carattere. E' educato e affettuoso. Lo zio Aldo e la zia l'hanno aiutato a crescere e lui li ricambia con un affetto incondizionato. Fu difficile vincere la diffidenza della mamma quando pensò che qualcuno volesse rubarle il figlio, ma ora quel problema sembra risolto. La nascita di Elia non ha guarito Nora dalla sua malattia: in tutti questi anni, in due occasioni, ha dovuto ricorrere ad altri ricoveri ospedalieri. Il suo affetto per il figlio, corrisposto, non si presta però ad alcuna cattiva considerazione e si spera sia di giovamento ad entrambi. Non si è mai saputo che l’amore possa danneggiare la salute di qualcuno. La presenza costante di Mauro, che conduce la sua vita in simbiosi con quella di Elia, garantisce il mantenimento di un equilibrio familiare accettabile. Questa storia ha lasciato a tutti i protagonisti alcuni dubbi e qualche certezza. L'atteggiamento inspiegabile di Nora dopo il parto, per esempio: era irritata e dimostrava poco interesse per la presenza del figlio; si rendeva conto del lieto evento di cui era parte integrante? Un bel ricordo è l'immagine di Mauro appoggiato con i gomiti alla culla dell'incubatrice che permetteva  di vedere il neonato senza interrompere le cure a cui era sottoposto. Guardava teneramente il piccolo ed aveva uno strano sorriso sulle labbra; pensava che, nonostante tutto, ne era valsa la pena? Aldo dal canto suo comprese una volta di più che nulla può fermare le leggi universali della sopravvivenza. Quelle leggi naturali che obbligano ad esistere, ad amare e a riprodursi. Vuole bene ad Elia. E' orgoglioso di avergli insegnato ad usare la bicicletta, di averlo aiutato nei compiti scolastici e di averlo condotto al cinema e al mare. E' riuscito persino ad interessare il nipote ai misteri della scienza in generale e dell’universo in particolare. Le cose belle hanno il potere di cancellare quelle più nefaste e Aldo ha deciso che mai, in nessun caso, Elia dovrà sapere cosa lui pensava tredici anni prima, ai tempi del concepimento del nipote. Oggi è felice quando ha occasione di incontrarlo e spera che a nessuno venga in mente di chiedergli se prova rimorsi per le sue convinzioni di allora. Potrebbe non sapere cosa rispondere, oppure ripetere, come fa spesso, che è del tutto inutile ostacolare l'amore e la vita perché loro alla fine, e per nostra fortuna, vincono sempre.

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