Per quante ore avevo dormito?
Girandomi verso il comodino,
avevo afferrato il cellulare e visto sul display una serie di asterischi. Avevo provato a
spegnerlo e riaccenderlo, a scuoterlo, ma lo schermo era annerito del tutto.
Non intendevo lasciarmi innervosire da quel guasto imprevisto, e avevo deciso
che me se ne sarei occupata nel pomeriggio.
Dagli scuri accostati filtrava
un raggio di luce costellato da un pulviscolo dorato in lento movimento. Con un
gesto rapido avevo spalancato la finestra e spinto le ante: il mare, intravisto
fuggevolmente quando avevo parcheggiato l’automobile e scaricato i bagagli, si
allargava a perdita d’occhio nella sua perfezione turchese.
Immediatamente l’impulso
irrefrenabile di immergermi, galleggiare e diventare una sola cosa con l’acqua,
si era impadronito di me.
La valigia aperta stava sul
pavimento, accanto al letto. Frugando tra gli abiti, avevo individuato il
costume da bagno e un prendisole di lino bianco. Avevo quindi buttato nel
borsone un asciugamano, la crema solare, e mi ero affrettata ad uscire
incamminandomi verso la spiaggia.
Avevo notato con un certo
stupore che in giro non c’era nessuno e non si udiva alcun rumore. Il silenzio
era però a tratti interrotto da un suono tintinnante e, seguendo la crescente
intensità di quelle note per rintracciarne la provenienza, mi ero trovata di
fronte al bungalow della reception. Mentre me ne stavo in attesa davanti al
bancone dell’ufficio deserto, il tintinnio era ripreso. Scrutando l’interno,
avevo scorto sul fondo della stanza, accanto alla finestra, una sorta di
trespolo con appeso un sonaglio a vento, formato da sottili bastoncini
metallici. Il suono era ammaliante, quasi ipnotico, e avevo avvertito un forte
stordimento che sembrava annullare ogni mia percezione. Riscuotendomi da quello strano
torpore, avevo osservato un particolare che suscitava in me perplessità: sulla
parete di fronte al bancone era collocato il pannello che conteneva in ordine
numerico le chiavi degli alloggi, ma risultava vuoto solo lo spazio occupato da
quella del mio monolocale. Eppure ero certa di avere incrociato all’arrivo
numerose persone che scaricavano i bagagli. Si dovevano forse riconsegnare le
chiavi ad ogni uscita?
Lasciando l’ufficio, il mio
sguardo aveva ancora vagato a trecentosessanta gradi in cerca di un essere umano. Congetture
assurde stavano prendendo forma nella mia mente, ma avevo deciso di riprendere
il percorso verso la spiaggia, cercando di ignorare la sottile inquietudine che
si era insinuata in me.
Dopo aver sceso una gradinata formata
da pietroni irregolari, avevo seguito un sentiero tra i pini marittimi, che
svettavano imponenti e rassicuranti. Respirando a fondo il profumo di resina
mischiato a quello della salsedine, mi ero lasciata pervadere dall’entusiasmo
quasi infantile dell’imminente incontro con il mare.
Alla fine del percorso, il mio
sguardo aveva abbracciato l’intera estensione della distesa d’acqua: le
sfumature di colore, dal verde all’azzurro, si proponevano in una nuova
variante dove la linea dell’orizzonte tracciava il confine d’inizio del cielo,
perfettamente terso. Avevo accelerato il passo, avvertendo la sabbia morbida
sotto i piedi, e mi ero seduta in estatica contemplazione. Poco alla volta
il respiro si era sincronizzato con il
ritmo della risacca e la mia mente si era placata.
Trascorso qualche minuto, un
rumore mi aveva fatto trasalire. Avevo voltato la testa, emergendo a fatica da
quella dimensione meditativa, e nel mio campo visivo si era materializzato un
uomo. Mentre avanzava, avevo notato stretta nella sua mano destra una valigia
di cartone: ad ogni movimento urtava la sua gamba, producendo il rumore che
aveva attratto la mia attenzione. Giunto ad un passo da me, si era bloccato
scrutando a lungo il mare, poi aveva posato la valigia e si era seduto a gambe
incrociate.
Era la prima persona che
irrompeva in quella mattina di solitudine misteriosa e compatta, occasione
concreta per avviare una conversazione, ma non riuscivo a fare altro che
osservare ogni dettaglio del suo aspetto. Indossava un paio di jeans tagliati
sopra al ginocchio e una maglietta bianca con la scritta Lifeguard. Poteva avere all’incirca quarant’anni, era molto alto e
abbronzato. I capelli neri, mossi dalla brezza leggera, gli sfioravano le
spalle, e con un gesto rapido li aveva legati raccogliendoli sulla sommità del
capo. Quando si era girato verso di me, avevo incontrato i suoi occhi dal
taglio orientale, supponendo per questo che fosse straniero.
<Riesci a sentire le parole
del mare?> mi aveva chiesto all’improvviso.
La domanda inattesa, così
particolare, mi aveva colta alla sprovvista, tanto che mi ero sentita in
imbarazzo, e lo avevo fissato continuando a tacere.
< Eppure so che per te
rappresenta qualcosa di speciale. Sei qui per questo motivo in fondo, per
consacrare davanti ad esso un nuovo inizio.>
Dopo quelle parole, mi ero
sentita disorientata. Annaspavo, cercando nella mia mente appigli razionali che
potessero motivare la sua strana affermazione e un approccio tanto insolito.
< Perché mi dici queste
cose? Chi sei?> gli avevo domandato cercando di dissimulare il mio disagio.
Invece di rispondere, lo
sconosciuto aveva cominciato ad armeggiare con i ganci della valigia e, dopo
averla aperta, ne aveva estratto un voluminoso album da disegno, alcune matite
e dei sassi bianchi. Quindi aveva sollevato l’album mostrandomi la copertina.
Al centro c’era una scritta: La
Storia.
<Sfoglialo > mi aveva
detto porgendomelo.
Con l’album posato sulle gambe,
avevo cominciato a girare le pagine. Mi ero subito soffermata ad ammirare il
primo disegno, una gigantesca conchiglia a forma di spirale che occupava tutto il
foglio. Mentre ne percorrevo affascinata il perimetro con il dito, lui mi aveva
sorriso.
<Bella, vero? È un’ammonite,
un mollusco estinto milioni di anni fa.
Possiamo dire che tutto il
mondo allora era energia dirompente in costante evoluzione, una sorta di
armonia pura non ancora contaminata dalle azioni dell’uomo. Per questo viva,
piena di potere e magia.>
Ascoltando le sue parole, mi
ero chiesta se fosse un pazzo, oppure un artista dai pensieri molto eccentrici.
<Sei un illustratore?>
avevo chiesto.
<Più che altro osservo
l’esistenza e ne fisso alcuni particolari salienti. E’ il mio compito.>
C’era qualcosa in lui che mi
spiazzava, perciò avevo preferito tornare a sfogliare le pagine concentrandomi
sulle immagini, che sembravano seguire un ordine cronologico in cui avevo iniziato ad
orientarmi. I disegni, tutti rigorosamente in bianco e nero, ritraevano scene
che risultavano accomunate dal medesimo filo conduttore. C’erano schiavi
frustati durante la costruzione di una piramide, soldati romani riversi su un
campo di battaglia, cavalieri medievali che si protendevano con le spade
sguainate nell’atto di attaccare: potevo riconoscere il susseguirsi delle varie
epoche storiche esaminando le fogge degli abiti e delle armature. Ma in una
successiva immagine avevo scorto un ammasso di corpi nudi dentro ad una fossa,
perciò mi ero girata verso di lui con aria interrogativa.
<Ebrei trucidati ad
Auschwitz> aveva risposto in tono severo. <Guarda questa adesso.>
C’erano uomini e donne,
addossati ad un muro ricoperto di graffiti, che tentavano di arrampicarsi
aiutandosi l’un l’altro. Alcuni brandivano martelli o picconi, e lo stavano
demolendo.
<Muro di Berlino, forse?>
avevo azzardato.
<Sì, brava. L’uomo divide,
uccide. Mi chiedo perché la pace e la libertà debbano passare attraverso
l’esperienza della guerra e della violenza per essere apprezzate. Confini da
difendere, religioni per esercitare il potere sugli altri. Dio ha molti nomi,
ma una sola essenza, e non ha nulla a che
vedere con la soppressione della vita.>
<E questa?> gli avevo
chiesto indicando un altro disegno in cui c’erano corpi accatastati in uno
spazio angusto.
<Cadaveri nella stiva di un
barcone recuperato al largo di Lampedusa, uno dei tanti. Questa è La storia. Ma anche tu sei La storia, con le tue scelte, le tue
azioni. Che bilancio puoi fare della tua esistenza?>
Avevo abbassato il capo,
avvertendo un’ inquietudine crescente e il forte impulso di fuggire.
<Aspetta> mi aveva detto
scegliendo uno dei sassi bianchi che aveva tolto dalla valigia. <Prendilo, è per te> e me lo
aveva appoggiato sul palmo. Quindi si era allungato verso l’album e,
sfogliandolo velocemente, mi aveva indicato l’ultima immagine: c’era una donna
seduta sulla sabbia, con un braccio teso verso il mare e un sasso bianco posato
sul palmo. Con stupore avevo riconosciuto le mie sembianze e mi ero sentita
sconcertata, incapace di comprendere cosa stesse accadendo.
<Ecco, adesso chiudi gli
occhi. Puoi sentire l’anima della terra pulsare dentro la pietra? È una parte
dell’energia dell’universo. Anche tu le appartieni, ed ora puoi ricongiungerti
ad essa.>
<Cosa sta succedendo?>
avevo gridato con la voce incrinata lasciando cadere il sasso.
<Alzati> mi aveva
ordinato tendendomi la mano.
Stringendola con titubanza, mi
ero messa in piedi e avevo iniziato a camminare con lui sulla spiaggia per un
lungo tratto, piangendo sommessamente.
<Ora voltati, guarda a
terra> aveva detto.
Girandomi avevo scrutato la
sabbia, e mi ero accorta che i nostri piedi non avevano lasciato alcuna
impronta.
<E questo cosa significa?
Sto sognando, vero?> avevo chiesto allarmata, continuando ad osservare con
stupore l’assenza di tracce sulla battigia.
<Bentornata a casa> aveva
risposto. <Prima sognavi, dormivi. Ora sei sveglia.> Poi, trascinandomi verso il mare, si era
fermato un istante mettendosi dietro le mie spalle, e mi aveva coperto gli
occhi con le mani.
<Non hai visto ancora
niente> mi aveva sussurrato. <Ma ti stupirai, e sarà bellissimo. Tutto
comincia adesso.>
Asciugandomi le lacrime, mi ero
lasciata condurre fra le onde. Quando l’acqua stava per sommergermi, avevo
lasciato la sua mano, e mi ero abbandonata all’abbraccio del mare cominciando a
galleggiare. Mentre il sole, come un diamante abbacinante incastonato
nell’azzurro, pervadeva il mio sguardo, mi ero sentiva di nuovo afferrare la
mano. Facendo ruotare il mio corpo, avevo infilato la testa sott’acqua e ci
eravamo inabissati.
Guizzando velocissimi in quella
dimensione liquida, avevo sentito la nostra essenza fondersi. Tutto era moto
incessante, tra meraviglie acquatiche e respiri di corallo. E noi soltanto
anime blu, in una discesa senza limiti, verso il fondo che non avremmo mai
incontrato. Perché l’infinito abita chi lo cerca.
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