mercoledì 23 maggio 2012

Matteo Stella - La camminata di Elvis

Durante il mio tragitto, ogni mattina incontro quattro persone che non conosco personalmente ma che in fondo conosco perché li vedo ormai da diversi anni, e li sto vedendo invecchiare:

Il primo ha il pizzetto tipico dell’informatico, credo che si alzi molto presto perché durante il tragitto dalla stazione al lavoro mangia sempre. Mangia però cose inusuali per la mattina. Al croissant o al pancioc preferisce panini, pizze e focacce riccamente farcite. Ha l’aria di uno che fa il suo, moderatamente annoiato ma alla fine più o meno soddisfatto, soprattutto credo per quello che mangia.

Il secondo intravede la pensione, è piccolo e ricurvo su se stesso, appesantito non poco da una tracolla pesante e da un lavoro stressante; pochi capelli e nessun riporto; ma la sua caratteristica principale è l’affanno: nel suo tragitto dal treno al lavoro è sempre in affanno, alterna una leggera corsa ad una camminata veloce; ripensandoci bene non è un semplice affanno ma qualcosa di più: è una sofferenza, non grande ma neppure leggera; suda e soffre, un po’ per l’età , un po’ per la tracolla ma molto per la preoccupazione: gliela si legge proprio in volto la sua preoccupazione: che è qualcosa di più della semplice preoccupazione di arrivare tardi al lavoro; credo che sia la preoccupazione di non farcela, in generale: ma io procedo in senso opposto nel mio tragitto e non saprò mai se quest’uomo arriverà. Credo sia un tecnico o un amministrativo.

Il terzo non è bello da vedere, deve essere uno che controlla la qualità, senza offesa per la categoria: è davvero infastidente: tende al grasso ma quel grasso non di persona godereccia e nemmeno di una persona pigra: è un grasso da persona svogliata e appoggiata alla sua sedia: ha il capello semi lungo e unto, basette non esagerate ma soprattutto l’aria di uno che non sa, che non vuole sapere, che si accontenta, che non legge, che non è curioso, che non suona, che non scrive e che non vive.

Il quarto è il più giovane; è longilineo, un metro e ottanta, muscoloso non da palestra ma di nervi,
di flessioni senza pesi, di trazioni alla sbarra. Porta jeans neri e attillati, una maglietta con le maniche a canottiera, nera anche lei, e un piccolo zaino, vuoto.

Ha i capelli come Elvis ma le basette più lunghe: ma la cosa forse più interessante è che è sempre vestito così; proprio sempre: estate e inverno: come se non gli importasse altro, come se non gli servisse altro o non fosse necessario altro che quei vestiti: quest’inverno, quando la mia auto indicava meno 12, si è concesso un paio di guanti, neri, ma con le dita tronche.

Da sempre vorrei fermarlo per approfondire ma non mi è mai venuta in mente la frase giusta. Avevo pensato a qualcosa tipo: “scusa io sto scrivendo un racconto sulla gente che cammina, ti vedo tutte le mattine, e oltre a camminare vedo che sei sempre vestito uguale e anche molto leggero, anche adesso che fa molto freddo, e allora volevo chiederti…ma a quel punto mi sono sempre immaginato due possibili scenari: 
o una risposta secca (e credo legittima) del tipo “ma perchè non ti fai i cazzi tuoi?”
oppure, senza dir nulla, che mi avrebbe sgozzato con il coltello che tiene nello stivale.

Al di là dei due risultati molto diversi, soprattutto per me, non ho ancora trovato il coraggio di fermarlo.
L’altra cosa che colpisce sta nel suo sguardo, con la testa ben alta e un atteggiamento fiero, incurante non solo del freddo ma soprattutto della società che ha attorno:
si vede chiaramente anche senza conoscerlo che lui sta al di sopra: è all’interno del sistema, è puntuale, fa il suo dovere, non litiga, non crea problemi, non reagisce alle provocazioni ma fa il suo dovere, solo il suo dovere, e quando ha finito ha finito, e quando ha finito torna ad essere Elvis.
Credo sia un operaio.

Tutti e quattro camminano, fanno tragitti più o meno lunghi, tutti e quattro sono diversi, e molto diverso è il loro passo ma solo Elvis sa esattamente dove sta andando.

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