Quando
suonò il campanello Gianluca si stava facendo la doccia; si infilò
l’accappatoio e, lasciando una scia gocciolante per tutto il percorso, andò a
rispondere al citofono. Era il postino che doveva consegnare una raccomandata “sarà
una multa”, pensò, e la prese con familiarità, come se ogni giorno ricevesse
delle multe; la posò sul tavolino nel salotto e ritornò a finire la doccia.
Qualche
minuto più tardi Gianluca, avvolto nell’accappatoio, era seduto in una poltrona
di pelle nera con un bicchiere di Martini dry. La lettera era ancora lì dove
l’aveva posata. Solo allora si accorse che la busta era di colore rosa pallido.
La prese in mano e la soppesò: era leggera e l’indirizzo era scritto in viola a
penna stilografica; la scritta era un po’ sbiadita nei punti dove lui l’aveva
toccata con le mani umide.
La
ripose sul tavolino senza aprirla, fece tintinnare i ghiaccioli nel bicchiere e
bevve una lunga sorsata. Quella lettera lo intrigava. Chi poteva mai spedirgli
una busta rosa pallido? Provò mentalmente a fare l’inventario delle sue ultime
conquiste. Gianluca piaceva alle donne, per il suo fisico, ma non solo; aveva
un modo di ascoltare le cose e una disponibilità innata che lo rendeva
prezioso, e spesso le sue amiche gli confidavano i loro segreti e i loro
problemi.
La
lettera era ancora lì, ma lui non voleva aprirla subito; gli sarebbe piaciuto
indovinare chi l’aveva spedita.
Bevve
l’ultimo sorso di Martini e incominciò a vestirsi; erano le sette e quella sera
aveva un appuntamento con Paola, una ragazza che aveva conosciuto al circolo
della Croce Verde e a cui teneva molto. Lei aveva resistito parecchio tempo
prima di concedergli una cena. Gianluca aveva prenotato in un ristorante di
Recco, la Manuelina, e doveva passare a prenderla sotto casa sua, a Sturla alle
otto.
Indossò
una camicia bianca e un vestito di lino blu, senza cravatta, e si guardò
soddisfatto allo specchio; questo gli restituì l’immagine di un uomo tra i
trenta e i quarant’anni, con i capelli di colore biondo scuro e gli occhi
marroni, alto quasi un metro e ottanta.
Lasciò
la lettera sul tavolino. L’avrebbe aperta al suo ritorno. Scese in garage a
prendere la Saab e si diresse verso la casa di Paola; mancava ancora un quarto
alle otto e aveva tutto il tempo di guidare con calma.
Quando
Gianluca giunse in prossimità delle case colorate di fronte al mare, dove
abitava Paola, lei non era ancora scesa. Spense il motore, scese dall’auto e si
accese una sigaretta; aveva appena gettato il mozzicone che lei arrivò:
indossava un vestito di raso verde e aveva la borsa e le scarpe col tacco dello
stesso colore; i capelli castani, leggermente arricciati, le scendevano sulle
spalle. Ma la cosa che colpì Gianluca erano le labbra, belle, carnose, messe in
evidenza da un rossetto di colore carminio intenso.
Si
salutarono e si avviarono verso Recco.
Gianluca
stava percorrendo la strada del ritorno passando per la costa. Aveva messo un
disco di Coltrane e guidava lentamente, gustandosi il ricordo dell’ottima cena
a base di pesce, dei sorrisi di Paola e delle miriadi di luci che si
riflettevano sul mare e che ora gli correvano incontro.
Paola
si era confidata con lui e gli aveva raccontato della sua ultima storia andata
male: aveva convissuto per un anno con un uomo di dieci anni più vecchio di lei,
che beveva, e che spesso tornava a casa ubriaco; era un tipo nervoso e violento
e qualche volta erano venuti alle mani. Per questa ragione lei non voleva più
mettersi con gli uomini; almeno per qualche tempo. Gianluca l’aveva ascoltata
come faceva di solito, con la massima attenzione, socchiudendo gli occhi, come
se volesse fare filtrare le parole attraverso le ciglia… e Paola aveva parlato
e parlato… non le sembrava vero di avere un interlocutore così attento… e così
bello…
A
Sturla si salutarono con un semplice bacio. Poi Gianluca tornò a casa: pensava
alla lettera rosa.
Posteggiò
l’auto in garage e salì nel suo appartamento; ancora vestito com’era si versò
un bicchiere colmo di whisky con ghiaccio e, dopo aver messo la musica di Cesaria
Evora si sedette in poltrona. Riprese la busta in mano, la guardò di nuovo con
attenzione e la annusò: gli parve di sentire un leggero profumo, ma non ne era
sicuro. La aprì: estrasse un foglio rosa piegato in tre.
Lo
guardò e lo svolse: sulla carta liscia e leggermente odorosa c’erano stampate
delle labbra rosse. Una donna aveva appoggiato le sue labbra e sulla lettera ne
era rimasta l’impronta nitida e tumida. Non c’era nient’altro. Nemmeno una
parola, un nome, una firma, nulla.
Gianluca
si soffermò a guardare l’immagine e tutto quello che questa rappresentava: il
sorriso, l’amore, il desiderio, il piacere… ma di chi erano quelle labbra
morbide dalla linea perfetta? Di certo di una donna che conosceva…
Riprese
in mano la busta: la raccomandata proveniva da Genova; ovvio, la città nella
quale lui viveva… Guardò la rubrica della sua agendina: chi poteva mai essere?
Alba no, aveva labbra troppo sottili e poi non era il tipo da fare una cosa del
genere. Avrebbe potuto essere Margherita, ma con lei aveva litigato; ripicca? No,
ci avrebbe giurato. Ripassò per ben tre volte tutta la rubrica bevendo tre bicchieri
di whisky. Poi il lampo, l’intuizione. Sì, era credibile… molto probabile… e
perché no?
Qualche
giorno dopo Gianluca e Paola stavano bevendo l’aperitivo a Nervi, in un bar a
picco sulla scogliera. Paola non aveva rossetto ed era ancora più bella. Parlavano del più e del meno, ma lei aveva
gli occhi lucidi: quell’uomo le piaceva molto; raramente aveva conosciuto
qualcuno con quel fascino. Gianluca aveva ordinato un Pigato della Riviera di
ponente e lo sorseggiava lentamente, per estrarne tutto l’aroma.
Ad
un certo punto si mise a guardare la donna: lei rispose al suo sguardo con un
tenero un battito di ciglia e con le labbra turgide che tremavano leggermente;
allora le disse: «Ora lo so: sei stata tu».
La
donna non rispose; lo guardò ancora negli occhi e poi sorrise. L’istante
successivo Gianluca sentì il calore umido delle labbra di lei e capì di avere
indovinato.
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