sabato 27 maggio 2017

Roberto Pallocca - Poco prima di noi

Domani mi sposo. Non dovrei essere sveglio a quest’ora, lo so. Il fatto è che non riesco a dormire.
Questa è l’ultima notte che dormo da solo. Certo, capiterà un viaggio di lavoro, o un litigio, o quella volta che Lucia si addormenterà sul divano davanti a un film. Capiterà che non avrò sonno e scriverò fino al mattino, o Lucia farà il turno di sera e rientrerà a notte fonda.
Ma non è lo stesso. È un’altra cosa. È l’eccezione.


Non lo so se voglio condividere con lei il mio sonno inquieto. La mia agitata malinconia. I sogni che talvolta escono fuori dai sogni, e cominciano a ballare sopra il letto, a fare confusione, a giocare a quel gioco tiepido che è tenersi addosso le sensazioni che hanno un nome, e dimenticare le altre. Io non so mai niente. Adesso, ad esempio, non so neppure se voglio alzarmi a bere qualcosa di caldo o stare qui ad aspettare che si calmino i battiti del mio cuore impazzito.
Non so mai niente, maledizione.
La questione è che io la notte mi sento come adesso. Non ho spazio per altre persone. La notte per me è questo, è l’indecisione profonda tra dormire o scrivere, accendere una luce, leggere, o aspettare l’alba al buio. Io la notte non ho dormito mai. Come si spiega questa cosa a qualcuno?
Da domani non sentirò più il desiderio di ieri, perché la vedrò appena sveglia, le passerò le ciabatte o il tubetto del dentifricio. Non assaporerò più la dolcezza dell’attesa, che domanda ogni benedetto giorno, prima di vederla, come terrà su i capelli, e se ha indossato il completino rosso che le ho regalato per Natale. Sarò io a dirle come pettinarsi davanti allo specchio, e cosa mettere sotto, un attimo dopo la doccia. La guarderò sempre meno, come i monumenti delle città in cui abitiamo.
Non ritratterò la sua avvenenza, non rinuncerò alla sua delicatezza. Smetterò soltanto di farci caso.
E non avrà senso domandarmi con che faccia accoglierà un nostro incontro, e dove terrà il sorriso, perché sarò in prima fila a ogni sua smorfia, a ogni lamentela, ad ogni rancore. Sarò lì, sempre. Prima che le cose accadano, e un attimo dopo che saranno accadute. Sarò prologo ed epilogo. Alba e tramonto. E non sarò più un incontro, ma soprattutto un luogo in cui tornare, un odore, un calore.
E non lo so, io non so mai niente, ma so che mi mancheranno tutti quegli enigmi che ho vissuto in questi anni insieme. Quelle domande in macchina, mentre colmavo la distanza che ci separava,che mi hanno consentito di vivere fino ad oggi in quel modo intenso e vivido fatto di incertezze, aspettative, delusioni e sorprese.
Un rapporto è soprattutto ciò che non si dice, che non si concede, che non si confessa. Io ho paura che saprò tutto di lei, anche ciò che non vorrò sapere, anche ciò che non vorrò conoscere. Voglio attenderla, voglio ignorarla, voglio sapere molto, non troppo. E invece non sarà più una scelta vedersi, telefonarsi, mangiare insieme. Non ci saranno più quei teneri rituali che ci portavano a fare l’amore dappertutto. Lentamente passerà anche la decisione di incontrarsi. Perché incontrarsi non sarà deciso, sarà ordinario.
Io non lo so, non so nulla, ma so che forse non m’interessaconoscere i suoi umori dopo una giornata pessima,o appena sveglia, eil modo in cui si siede sulla tazza del bagno, e come toglie i peli alle gambe e accorcia quelli del pube. Forse non m’interessa aspettare il momento in cui deciderà di non tagliarli più, e chiedermi il perché. Ecco, non sono sicuro di voler sapere tutto questo. Non so se m’interessano i suoi piedi, magari gelidi anche in piena notte, o le sue mani che si screpolano quando dimentica di metterci la crema. Non so se vorrò vederla prepararsi con cura per un’occasione nella quale non sarò io la novità, né l’occasione.
Non lo so se m’interessa tutto di lei, forse quasi. Forse solo l’esito, non il metodo.
Voglio dire, non lo so se la vorrò in pigiama, o già nuda, o nemmeno accanto. E se tollererò la tonalità del suo respirare durante il sonno.
Forse i difetti che già so, e quelli che Lucia conosce di me, sono abbastanza. Gli altri non credo di volerli conoscere, e non credo di volerglieli mostrare. Sono miei, e peggioreranno, e aumenteranno. Ecco, voglio tenermeli.
E non lo so, non lo so se mi disturberà conoscere anche la parte di lei che esiste quando smette di esistere l’altra, quella pubblica, quella esterna ed estranea, che siamo sempre quando non siamo soli. Non lo so se farò fatica a parlare di noi, a dire cosa mangiamo stasera, dove andiamo in vacanza, il film ci è piaciuto molto. Non so se troverò scuse per non dirle i miei dolori, o cercherò parentesi entro cui nascondermi nell’attesa che passino. I dolori non cambiano le persone. Le ricoprono. E uno si sente diverso. Cambiato, stravolto. Invece è sommerso. Sotto resta se stesso. E dovrà cercarsi, con cura. Ma è lì. Io non so se vorrò cercarmi con lei. Ho paura. Al solo pensiero non respiro.
Mi chiedo da ore dove sarei adesso se quattro anni fa non fossi andato in vacanza a Palinuro. E quella sera non avessi fatto lo scemo. Non avessi bevuto. Non avessi continuato la relazione con Lucia dopo averla portata a letto con audacia. Cosa diavolo starei facendo? A cosa starei pensando proprio ora?
Forse non l’avrei mai conosciuta, o magari soltanto altrove. Mi piace pensare che si va a finire nelle situazioni a prescindere dalle scelte, mi alleggerisce, mi salva. Però so bene che non è così, e che gli attimi pesano come l’eternità, perché hanno la forza di definirla. La casualità spesso si riduce a ciò che facciamo con essa.
Ecco, io non so niente, ma so di avere la folle paura che colmare certe distanze conduca alla solitudine. Ho paura di sentirmi solo quando lei ci sarà sempre, quando cercarsi sarà un concetto vuoto.
So che m’interessa vederla dormire, impararla dormire. Quello sì. Sentirla vicino a me, osservarla quando i lineamenti smettono di insistere sul viso e si rilassano, sono veri. Non saprei fare a meno di questo. Né dell’idea meravigliosa di quel che potremmo essere insieme. Unicamente per questo domani mi sposo.
Sono le quattro. E non è nemmeno domani. È tra poche ore. È oggi. La notte ha questa proprietà esatta di separare in ogni caso quel che ha intorno. È prima, è dopo. E forse non è mai.
Forse è sveglia anche lei. Lei, Lucia. Mia moglie. E pensa come me che non le interessa vedermi radere, o stendere i boxer, o catapultarmi ai fornelli dove ho dimenticato il caffè sul fuoco. Le viene il vomito a pensarmi bestemmiare davanti alla partita in tv, o a urlare a nostro figlio di smetterla di urlare.
Magari sta addirittura pensando di telefonarmi in piena notte e mandare all’aria tutto, senza rancore, ma non ne ha il coraggio. Come si trova il coraggio per certe cose? Io non ce l’ho.
Magari Lucia vorrebbe chiedermi: sei sicuro che lo vuoi davvero? O magari è andata a finire in questa scelta troppo logica senza desiderarla, come il caffè alla fine dei pasti. Gradirebbe solo restare in silenzio e dopo un po’ verrebbe a sussurrarmi di stringerla.
Non lo so. Ho paura. Di rischiare troppo. Di rischiare tutto.Soprattutto di perderla.
Tra qualche ora mi sposo. Quel che adesso è inevitabile, quattro anni fa era assurdo.
L’alba arriverà tra poco e si porterà via quest’ultima notte.
Stacco il telefono, spengo il cellulare.
Non ho sonno, inizio a prepararmi.

Lo so, è presto, ma è una grande occasione, e voglio essere perfetto.

Nessun commento:

Posta un commento