martedì 6 marzo 2018

Marco Maresca - Un amore secondo la legge

Intenta a ruotare la manopola dell’autoradio per sintonizzarsi sulla sua frequenza preferita, non fece caso all’ambulanza che viaggiava a gran velocità nella direzione opposta. Non si interrogò su cosa stesse succedendo, non provò pena per la persona che in quel momento aveva bisogno di assistenza medica. Il suo cuore non batté all’impazzata come succede a chi teme per la vita di una persona cara, o come accade alle mamme in pena per le uscite serali dei figli. Miriana nella sua vita non aveva, ufficialmente, alcuna persona per cui preoccuparsi.

Seppe della morte di Maurizio un paio di giorni dopo l’episodio dell’ambulanza, quando tornando a casa dal lavoro si fermò dal fruttivendolo e, all’uscita dal negozio, scorse il necrologio affisso al muro di fronte. Le cadde per terra la busta che aveva in mano: fece del suo meglio per chinarsi a raccoglierla con noncuranza, come se il piccolo incidente fosse occorso per semplice sbadataggine, e non per lo shock dovuto a quanto aveva appena letto. Per un attimo aveva sentito un brivido gelido lungo la schiena. Le era mancato il respiro. Ma nessuno l’avrebbe saputo. Non aveva alcun motivo per piangere la morte di una persona che teoricamente non conosceva. Una persona con la quale non aveva legami né vincoli, almeno secondo l’anagrafe.

Il funerale di Maurizio si sarebbe tenuto due giorni dopo, nella più piccola delle chiese della cittadina: non era un uomo conosciuto da molti. Miriana doveva cercare di rimanere lucida: la scelta di partecipare o meno alla funzione andava ponderata con precisione. Al funerale ci sarebbero stati la moglie e i figli di Maurizio e pochi altri parenti, più le solite anziane devote. Miriana non era una parente, e con il suo corpo, i suoi abiti e la sua capigliatura da donna di mezza età non poteva certo passare per una vecchia bigotta. Inoltre non entrava in una chiesa da quasi trent’anni. La sua presenza al funerale con tutta probabilità non sarebbe passata inosservata.

Dopo due notti quasi insonni, Miriana prese la sua decisione. Avrebbe presenziato alla cerimonia, prendendo un permesso dall’ufficio, il primo in quasi vent’anni di lavoro. Di prima mattina telefonò quindi al suo capo, che a seguito della richiesta di permesso non si allarmò: Miriana aveva quarant’anni, a quell’età poteva capitare qualche difficoltà con qualche parente e non era da escludersi qualche lutto improvviso.

L’abito giusto per l’occasione non c’era, il tempo e la serenità necessari per comprarlo nemmeno, poiché era accaduto tutto così rapidamente. Si vestì, quindi, allo stesso modo in cui si sarebbe vestita per un giorno qualunque di lavoro. Jeans neri comodi, poco vistosi. Una camicia bianca con sopra un maglioncino color mattone. Un foulard rosa. Scarpe nere senza tacco. Si truccò in modo leggero e si diede una controllata allo specchio: non andava dalla parrucchiera da un paio di settimane, ma tutto sommato l’acconciatura stava al suo posto, e i pochi capelli bianchi si nascondevano bene. Si spruzzò qualche goccia di profumo e prese dall’attaccapanni il giubbotto che indossava tutti i giorni: nero, imbottito, che le arrivava poco sotto la vita.

Era in leggero anticipo per il funerale, ma non poteva farsi trovare già in chiesa, anche se avrebbe voluto. Avrebbe attirato troppo l’attenzione. Aspettò, quindi, qualche minuto in macchina ed entrò dopo i famigliari e i parenti, insieme ad altre persone a lei sconosciute. Non sapeva bene neanche lei quale impressione volesse trasmettere: poteva essere una vicina di casa, una ex-collega, o semplicemente una persona che passava di lì ed era entrata in chiesa incuriosita dal nome sull’epigrafe.

Il prete non conosceva bene Maurizio, quindi preferì commentare le Scritture senza tentare improbabili collegamenti con la vita del defunto. Si limitò a riconoscere una virtù nella tranquilla e modesta condotta di vita del padre di famiglia ormai scomparso. La moglie e i figli vollero intervenire per dire due parole in più, e Miriana, che osservava la scena da un banco in fondo alla chiesa, non sapeva se il loro intervento fosse previsto o meno. Non aveva mai partecipato ad un funerale in vita sua, e le sembrava diverso rispetto all’idea che si era fatta in merito, derivante principalmente dai film che aveva visto fino a quel momento. Il dolore dei famigliari era molto composto. Le lacrime c’erano, sì, e qualche singhiozzo rompeva il silenzio del luogo di culto, ma Miriana si trovò a pensare che forse tutto ciò non era abbastanza. Che non ci fosse abbastanza sofferenza, abbastanza dolore. Per la prima volta in vita sua si trovò a riflettere su cosa avrebbe fatto se fosse stata lei la moglie. Ma la riflessione durò poco, e la lasciò senza risposte. La mente di Miriana si lasciò trasportare da sensazioni contrastanti e sempre più oscure. Un misto di compassione, rispetto, invidia, gelosia, finché ad un certo punto la razionalità e il necessario distacco che Miriana si era imposta vennero meno. Si accorse che la situazione le stava sfuggendo di mano.

Improvvisamente sentì forti brividi di freddo. Si sentì quasi paralizzata, e pensò che il suo cuore si stesse fermando. Pensava che per farlo ricominciare a battere avrebbe dovuto respirare più velocemente e con più vigore. Iniziò quindi ad inspirare ed espirare con forza, ma l’aria sembrava non volere entrare nei polmoni. Il piccolo santuario nel quale si trovava insieme ad altre persone a celebrare il dolore le sembrò improvvisamente una grande cattedrale. E lei stessa non si sentiva più presente nel proprio corpo, ma le sembrava di far parte del volume d’aria che occupava lo spazio tra le file di banchi, in basso, e la cupola che si vedeva in alto sul soffitto.

Le massicce colonne che sorreggevano la navata centrale sembravano improvvisamente gambe rachitiche non in grado di farsi carico del peso della struttura. Le volte della chiesa le sembravano altissime e Miriana sentiva che entro breve sarebbero crollate sopra le teste dei presenti. Avvertiva su di sé il peso di migliaia di tonnellate di marmo, di mattoni, di lastre di vetro. Immaginava che si schiantassero al suolo gli imponenti candelabri, le statue raffiguranti santi, e per ultime, dopo tutto il resto, a seguito del crollo del campanile, le enormi campane. Si sarebbero riversate al suolo con una caduta di decine di metri, ed avrebbero generato un suono così potente da coprire tutti gli altri rumori, con un’eco che sarebbe durata per parecchi istanti e che poi avrebbe lasciato spazio al silenzio. Un silenzio di morte che di lì a breve avrebbe lasciato spazio a nuovi rumori, a nuovi suoni, a nuova vita.

Il cuore, che poco prima sembrava quasi fermo, iniziò ad accelerare all’impazzata, e Miriana ritrovò coscienza del proprio corpo. Provava una sensazione di terrore, ma il sangue ricominciava a fluire, e il corpo tornava ad essere caldo. Forse fin troppo caldo, ma sempre meglio del gelo che aveva sentito fino a poco prima. Dopo qualche minuto le pulsazioni tornarono alla normalità, il calore diminuì e Miriana ritrovò la sua quiete. La cerimonia si avviava al termine, la bara veniva portata fuori per essere caricata sul carro funebre, i parenti in lacrime iniziavano ad uscire dalla chiesa, che nel frattempo era tornata piccola e solida nella sua struttura.

A quel punto un pensiero si insediò nella mente di Miriana: è vero che non aveva mai visto un funerale se non nei film, ma non aveva neanche mai visto un film in cui un’amante presenziasse ad un funerale. Non aveva neanche mai letto un libro che mettesse in luce le implicazioni di una relazione clandestina a lungo termine. Non aveva mai ascoltato una canzone che parlasse dell’inquietudine interiore di una donna che ama senza risultare legittimata a farlo. Si accorse che quello che non aveva era un amore secondo la legge e secondo i comuni canoni della convivenza civile.

Dopo gli abbracci e le strette di mano, riti ai quali Miriana non partecipò, Il corteo proseguì verso il cimitero. Miriana si recò, invece, in un bar situato a poca distanza dalla chiesa. Il bar in cui aveva lavorato come cameriera quando aveva diciotto anni. Il luogo in cui aveva incontrato Maurizio. La gestione e gli arredi erano cambiati nel tempo, ma appena buttato giù un bicchiere di prosecco le sensazioni tornarono ad essere quelle di ventidue anni prima: un misto di voglia di vivere ed eccitazione derivante dal non sapere cosa sarebbe successo di lì a poco. Sensazioni che Miriana desiderava mantenere per tutta la vita. In quel momento si sentì più viva che mai: mentre la moglie e i figli di Maurizio stavano piangendo la morte del defunto, lei stava facendo ciò che aveva sempre fatto, e che era bravissima a fare: godersi la vita, con un brindisi, in un eterno istante. Finché sarebbe durato.

Miriana pensò che, se quel giorno fosse andata a lavorare, a quell’ora sarebbe stata ancora in ufficio, perché tra una cosa e l’altra non riusciva mai ad uscire presto. Doveva usare al meglio le ore di permesso che aveva preso: girò per le vie del centro ed entrò dal suo fiorista preferito. Ne uscì con una sobria composizione di rose bianche e gerbere, che depositò nel bagagliaio della macchina. Poi entrò in una cartoleria che faceva anche da negozio di giocattoli. Basandosi su quel poco che Maurizio raccontava sui propri figli, comprò un pallone da rugby per Marcello (il più grande), una mucca di peluche per Magda (quella di mezzo) e un trenino per Filippo (il più piccolo), e fece impacchettare i tre regali.

Poi tornò alla macchina, guardò l’ora, pensò che la vedova e i bambini sarebbero stati occupati con il funerale ancora per un po’, attraversò il quartiere residenziale guidando fino alla villetta in cui viveva la famiglia colpita dal lutto, si coprì il naso e la bocca con il foulard rosa per non farsi vedere e depositò i tre pacchetti e la composizione floreale davanti al portone. Tornò in macchina, alzò il volume della radio e guidò molto lentamente, facendo attenzione ad ogni piccolo particolare intorno a lei, messo in risalto dalla luce del tramonto. Chissà come sarebbe stato vivere lì, in una di quelle villette all’interno del quartiere residenziale. Chissà come sarebbe stato formare una famiglia con Maurizio, crescere dei figli con lui.

Deviò dal percorso che la portava verso casa e passò dalla campagna. Dopo qualche minuto di strada sterrata fermò la macchina. Intorno non c’era nessuno. Alzò il volume della radio e si mise a cantare, ma più che di un canto si trattava di grida isteriche. Miriana in quel momento aveva un gran bisogno di svuotarsi. Di allontanare da sé vent’anni di vita. Urlò per una decina di minuti, finché non ebbe più senso farlo. Poi ricominciò a respirare. Sentiva le tempie che le pulsavano, sentiva che il sangue che circolava la stava nuovamente riempiendo di vita, e che nuova aria le stava entrando nei polmoni. Si sentì finalmente tranquilla. Spense la radio e rimase seduta in macchina per un quarto d’ora abbondante, finché il cielo divenne buio.

Poi tornò a casa. Si tolse i vestiti, si fece una doccia, si asciugò e si mise il pigiama. Si preparò una cena gustosa a base di pesce e bevve una mezza bottiglia di vino bianco. Si ricordò che durante il funerale la moglie di Maurizio aveva detto che il marito era morto per un infarto improvviso. Accese il computer e cercò su internet le informazioni necessarie per fare una donazione al reparto di cardiologia dell’ospedale. Fece un bonifico di cinquemila Euro: tutto ciò che col suo lavoro di impiegata amministrativa era riuscita a mettere da parte negli anni.

Si coricò nel letto, guardò un po’ di televisione, dopodiché si accorse che il sonno stava sopraggiungendo. Spense il televisore e si addormentò serena.

La mattina dopo si recò a lavorare. Nessuno si era chiesto cosa le fosse successo il giorno prima. Nessuno gliel’aveva chiesto apertamente. Per certi versi sembrava la stessa Miriana di tutti gli altri giorni, eppure il suo nuovo sorriso annunciava la scoperta della morte ed un rinnovato desiderio di vita.

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