Amore mio stiamo
arrivando; ecco il porto, la statua è lì tra la nebbia e il mare. E’ la statua
della libertà.
Siamo noi, siamo in tanti
ci nascondiamo di notte in questa terra lontana, straniera, nemica. Abbiamo
abbandonato la nostra amara povera terra, il ritmo lento della vita. Qui è
tutto velocità e motori, vedrai sarà bello, ho paura ma sarà bello. Stringimi
forte spariranno pessimismo e nostalgia; queste onde, questo mare profondo e
buio. Là erano tutte colline e prati e tutto si vedeva…
E’ tutto così grande qui,
per me così piccolo, finalmente nuoto nell’acqua. Mi muovo dentro questo
pancione grande. Arrivano alle mie orecchie storie di animali strani, di
cacciatori coraggiosi. Rido e piango, non comprendo perché. Sono piccolo, molto
piccolo; tutto si muove e sento qualcosa di caldo contro di me. Mi sembra di
galleggiare in un mare calmo, quasi, tranquillo. Nel mare della tranquillità
attaccato alla mia mamma.
Amore mio, ricordi? Siamo
arrivati qui sulle parole dei nostri amici, ci avevano detto che qui c’era il
lavoro, un futuro, terra per tutti. Bastava avere voglia di faticare. Bastava
superare il mare e trovare il coraggio per attraversarlo. Credevamo in Dio, o
chi per lui, avevamo la forza ma ora qui è tutto così diverso.
Lottiamo e ci difendiamo,
battiamo i pugni contro le mura delle galere in cui ci hanno rinchiusi. Siamo
arrivati con valige piene di disperazione, alcuni di noi con due valige; almeno
una è finita in fondo al mare. Fischiava un forte vento freddo, freddo come il
nostro animo; io l’ho visto scomparire nel limbo. L’acqua saliva lenta, poi
sempre più veloce. Butta fuori, presto butta fuori; con la bottiglia, con il
piatto, con le mani, presto, presto, la terra è lì ancora lontana ma si vede.
L’acqua li tiene su, sono troppi, presto, presto. La terra, la terra. No la
roccia e giù nel profondo del mare…
Mio padre sognava per me
un futuro da aviatore, io ho paura di volare. Pensavo che se mi fossi dovuto
lanciare dall’aereo non sempre sarei atterrato in un soffice prato ma sarei
potuto finire in fondo al mare e io non so nuotare. Mi vedo mentre osservo uno
specchio d’acqua, d’apprima calmo, persino immobile. Discreta, quasi invisibile
una folata l’accarezza e lo scuote quel tanto che basta per stravolgere il mio viso.
Piccole onde, piccoli cerchi distorcono la mia immagine rendendola irreale e
seguendo il movimento la dilatano. Pezzi di me si staccano dal mio corpo che si
allunga seguendo il ritmo irregolare dell’acqua sulla sabbia. Mi allontano da
me, vado verso il largo là dove il mare è più profondo e non posso più toccare.
Ecco perché non voglio volare: perché non so nuotare.
Amore mio, nonostante
tutto ho grandi progetti per questo nostro figlio che deve arrivare; farà cose
grandi lo sento è una sensazione troppo forte. Dicono che discendiamo dalle
scimmie, io credo dai pesci. E’ dall’acqua che nasciamo.
Ho letto un libro, sì, un
libro bellissimo parlava di una balena forte, invincibile. Gli uomini le davano
la caccia ma nessuno era in grado di catturarla, i suoi occhi, la sua coda, la
sua bocca erano enormi. Gli uomini e tutte le forze del mare si inchinavano al
suo cospetto, alla sua maestà. La maestra ci raccontava di una storia
fantastica in cui un’altra balena aveva inghiottito un bambino e il suo papà ma
si sono salvati perché quella era una balena buona. Loro sono usciti così,
senza paura.
Vieni amore mio, vedi, è
da lì che sono arrivati i miei genitori. Mio padre mi parlava di un’enorme
barca che sbuffava fumo nero, loro viaggiavano in terza classe sotto la linea
di galleggiamento e potevano vedere solo acqua, pesci e buio. Sognavano la
luce. Immaginavano il sole. Non gli era consentito salire su, sul ponte perché
dicevano che puzzavano ed erano sporchi, cenciosi e mettevano paura. Alla fine
però il comandante, un uomo pieno di cicatrici che incuteva più paura e
rispetto di loro, dopo tanto rullare in mezzo al nulla, gli ha concesso di
salire. Tutti sul ponte insieme ai marinai a guardare il grigio della città, i
grattacieli e quella incredibile statua con quel nome strano: libertà. I
passeggeri di quel cargo si domandavano sottovoce come facessero i marinai con
le loro giubbe bianche a rimanere per così tanto tempo lontani da casa in mezzo
all’oceano senza una famiglia e una
ragazza da baciare.
Vivo di attimi in cui mi
sento rapito, sollevato più leggero di una piuma, sento le branchie spuntarmi
dalla pelle, le squame, la pinna mi dirige, mi spinge senza paura nelle sue
profondità, protetto. Ci sono momenti come ora che siamo qui abbracciati che lo
osservo estasiato. Rapito. Penso a lui. Non posso fare a meno di rispettarlo e
al contempo odiarlo; è incredibile vederlo così calmo, così sofferente eppure
calmo. Quando decide di ribellarsi prendendo possesso di tutto ciò che gli
appartiene diventa inarrestabile, invincibile, invulnerabile. Eppure nel suo
profondo, così come nel sottile suo inizio quando solo l’aria lo divide dal
cielo è già sconfitto. Anch’egli nella sua impressionante enormità e forza
fatta di tempesta e vigore, è già vinto. Ogni suo essere vivente può essere
catturato, la sua possenza imbrigliata, incanalata, addomesticata.
Quell’acqua. Impercettibili
colpi di pennello; sfumature, striature d’acquerello, blu, nere, azzurre, verdi
che se ti soffermi a osservarle sono quelle dei nostri occhi. Lacrime di sofferenza.
Di gioia. Di dolore. Di commozione.
Sono nero, nero più della
notte. Con me c’è l’orchestra dei fulmini, il turbinìo di un’infinità di gocce
d’acqua, la solenne danza delle nuvole. Anche la luna è fuggita via
terrorizzata, sa che sta per accadere l’irreparabile: questa notte porterò la
morte. Ho mosso le mie onde, ora sono alte come palazzi, quella barca l’ho
spezzata come un fuscello. L’ho sollevata in cielo su, su e poi l’ho ingoiata
con tutto quello che aveva dentro. Devono continuare ad avere paura di me. Era
azzurro il mio vestito, candido e limpido come uno specchio dove i pesci
nuotavano a milioni, le spiagge immacolate, i coralli favolosi gioielli. Ora
tutto è immondo, i miei poveri animali uccisi, depredati, soffocati dall’inquinamento,
dalla pesca, uccidono le mie balene con i cannoni, le spiagge sono nere di
petrolio, i coralli distrutti. Devo, per loro, devo rimanere forte, continuare
a fare paura. Io sono il mare, l’oceano, non possono, non devono farcela.
Devono capire, stupidi, poveri stupidi che se io muoio, muoiono anche loro.
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