Oggi
mi sveglio presto, gli uccellini cinguettano senza sosta, ma il sole non è
ancora sorto all’orizzonte. Lui all’alba e io al tramonto di questo effimero
passaggio che è la vita terrena. Una folata di vento spalanca la finestra e
porta con sé profumo di ricordi, una nota dolce-amara pervade la stanza.
Respiro a fondo, vorrei catturarla, farla mia, portarla nel mio cuore stanco e
invece lei se ne va. Me ne sto qui a fissare il soffitto sperando che la
memoria mi conduca lontano, le mie gambe non possono più farlo. Sono vecchio,
con la pelle di cuoio e lo sguardo slavato. Aspetto paziente, ormai il tempo
non è più un problema, malandrino scorre avanti e indietro senza curarsi di
rallegrarmi o rattristarmi. Ed eccole arrivare, prepotenti, le emozioni. Quanto
vorrei tornar bambino, con il gelato che mi cola sul mento, sul petto, nella
sabbia. Le mani appiccicose e i capelli al vento, il profumo delle creme da
sole che aleggia nell’aria cristallina di una mattina di giugno. La mamma che
mi sgrida se le faccio ombra e i miei fratelli che preparano la pista delle
biglie. La certezza che la vita sarà per sempre così e che nulla ci turberà
mai. Mi sento forte, invincibile, immortale. Guardo le ragazzette che, con le
loro gambe smilze e i reggiseni decorativi, credono di possedere il sapere,
mentre chiacchierano fra loro con fare saputello, senza mai degnarci di
un’occhiata. L’unico costantemente al centro della loro attenzione è il
fratellino piccolo di qualcuno, il tenero della spiaggia. Guardo il mare che
placido va avanti e indietro da sempre, senza sosta ogni giorno da quando
esiste il mondo. Sarà mai stanco? Mi chiedo grattandomi il naso, sul quale si è
posata una zanzarina affamata. Corro verso la distesa d’acqua più affascinante
che esista e glielo chiedo sussurrandole piano, in una lingua sconosciuta che
mi sono inventato per non farla capire agli altri. Entro gentile fra le onde
sul bagnasciuga, faremo male all’acqua quando la calpestiamo? Chissà se le
piacciamo o se invece le diamo fastidio? Chissà da dove arriva e dove finirà
una volta evaporata? Annaffierà dei fiori grazie alla pioggia, disseterà un
bambino come me da un’altra parte del globo o finirà imbottigliata su un tavolo
di un ristorante sconosciuto? Mentre mi allontano dalla riva camminando tranquillo
ne accarezzo la superficie increspata dal vento. Come faranno i pesci a nuotare
se il mare si muove così tanto? Le correnti li trasporteranno a destra e a
manca senza il loro volere poverini. Tuffo la testa sott’acqua e osservo. Mi
bruciano gli occhi, ma non me ne curo, resto sotto tutto il tempo che il
respiro mi permette. Mi immergo ancora, ancora e ancora. Qui pesci non ce ne
sono, esco di corsa a prendere il materassino che giace incustodito vicino alla
sdraio di Marta, la bambina più bella che abbia mai visto: soffici ricci rossi
le incorniciano un viso sul quale sembra abbiano macinato del pepe. Alza lo
sguardo dall’enigmistica di sua nonna senza realmente vedermi, disturbata forse
dal rumore che produco trascinando via il materassino giallo. Nessuno sembra
notarmi e io ne sono ben felice, non desidero condividere i miei pensieri con
nessuno, ho una missione in testa. Entro di nuovo nell’acqua e salgo sul
materassino, mi spingo con le braccia; le gambe non arrivano in fondo alla
plastica gialla gonfiata dal fiato di papà prima di tornare in città. Immergo
di nuovo la testa e mi spingo sempre più forte, sempre più al largo. Le braccia
sono indolenzite e i pesci non si fanno vedere, starò facendo troppo baccano,
me lo dice sempre la mamma e forse ha ragione anche stavolta. Sposto le braccia
a lato del corpo e nel farlo scivolo, l’acqua qui è gelida me ne rendo conto
subito. Stavolta sono sicuro di averle fatto male, sono entrato con prepotenza
e senza riguardo, proprio come sottolinea spesso papà quando arrivo a tavola:
affamato, con la lingua penzoloni e le gambe che scalpitano. Me ne resto fermo
lì, senza più forza per rimontare sulla zattera gonfia, sulla salvezza che a
volte ci sta accanto e nemmeno ce ne accorgiamo. Mi lascio attrarre dalle spire
dell’acqua, forse ora che sono tanto fermo qualche pesce verrà a salutarmi.
Scendo, scendo sempre più a fondo. Com’è profondo il mare, mi dico guardandolo
per la prima volta negli occhi. Lo sento intorno a me e finalmente lo vedo: un
branco di pesci nuota placido. Risalgo in superficie sputacchiando, le onde la
increspano, ma sotto regna la tranquillità, la pace. Vorrei tornare sotto, ma è
meglio che esca sennò poi mamma chi la sente? Appoggio il materasso vicino a
Marta e mi siedo accanto a lei sulla sdraio. Aver rischiato una sgridata mi
rende audace, le tiro i capelli e le schiocco un bacio sulla guancia. Da allora
di baci ce ne siamo dati tanti negli anni a venire. Ne abbiamo vissute di
avventure! Me la sono sposata quella fanciulla con la fissa per le parole
crociate, per le crêpes alla marmellata e per l’ordine. Insieme una vita
intera, il tempo giusto per coltivare la telepatia, l’amore oltre le apparenze,
la felicità nella malattia. Sulle montagne russe della vita ho pensato spesso
alla profondità del mare, al suo placido cuore sereno, alla sua capacità di non
scomporsi anche quando la superficie è strapazzata dal vento e dalle correnti,
quando perfino la luna sembra volerlo trascinare avanti e indietro. Ci ho riflettuto quando tutto intorno a me
sembrava andare a rotoli, quando impazzivo cercando il bandolo della matassa,
quando le emozioni frustavano la mia superficie come il vento fa con il mare,
rischiando di mandarmi alla deriva. Ho richiamato spesso alla mente i pesci che
nuotavano tranquilli in quel giorno di giugno, ignari di ciò che si consumava
in superficie. Quella breve esperienza ha avuto il potere di segnare la mia
vita: mi sono prodigato per diventare come il mare, per sviluppare la
necessaria profondità per affrontare le avversità della vita senza
scompormi. Ce l’ho fatta? Forse sì, ma
quel che mi rende fiero è aver tentato di trasmetterlo alle persone che hanno
vissuto intorno a me ricordando loro che: “Anche quando le onde ti sbatacchiano
c’è sempre un posto dove potrai rifugiarti: dentro di te, nel tuo
imperturbabile animo, che può essere profondo, profondo come il mare.
bellissimo!
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