sabato 2 aprile 2016

Pierpaolo Lavatelli – Sono un fiocco di neve

Sono un fiocco di neve: un cristallo di ghiaccio che può volare.
Vengo da lassù, mi sono gettato giù tra altre migliaia, posso ruotare e svolazzare: andare a testa in giù e farmi trasportare dal vento! In mezzo alle nuvole un poco mi solidifico, mi appesantisco di piccole gocce d'acqua e così scendo rapidissimo: vedo tutti i fiocchi davanti e dietro di me.
Questa volta sto scendendo verso una città: ne intravedo la sagoma tra il grigio e il bianco
lasciato dagli altri fiocchi che son caduti prima di me.
Ci sono i tetti già ricoperti, i prati nei parchi a chiazze bianche e verdi, il fiume corre tra due strisce bianche che inseguono il suo corso a perdita di vista. Le auto con la neve sui tetti, sui cofani, impastata sui tergicristalli, appiccicata sui vetri, mentre i fari illuminano i fiocchi che cadono sulla strada e restano schiacciati dal via vai delle ruote. La neve cancella pian piano le strade, disegna altre vie su quelle esistenti ricoprendo i ricordi. Le statue, si ornano di strani cappelli, mantelli e sciarpe di neve; i campanili e le torri con la neve tra i merli, gli uccelli che lasciano le loro impronte saltellando incuriositi. I gatti che stentano ad affondare le zampette dentro di quella specie di bambagia gelata: estraggono le zampine e, scuotendosi, staccano la neve dal pelo. Mentre scendo verso terra, nella tempesta di fiocchi che mi ruotano intorno, vedo le strisce nere delle ruote delle biciclette nel bianco sul manto stradale. La neve è adagiata sui parasole, sui tendoni dei bar, appoggiata sulla sommità dei lampioni lungo le strade, sopra le aiuole e le serre degli orti. La neve in equilibrio precario sui pennoni delle bandiere e sui fili degli stendipanni… Un mondo ricoperto, rivestito di bianco immacolato.

Dove cadrò, questa volta, proprio non so; tra il via vai della gente con gli ombrelli o sul tram che passa e scintilla lungo i fili nel traffico rallentato. Le luci delle auto da qui sopra, sembrano a un serpente luminoso che, rallentato dal freddo e dal gelo, si muove lentamente. I fiocchi turbinano come un’elica, avvitandosi intorno al mondo, rallentano il tempo e lasciano passare solo i pensieri migliori e lo stupore. Sono in balìa del vento che, mentre sto per cadere a terra, mi spinge di nuovo in alto in perpendicolare. Salgo lungo le pareti di un palazzo, passo attraverso le ringhiere dei balconi e vedo le luci dietro alle finestre, gli occhi stupiti dei bambini con il naso all’insù. I fiocchi di neve sono i sogni che ritornano dal cielo, le gocce di felicità che abbiamo perduto o che qualcuno ci ha negato; gli ideali che non abbiamo raggiunto: sono pioggia gelida per coloro che ci hanno impedito di realizzare i nostri desideri. La cosa più divertente, per noi fiocchi di neve, è di certo infilarsi nel collo: sciogliersi correndo giù per la schiena per poi evaporare quasi istantaneamente. Non ci piacciono le persone che non hanno fantasia, che non sorridono mai e hanno cattivi pensieri: così le scegliamo attentamente mentre stiamo cadendo giù; ci infiliamo nei vestiti e procuriamo delle “docce fredde” facendoli rabbrividire e inzuppando i loro vestiti.
Più lo spessore della neve aumenta e più si placano i rumori, tutto diventa ovattato ed io stesso non so staccare lo sguardo da questa visione. Oggi invadiamo il mondo, lo seppelliamo con una coltre morbida e impalpabile: siamo in tanti e pezzo per pezzo possiamo costruire ghiacciai eterni, immense costruzioni imponenti, dove pochi uomini possono arrivare. Cadiamo e ci rialziamo: ci eleviamo fino al cielo per piombare giù di nuovo a capofitto.

Un brivido mi percorre, attraversa i miei cristalli di ghiaccio: anche stavolta mi dissolverò e sarò di nuovo acqua e poi vapore nelle nuvole in un ciclo senza fine in cui, ogni volta, non nasco e non muoio mai. Sono qui su questa terra da sempre: faccio parte del sistema vitale di questo pianeta. Ora la tempesta di neve mi spinge veloce e volo sopra i tetti dei palazzi: le antenne, le parabole e giù, nella via in basso, i cartelli stradali, hanno i contorni cosparsi di neve ghiacciata; i nomi cancellati: lo spessore della coltre ne modifica la forma.
Nei giardini, lungo le vie, le sculture e i monumenti diventano figure indefinite che piano piano ritornano alla sagoma del blocco dal quale, lo scultore, ha inciso le forme. Ecco, sento distintamente il suono sordo di tanti fiocchi accanto a me che, improvvisamente, si schiantano contro gli ostacoli in un susseguirsi di colpi rapidissimi… Io volo ancora, sono tornato ancora in alto; sulla strada del litorale la visibilità è pessima: un grigio accecante di bianco si è impadronito del cielo. Il vento ulula tra le rocce a picco sul mare: ci muoviamo in orizzontale nel turbine della tempesta, palleggiati qua e là senza una direzione precisa. Sugli scogli s’infrangono i flutti, le rocce sono imbiancate e gli spruzzi del mare disegnano dita lunghissime nella neve: come zampe di un animale scomparso da milioni di anni che abbia tentato di uscire dal mare; per poi essere rimasto preda delle onde… Io e gli altri fiocchi di neve, stiamo volando verso il porto: siamo così ghiacciati che formiamo delle lame durissime modellate dal vento quando incontriamo un ostacolo. Passo tra i pennoni e le corde, sfiorando gli alberi delle barche ormeggiate; se il vento mi lascia un attimo, finalmente potrò cadere giù.
Una sagoma nera si staglia di fronte a me: è un enorme fantasma di metallo con centinaia di finestre e dei camini altissimi; le corde sono tese all’inverosimile e stridono con un suono così sinistro che mi fa raggelare… Sono a poca distanza e, ora, attraverso quel ponte tra i fischi del vento, la nave da crociera ondeggia regolare mentre io piombo giù in verticale: dopo la fiancata, tutto è più tranquillo.
Tocco il pelo dell’acqua salata del mare, mi riscaldo e sciolgo il mio cristallo di ghiaccio.
Ora mi sento come a casa, sono di nuovo parte di un insieme che abbraccia tutta la terra: divento parte di un pensiero pulsante di forme viventi di ogni tipo. In questo mare, non so quanto tempo fa, la vita ha preso forma e, ancora adesso, posso guizzare veloce come un tonno o stare in cima a un’alta sequoia, sfidare le vette altissime, stare nelle nevi eterne o perdermi negli abissi più profondi. Per me, che sono acqua, è come se ci fossi sempre stato: non ho memoria di cosa ero e continuo a trasformarmi da sempre. Qui, tra le onde del mare, mi sento come un pensiero collettivo che, lentamente, si lascia trasportare attraverso le correnti, i flutti e le maree fino alla riva: fin sulla terra. Ogni onda che s’infrange è un pensiero liberato: lambisce la riva e smuove i sassi; sferza le rocce e si abbatte sul molo, si ritrae e poi, come lanciato dalla corda di un arco, scocca rapidissimo e si libera in milioni di gocce… Nelle giornate calde, restando in superficie, i raggi del sole mi fanno sublimare: così io, e altri fiocchi di neve, voliamo in alto leggeri come un pensiero impalpabile. Formiamo le nubi e quelli di noi, che si spingono altissimi in cielo, diventano ancora cristalli di ghiaccio. Ci sono pensieri che non si possono prendere: ti sfuggono dalle mani come l’acqua, puoi bagnarti e imbeverti con loro. Puoi fare in modo che stiano con te almeno per un poco, ma poi devi lasciarli andare. I pensieri si adattano alle forme delle cose, scavano le rocce lasciando segno del loro passaggio, si uniformano e corrono tutti insieme in una direzione… per poi disperdersi e scomparire chissà dove. Anche quando siamo chiusi nella curva prigione di una diga, ammassati e confusi, costretti a spezzarci contro le pale di una turbina, restiamo sempre unici e sempre noi stessi: limpidi come acqua.
Se vuoi proprio saperlo: “Non si può piegare il mare”.

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