venerdì 9 giugno 2017

Laura Sergi - La trottola della vita

“Ti va se ci fermiamo all'autogrill?”, chiede Linda.

“Come vuoi, zia”, fa la piccola Rosetta, undici anni, mostrando la sua rassegnazione.

Linda si morde il labbro, e arresta l'auto nel primo parcheggio disponibile.

La bambina si muove con calma esasperante, come se potesse, così facendo, rimanere sospesa nel limbo di un viaggio che è parso alla zia l'unica cosa saggia da fare.




Un incidente si è portato via da qualche settimana i suoi genitori e il fratellino più piccolo, e lei, illesa, è rimasta in ospedale alcuni giorni per qualche escoriazione. Ma era evidente che i medici volessero accertarsi delle condizioni mentali di una piccina, prima molto vivace, ora apatica e indifferente.

“Cosa farò adesso io?”, chiedeva pallida alla zia che l'andava a trovare nella casa di cura. Linda non sapeva cosa rispondere. Impiegata in un ufficio dove gli straordinari, malpagati, erano all'ordine del giorno, conviveva con un uomo che aveva, oltre il lavoro, tanti impegni: gli hobby, lo sport in palestra, gli amici per le partite e gli amici per le serate in discoteca. Già faticava lei a stare dietro a tanta esuberanza, e tempo per occuparsi della figlia di sua sorella non ne intravedeva proprio. Anche quando la tegola dell'incidente era ancora fresca, Gianni neppure capiva come mai lei non fosse a casa negli orari consueti.

“Devi farle capire che non puoi, tu, farle da mamma!”, le ripeteva. “Di lei potrà occuparsi la nonna: potrà crescere bene la bambina come ha cresciuto bene le figlie...”.

E, non appena Rosetta era stata dimessa, e Linda se l'era portata in casa, neppure era stato troppo tenero con la piccola. Non la trattava male, d'accordo, ma neppure scambiava qualche parola con lei, al momento dei pasti.

Così, a Linda non era rimasta altra soluzione che accompagnarla in paese dalla nonna.

“Vuoi una brioche o una fetta di torta?”, domanda alla nipotina, mentre è in coda alla cassa.

“Quello che vuoi...”, fa la piccola, musetto a terra.

Linda stringe i denti. La mamma sarebbe riuscita dove lei stava fallendo miseramente: le nonne sanno fare miracoli, in certi casi.

“Vuoi anche un cappuccino?”, domanda ancora.

Rosetta non risponde. Guarda un bimbetto che un padre tenero tiene in braccio per farlo riposare. A volte gli accarezza il capo, per fargli sentire la sua presenza, e il bimbo, in risposta, si stringe di più al suo collo.

“Vieni, Rosetta”, dice Linda, e la allontana da quella coppia.

Ha ordinato sia brioche che torta, e due cappuccini. La bimba mangia svogliata solo mezzo cornetto.

“Rosetta, ascoltami, lo capisci che non posso tenerti con me, vero? Hai visto anche tu com'è la mia vita: mi arrangio. Ho un lavoro infernale, Gianni non sta mai fermo, devo occuparmi della casa. Se avessi un po' di tranquillità, cosa credi... ti terrei volentieri! Ti voglio molto bene, e tua mamma manca tanto anche a me! Eravamo molto legate, noi due, sin da bambine. Vedrai che la nonna potrà fare meglio di me... vedrai!”.

“Ma io non ho detto niente!”,esplode la piccola.

“Vieni, andiamo. Vorrei arrivare prima di sera...”.

Linda si muove veloce, ma alla porta dell'autogrill si accorge di dover attendere. Rosetta cammina piano piano, e con aria distratta rimira i prodotti esposti sugli scaffali.

“Vuoi che accendiamo la radio?”, esordisce la zia mentre mette in moto, cercando di attenuare il clima pesante. Intanto pensa: “Dio, aiutami!”.

“Rosetta, senti, volevo dirti... Con la nonna, cerca di avere pazienza: è vedova da un anno, lo sai, non si è ancora ripresa bene, e ora questo incidente... Vi farete buona compagnia, insieme. Lei ti aiuterà con i compiti e organizzerà per te tante belle festicciole in giardino, come faceva per noi un tempo...”.

“Tu, quando verrai a trovarmi?”, domanda flebile Rosetta.

“In estate senz'altro”, dribbla Linda. “Ora, d'inverno, sai, con il lavoro mi mette un po' male. Ma ci sentiremo tutte le sere, chiamami pure... Anzi, no, ti chiamo io appena entro in casa”, dice la zia con decisione, mentre fa mente locale di telefonarle quando Gianni non c'è, per evitare che si innervosisca, con lei che parla al cellulare, mentre lui ha in mente qualche progetto per la sera.

La piccola guarda dal finestrino, poi, d'improvviso scoppia in lacrime.

Linda ferma l'auto in una corsia d'emergenza.

Stringe a sé la bambina, l'accarezza. “Dai, Rosetta, dai... Dobbiamo reagire, non possiamo andare avanti così! Fammi un piccolo sorriso, che tra poco siamo arrivati. Non vorrai mica farti vedere così dalla nonna, vero?”.

La piccola fa segno di no con la testa, ma continua a piangere. “Perché devo lasciare i miei compagni di scuola? Perché non posso rimanere con te finché studio, e andare dalla nonna d'estate? Sarei brava, ti aiuterei anche nelle faccende di casa! Lo facevo già con la mamma, e lei diceva che ero una piccola donnina...”.

“Tesoro! Tesoro mio! I tuoi genitori lo dicevano sempre che eri brava! Senti, lo so che questa cosa per te è difficile, ma dovrai crescere seguita e il più serena possibile. Io e la tua nonna abbiamo visto solo questa, di strada, per il momento; poi, più avanti, magari potremo riparlarne... Ma sarai tu, fra qualche anno, che non vorrai più venire a vivere con me. Al paese ti sarai fatta tanti amici, e quando ti telefonerò per sapere come stai, non ti troverò mai, che sarai sempre fuori!”.

La piccola scrolla la testa e continua a piangere.

“Rosetta, basta! Dobbiamo andare, e io non posso guidare se vedo tutte queste lacrime. Dammi una mano anche tu...”.

Il tono di voce stanco di Linda, più che le parole, convincono la bambina, che smette di singhiozzare.




Mezz'ora dopo dopo entrano in paese e Linda blocca l'auto vicino ad una casetta rossa, al centro di un giardino, con una staccionata dipinta di fresco.

Si stupisce che la madre non le stia venendo incontro. Apre il portabagagli, prende due valigie e s'incammina verso l'uscio, con Rosetta dietro. Decisamente, è tutto molto strano. La mamma doveva essere lì ad attenderle da parecchio...

Suonare il campanello le mette male, perché ha le mani occupate. D'altronde, si aspetta che la porta non sia chiusa a chiave. Con il ginocchio, infatti, la spalanca, posa tutto per terra, e s'incammina con la bambina verso la sala da pranzo, da dove giungono delle voci.

“Mamma!”, fa subito non appena la vede, quasi con tono di rimprovero.
Non è sola, con lei c'è un vecchio fattore. In piedi, l'una di fronte all'altro, pare che abbiano litigato, e che ancora lui debba mettere in chiaro alcune questioni, ma il loro ingresso lo ha spiazzato.

“Va bene, Eugenio, poi ne parleremo, ora vai!”, dice sbrigativa la donna, avvicinandosi alla nipotina. “Hai fatto buon viaggio?”, chiede con un sorriso tirato.

Eugenio esce a capo chino, dopo un cenno di cappello a Linda e un'occhiata alla piccola, che si va a sedere su una poltrona.

“Mamma, che succede?”, domanda Linda.

“Niente, nulla...”, e la faccia seria prova a mettere su un sorriso, ma gli occhi sono lucidi.

“Ma cosa ci faceva, Eugenio, qui? E di cosa stavate parlando?”.

“Nulla d'importante - fa evasiva la donna -. Vieni, Rosetta, che ti faccio vedere come ho sistemato la tua cameretta, così mi dici se ti piace!”.

Linda ha il cuore in gola. Sua mamma non l'ha mai vista piangere: non ha pianto quando è morto suo padre; si è sentita male, ma non ha pianto, neppure quando lei è corsa al paese, stravolta, per dirle che la famiglia della sorella non c'era più, e solo la piccola Rosetta si era salvata. La vita è così, era solita dire, ti dà e ti prende, e l'unica cosa che si può fare è sperare di rivederli tutti, un giorno, lassù in cielo.

“No, Rosetta, vai dopo con la nonna a vedere la tua camera. Ora vai a vedere le papere e i conigli”, suggerisce la zia.

La bambina esce.

“Mamma, stai male?”, chiede Linda.

“No, no, niente, davvero...”.

“Cosa ti diceva Eugenio? Stavate litigando? Perché? Era così gentile con noi, e oggi non mi ha quasi salutato!”.

“Ma se ti dico nulla è null...”, e anche la madre scoppia a piangere, si volta, si asciuga gli occhi, si siede in poltrona. “Scusa, non mi sono ancora ripresa dalla morte di tuo padre, che ora ci capita questo!”.

“Non dire bugie, che non lo sai fare”, la rimprovera Linda. Sposta una sedia dal tavolo da pranzo, si siede anche lei di fronte alla madre. “E ora dimmi”, dice con decisione e impazienza. Si sta facendo tardi, tra un po' le telefonerà Gianni per sapere come mai non è ancora tornata a casa.

La donna è sempre lì che si asciuga gli occhi.

Linda si china verso di lei, un sospiro e le stringe le mani. “Coraggio, mamma, dimmi tutto!”, fa con affetto, mandando al diavolo la fretta di poco prima.

“Sai, non pensare male... - dice la brava donna -. Papà è mancato da un anno. Eugenio ogni tanto passava di qui, una parola, un'altra, tutti e due soli...”, confessa la madre.

Linda sgrana gli occhi: “Mi stai dicendo...?”.

“Non pensare male! - si raccomanda ancora la donna. - Ho badato a tuo padre finché non è mancato, e tu sai quanto sia stato pesante vivere con un uomo così difficile. Qualche mese fa Eugenio mi ha chiesto di sposarlo, mi ha intenerito, mi ha confessato di essere sempre stato innamorato di me! Non puoi immaginare quanto mi abbia fatto piacere sentirgli dire questo, e ho cominciato a pensare... a pensare quanto sarei stata più felice con un uomo così gentile, pieno di premure, perché tuo padre era tutto l'opposto, tutto pronto voleva, tutti ai suoi ordini!”.

Linda fa segno di sì con la testa, non era un caso che le due sorelle si fossero stabilite nel capoluogo. Però, questa confessione della madre le fa un po' male. Lei aveva sempre preso le difese del marito, finché era in vita, invitando le figlie a pazientare, e ora scopriva che lo faceva per dovere, perché l'amore era finito da un pezzo.

“E quindi?”, domanda Linda.

“Gli avevo detto di sì, avremmo dovuto chiamarvi tutti a fine mese, per darvi la notizia. Poi il brutto incidente di tua sorella, Rosetta da sola... Gli ho detto che non posso tirarmi indietro, e che è stato solo un bel sogno!”.

Sta venendo buio. Nessuno parla.

“No, mamma - si decide infine Linda -. Il tuo sogno tienitelo stretto, e il prima possibile vi sposate. A Rosetta penso io!”, e si stupisce lei stessa di quanto afferma.

La bambina, rientrando, ha sentito le ultime parole, e guarda la zia con gli occhi spalancati.

“Rosetta, si ritorna a casa. Fatti aiutare dalla nonna a mettere in auto le valigie. Io devo fare una telefonata!”.

Accende il cellulare che ha tenuto spento in viaggio. Sul display compare la scritta: due messaggi.

“Ciao, sono io... No, l'ho acceso solo ora... Gianni... Gianni! - dice decisa per interromperlo -. Ora si fa un gioco nuovo: per una volta, parlo solo io. Porto la bambina a casa, che mia mamma si deve sposare (un attimo di pausa, silenzio dall'altra parte). Se ti va bene, è così - dice la ragazza ormai partita in quarta -. E mi farai il santo piacere di farle sentire l'affetto di una famiglia. Non ho chiesto io che la sua famiglia morisse. È capitato, e devo farmene carico io. Se tu non vuoi, fai quello che più desideri, ma fallo subito. Tra un'ora e mezza sono a casa: o ci sei e vivi con noi, o sei andato via, e ti faccio tanti auguri!”.

Ora con gli occhi sgranati ci sono la madre e la nipotina, che hanno ascoltato la fine della telefonata.

“Ciao, mamma. E salutami Eugenio!”, dice Linda, mentre prende per mano la nipotina.

Il viaggio inizia. La bambina comincia a sorridere.

“Non ti darò fastidio, vedrai”.

“Lo so, piccola, lo so!”.

“Gianni sarà arrabbiato...”.

“Rosetta, ho dovuto scegliere. Mia madre aveva diritto a un po' di felicità... e se io non avrò Gianni al mio fianco, in questa situazione che ci è piovuta addosso, significa che ho solo perso tempo e che ho amato l'uomo sbagliato. Se stasera sarà a casa... bene! Altrimenti... bene uguale! La trottola della vita sarà andata così. Se piangerò, non farci caso”.

“La trottola?”, chiede la bambina.

“Sì, la vita, a volte, è un po' come una trottola. Tu la vorresti fare andare di qua, e invece questa incontra un ostacolo e va di là. E tu non ci puoi fare niente... Puoi solo seguirla!”.

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