Caro diario,
dopo tre giorni di tentennamenti e paure, tre giorni in cui non ho fatto
altro che starmene chiusa nella mia cabina a rimuginare, finalmente ho preso il
coraggio a due mani e sono uscita. “Anna” mi sono detta guardandomi nello
specchio “dopo tutto il daffare che ti sei data per ottenere il biglietto per
questa nave, dopo che hai smosso mari e monti e hai dovuto anche vendere
l’anello di fidanzamento della tua povera mamma per racimolare la somma
necessaria, non puoi, semplicemente non puoi pensare di fare tutto il viaggio
standotene rintanata qui. E’ ora di agire, santo cielo!”
E così l’ho fatto. Mi sono vestita di tutto punto, mi sono truccata, mi
sono acconciata i capelli come meglio potevo e poi sono scesa nel grande salone
a cenare.
Oh, caro diario, vorrei che tu avessi visto la sontuosità di quella sala,
l’eleganza di quei tavoli riccamente imbanditi, perfino nel mio stato d’animo
alterato non ho potuto fare a meno di ammirarli. E poi la cortesia con la quale
sono stata accolta. Pensa che, al mio ingresso, un maitre impettito come un
generale mi ha accompagnata al tavolo e poi
ha scostato la sedia per farmi accomodare. Scostato la sedia, hai
capito? Scostato la sedia a me! Confesso che mi sono sentita una vera regina,
dato che mio marito a casa è già tanto se tiene la porta aperta per farmi
passare e quindi non sono abituata a simili gentilezze.
Quanto al menù poi … cosa dire? Un elenco di portate dai nomi esotici e
misteriosi, composte da ingredienti di cui non sospettavo nemmeno l’esistenza.
Te lo devo proprio confidare in quel momento ho provato un po’ di imbarazzo,
perché non sapevo davvero cosa scegliere. Dopo però, ho sbirciato i miei vicini
di tavolo (una donna anziana alla mia destra e un uomo più o meno della mia età
alla mia sinistra) e ho visto che stavano degustando con evidente soddisfazione
delle ostriche e allora le ho ordinate anch’io, anche se non ero sicura che
quelle cose mollicce e grigie mi sarebbero piaciute.
Ecco è stato qui che il mio stato d’animo ha cominciato a cambiare,
cambiare in peggio voglio dire, perché il cameriere, dopo aver preso la mia
ordinazione, mi ha rivolto un breve
inchino ed è stato quel gesto deferente, e per me del tutto inusuale, a
mostrarmi la follia di questo viaggio, a far sì che l’incantesimo cominciasse a
svanire.
“Cosa ci faccio qui?” ho preso a domandarmi, sentendomi un po’ una
truffatrice che agisce sotto mentite spoglie “Le donne come me non sono fatte
per i saloni sontuosi, le donne come me non pasteggiano a ostriche e champagne
e, soprattutto, non ricevono inchini. Le donne come me se ne stanno a casa ad
aspettare che il loro uomo faccia ritorno. Tranquille, paciose e grate al
destino per la vita monotona e priva di scosse che conducono. Però … se le
donne come me continuano a sentire sui suoi vestiti il profumo di un’altra? Se
scoprono tracce di rossetto sulle sue camice? Se trovano due biglietti per una
nave nascosti in una tasca interna della sua giacca? Allora cosa fanno?” “Non
questo” mi ha alitato una voce nell’orecchio “Non questa pazzia”.
Ho scrollato le spalle e ho cominciato a guardarmi in giro, anche se
avevo paura di quello che i miei occhi avrebbero potuto mostrarmi. Il mio
sguardo è scivolato tra i tavoli, ha sfiorato le scollature delle belle signore
ingioiellate, ha vagato tra gli uomini eleganti che le accompagnavano, pregando
e sperando di essermi sbagliata, ma in fondo al mio cuore io lo sapevo che
l’avrei visto, lo sapevo che lui era lì. E infatti eccolo, seduto all’altro
capo della sala, il mio bel marito che non mi guardava e non mi toccava più da
mesi, il mio bel marito che non cercava più nemmeno scuse per giustificare le
sue lunghe assenze e che adesso se ne stava lì, avviluppato come un serpente boa,
a una ragazza che avrà avuto la metà dei suoi anni.
In quel momento tutto quello che mi stava intorno è diventato
inconsistente e vano e una grande stanchezza si è impossessata di me. Inadatto
il mio cuore a pompare sangue e vita nelle vene, inadatte le mie dita a reggere
le posate che brandivo.
Per dissimulare il loro tremore mi sono nascosta le mani in grembo
mentre, con apatico disinteresse, ascoltavo i miei commensali parlare degli
argomenti più disparati, dal cibo al tempo, dalla comodità delle cabine ai
motivi che li avevano spinti a intraprendere questo viaggio. Oh cielo, come
diventa molesta e prolissa la gente quando comincia a parlare di sé stessa!
Nessuno di loro si è reso conto di quale castigo fosse per la mia anima
sconvolta ascoltare i resoconti delle loro vite spensierate e appaganti. Non se
ne è accorta la vecchia signora che mi sedeva accanto, che è andata avanti per
mezz’ora a parlare della sua allegra vedovanza
e del fatto che adesso si godeva l’eredità girando il mondo, né i due sposini
innamorati e felici in viaggio di nozze, per non parlare dei due coniugi che
avevano ricevuto il biglietto in regalo e che erano stati fino all’ultimo
indecisi se partire o meno, perché il loro bambino era raffreddato e non erano
sicuri se i nonni, ai quali lo avevano affidato, si sarebbero presi cura di lui
in modo adeguato.
Caro diario, non ti so dire quanto si sono dilungati quei due con la
faccenda del bambino. Neanche fossero stati gli unici esseri sulla terra che
avessero mai procreato. Il nostro bambino di su e il nostro bambino di giù, il
nostro bambino così bello, così intelligente, così perfetto.
Ti giuro che avrei dato tutto quello che possedevo perché la smettessero,
ma è più facile fermare un fiume in piena che due genitori orgogliosi, quando
parlano del proprio figlio e così sono andati avanti ancora e ancora, fino a
concludere (probabilmente per mancanza di fiato) con un trionfante “Bisogna
provare a essere mamma per capire” da parte di lei.
L’ho odiata, so che non avrei dovuto, ma l’ho odiata, un po’ per la sua
presunzione, un po’ per l’invidia che mi ispirava e molto perché le sue parole mi avevano
colpita diritta al cuore
Sì., lo so, quello non era il
momento per mettermi a rivangare dei fatti tanto tristi. Ero già abbastanza infelice
di mio senza bisogno di caricarmi di ulteriori angosce, ma le immagini sono
emerse dal posto buio dove le avevo seppellite e mi hanno circondata come tanti
fantasmi cattivi e non è servito a niente serrare le palpebre strette, strette,
l’ho visto lo stesso quel bambino minuscolo e pallido che è nato troppo presto e che troppo presto è volato
via e li ho sentiti ugualmente i medici che mi toglievano ogni speranza, che mi
dicevano che c’erano state complicazioni durante il parto e che non ci sarebbe
mai più stato nessun bambino dentro di me.
Io non sono una persona fortunata, caro diario, non so se te ne sei già
accorto.
Comunque, per tornare alla cronaca
della mia serata, ti dirò che, a quel punto ho capito che non sarei potuta
restare a quel tavolo nemmeno un minuto in più. Mi sentivo soffocare e avevo un
disperato bisogno di aria, così mi sono
alzata di scatto, ho biascicato a mezza voce delle scuse e mi sono precipitata
fuori dalla sala.
Non so se fossero stati quei brutti ricordi a scatenare la mia reazione,
ma mi sentivo come se fossi stata in preda a un raptus “Il ponte” continuavo a
dirmi ansimando “devo salire sul ponte ”. Forse pensavo davvero che, ritrovarmi
in uno spazio aperto, avrebbe dato pace alla mia anima angosciata, invece, una
volta che ci sono arrivata, mi sono sentita più sola e depressa di quanto già
non fossi.
“Qual è il mio posto nel mondo?” ho cominciato a pensare mentre fissavo
la volta stellata “Dov’è la mia collocazione esatta? E’ su questa nave? E’ a
casa ad aspettare un uomo che non vuole tornare? Oppure da nessuna parte? Ma
allora se non c’è un posto per me da nessuna parte … se non c’è …”
La profondità del mare sembrava chiamarmi “Basterebbe niente” mi sono
detta “un tuffo a testa in giù, qualche breve istante di terrore e poi la pace,
finalmente”.
Non ho dato seguito alla mia tentazione, naturalmente (questo lo puoi
evincere anche dal fatto che sono qui a scrivere) e, lo vuoi sapere? Ho fatto
bene a non farlo.
Tutti quelli che hanno in animo di compiere un gesto disperato dovrebbero
aspettare, dare modo al destino di mostrare loro il suo lato più benigno.
Come è successo a me poco dopo. Quando ormai ero tornata nella mia cabina
e l’uomo che mi sedeva accanto a tavola, l’uomo di cui, durante la cena, avevo
avuto modo di apprezzare l’educazione e la riservatezza, è venuto a bussare
alla mia porta.
“Credo che sia sua questa” mi ha detto porgendomi la borsetta da sera
che, nella concitazione del momento, avevo dimenticato sul tavolo. Mormorando
un ringraziamento ho allungato la mano per afferrarla e forse è stato il momento particolare che
stavo vivendo (devo pensare che sia stato quello perché in vita mia, te lo
giuro, non ho mai avuto pensieri simili) però, sfiorando le sue dita, ho cominciato
a immaginare a come sarebbe stato toccargli altre parti del corpo, e poi ho
pensato anche che lui aveva un bel sorriso, uno sguardo affascinante e dei modi
gentili.
Così gli ho sorriso a mia volta, l’ho invitato a entrare e …
Insomma ne avevo bisogno caro diario, avevo bisogno di contatto umano,
avevo bisogno di un po’ d’amore e, più di tutto, avevo bisogno di sentire che
qualcuno mi voleva, che c’era ancora chi apprezzava questo mio corpo rifiutato
e offeso.
Certo, lo so benissimo che questa esaltazione non durerà, che non
supererà la prova del giorno dopo, quando ci
sveglieremo, ci guarderemo in faccia e scopriremo che siamo solo due
estranei che hanno condiviso dei bei momenti, però questa esperienza mi è
servita. Mi ha fatto riguadagnare un po’ dell’autostima perduta, e questo non è
poco.
Adesso lui sta dormendo nel mio letto, io invece non ci riesco, troppi i
pensieri che mi attraversano la mente, troppi i programmi per il futuro che mi
sono messa a elaborare.
Ho deciso caro diario, non appena tornerò a casa lascerò mio marito. Non
penso che lui mi creerà problemi, vista la situazione attuale. Anzi, sono
abbastanza convinta che sarà ben felice di liberarsi di me.
Dopo andrò a vivere in campagna e mi godrò la pace e il silenzio. Ho una
piccola rendita, lasciatami dai miei genitori. Non moltissimo, ma più che
sufficiente per mantenermi se ci sto attenta, senza contare che potrei anche
tirare fuori il mio polveroso diploma da maestra e, perché no? Mettermi a
lavorare in qualche piccola scuola di paese.
Lo vedi caro diario come va la vita? Un momento prima sei tanto disperata
da pensare di farla finita e, un momento dopo, sei felice e grata al destino
per averti messa in grado di dipingere
quello che sembra un disegno perfetto.
Eppure …
Eppure c’è qualcosa che mi pungola il fondo dell’anima. Forse una macchia
nera proprio al centro del disegno. Probabilmente sarà l’abitudine alla
sfortuna che mi rende diffidente, che non mi consente di godere appieno di
questo momento di entusiasmo, ma il fatto è che, poco fa, ho avuto una specie
di visione.
Mentre cercavo di immaginare il futuro, nella mia mente non sono
apparsi prati o alberi, né cespugli
fioriti o linde casette coi tetti rossi. No, è qualcos’altro quello che ho
visto, qualcosa di vasto, gelido e liquido che si chiudeva sopra la mia testa.
Sì, lo so che sono tutte sciocchezze e che domani ne riderò, ma è stato
orribile osservare quel mare nero dalle profondità abissali inghiottirmi.
Tuttavia, dopo ci ho ragionato su e mi sono tranquillizzata. Voglio dire,
questa non è una nave qualsiasi, no? Questo è il Titanic, la nave più sicura
del mondo.
E allora cosa mai mi potrebbe capitare?
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