Non è così facile e
immediato, ma quasi tutti prima o poi si arriva a capire che il miglior modo
per comprendere a fondo l’importanza del tempo è perderne. Così decisi di
mettermi in marcia, quasi senza meta, solo godendo degli incontri e di tutto
ciò che mi aspettava sul cammino.
Ho perso tempo
ammirando la geometria perfetta delle nocciole incastonate nella tavoletta di
cioccolato, e godendo di come per una volta le fotografie sull’involucro
colorato non ci ingannino. Ho capito a fondo la differenza tra le banane di
Tenerife e quelle cresciute in tutto il resto del mondo. Ho scoperto che nel
deserto dell’Arizona piove molto poco, e che in quelle rare occasioni nessuno
esce di casa. Ho riflettuto sulla vita militare, su come tempri il carattere di
chi la vive, passando il resto della propria vita a calcolare distanze,
altitudini e medie orarie. Spesso non ci rendiamo conto del lavoro importante
di chi passa anni della propria vita a cercare di far nascere bimbi sani da madri
malate di HIV in Zambia. Cani schivi mi sono saltati addosso, facendomi la
festa mentre mangiavo una banana in riva al fiume. Altri cani mi hanno portato
via la buccia di quella stessa banana, perché affamati ed impauriti dallo
straniero che si era seduto sulle pietre delle loro strade. C’erano anche campi
coltivati a mappamondo, ogni cespuglio un confine di stato, ogni foglia una
frontiera, non senza imperfezioni e omissioni. Gente che veniva dal sud mi ha
insegnato come riconoscere le coltivazioni di asparagi e me ne ha illustrato
l’importanza economica. Ho trovato paesi vuoti, senza bambini per le strade,
paesi destinati ad una triste riurbanizzazione per villeggianti annoiati dalla
città, pronti a costruire l’ennesimo inutile campo da golf. Ma in quegli stessi
paesi c’erano anche giardinieri simpatici, con tanta voglia di parlare e pronti
ad offrirti un passaggio fino al centro. Bevendo le acque senza garanzie
sanitarie, ne abbiamo scoperto l’inutilità. Attraversando chilometri di niente,
a volte sono usciti mostri strani dalla testa, mostri fatti di volti che avevo
dimenticato, mostri in costume da bagno che leggono il Vangelo secondo
Giovanni. Se ti trovi solo con i tuoi piedi, con il vento, con una strada senza
inizio né fine, puoi ritrovarti a ringhiare come un animale ferito, ad
arrabbiarti con la terra e con ogni sasso che calpesti, per poi piangere di
rabbia per il male che hai fatto uscire e che non sapevi di avere dentro. Qualche
birra più tardi, ringrazi la vita per i compagni di gioco che ti regala, per
quello stesso silenzio che poco prima avevi maledetto, per questo tramonto che
non ha fretta, per la lucertola che ti guarda senza rancore. E poi capita di
incontrare qualcuno che vuole donarti amore, perché di più non si può fare, che
ti insegna a volerti bene nonostante i fallimenti, che ti legge dentro senza
conoscerti, che piange con te e si commuove per quanto belle sono le lezioni
della vita, che arrivano quando meno te lo aspetti. Ascoltare il proprio corpo.
Siamo così poco abituati a farlo, in un mondo che ci chiede di più, che non ci
vuole mai statici e che ci spinge ad andare sempre più in là. Se ci rendessimo
conto di quanto è bello a volte fermarci! Hai mai ascoltato il suono delle tue
caviglie? Hai mai toccato la linfa fuoriuscita dal tuo corpo? O non ti sei mai
nemmeno accorto che era uscita? Una volta un prato mi ha chiesto di essere
calpestato. L’ho sentito che mi chiamava per nome, ogni filo d’erba si è
inchinato ad onorare il mio arrivo, gli insetti si sono spostati per prepararmi
un letto tra le foglie e la sabbia della clessidra si è fermata. Le nuvole
danzavano per me, il vento è arrivato ad asciugare il mio sudore e il sole mi
ha regalato luce e calore per illuminarmi il viso e scaldarmi la pancia. Tutti
si sono fermati per non disturbare, non mi stupirei se venissi a sapere che
anche il mondo ha smesso di girare. In quell’istante pensi alle persone care e
a quelle che ancora non conosci e ti senti in pace con loro e con te stesso.
Vivere un momento così è in parte fortuna, ma anche tu puoi farlo, anche tu con
il doppiopetto blu che spingi per entrare in metropolitana e maledici il wi-fi
per il cattivo segnale. Ci sono stati dormitori a tre pareti che ci hanno fatto
dormire mentre comandava il freddo, e a volte ho invocato il dio delle tubature
per portarmi un po’ d’acqua calda. I gatti si sono presi gioco di me,
dispensando fusa e lasciandomi sola una volta che ho dato loro da mangiare.
Eppure, quando mi sono girata, loro mi stavano salutando con un miagiolio
lontano. Le panchine hanno sopportato il mio peso e il fruscio delle mie borse
piene di frutta. Le campane mi hanno salutato a festa, a lutto e anche un po’ a
caso. C’erano galline che mi anticipavano sulla via, senza scarpe ma con il
cappello in testa. Vacche felici mi hanno guardata con aria di superiorità,
come se loro avessero capito tutto della vita e io facessi loro un poco di pena
per il mio essere piccola e povera. Ho letto la semplicità sul muro di una casa
diroccata. Ho parlato con un manichino vestito a festa nel bel mezzo del nulla,
mi ha raccontato di quella volta che un gitano gli ha offerto una fetta di
anguria in cambio di una sonata di fisarmonica. I trattori mi sono passati
vicino indifferenti al mio dolore, al mio desiderio di parlare con qualcuno,
alla mia mancanza di lucidità. Ci sono stati asini che mi hanno insegnato cosa
significa veramente partire, impacchettare la propria merda e andare via. Una
bottiglia di vino mi ha permesso di conoscere la vita segreta dei tori
dell’Andalucia. Il pesce nel piatto mi ha sempre guardato con terrore. Nei
boschi di eucalipti ho spesso sentito il richiamo dei folletti. Cavalcavano
grossi ramarri verdi dal corpo sproporzionato e scacciavano i lupi dal sentiero
degli umani. Con un po’ di impegno, si possono ancora vedere le tracce sul
terreno delle carovane dei secoli passati, con le vesti medievali e i cavalli
stanchi. Attraversando mille fiumi, i pesci persici hanno ballato la danza
della pioggia, ho lavato gli stivali e ho cantato con le rane, che quando
vogliono sanno essere assordanti e beffarde. Ci sono state persone che hanno
voluto abbracciarmi e baciarmi senza conoscermi, ed io, un po’ stupita e non
certo abituata, mi sono lasciata attraversare dalle loro solitudini, dalle
parole non dette e da quello che ho potuto solo percepire in fondo alle loro
menti. Ci sono tante delusioni, tante vite da raccontare, storie straordinarie
per la loro semplicità, ci sono tante persone con così tante cose in comune che
a volte per condividerle basta uno sguardo. Le parole sono a volte
sopravvalutate, quando qualcuno inizia una frase e tu sapresti già come terminarla.
Ho pianto lacrime che giacevano da anni sepolte in piccoli laghi dietro i miei
occhi, si erano accumulate e finalmente sono uscite. Le ho asciugate con i
polsi e qualcun altro le ha asciugate per me, convincendo un gregge di pecore a
pascolarmi intorno. Ci sono state attese reciproche, baci sognati, calzini
bucati. C’è stata la pazzia di ballare il tango con uno sconosciuto che scrive
con le venti dita e che ride con tutto il corpo, di un’allegria che ti inonda
come un’improvvisa alta marea. Lanciando i dadi sono state mosse pedine e ci
siamo mossi noi, in un gioco dell’oca disegnato sulla pietra. Ci sono stati
messaggi nascosti sulle piastrelle davanti ad una fontana, cartelli non visti,
poesie non lette e legate alle zampe di un piccione viaggiatore. Se per un
attimo ho avuto paura, ho pensato a preparare il caffè. Se per un attimo ho
avuto freddo, ho guardato le foglie tremare. Ho avuto anche paura di amare. Ho
aspettato lui come si aspetta l’alba per conoscere i sogni del mattino, fino a
quando un lombrico con gli stivali da pioggia e il dolcevita mi ha suggerito di
andare a prendere ciò che mi spettava e che mi aspettava. Il vento soffia
sempre da nord. Un gatto rasato mi ha rubato la seggiola e un signore di pietra
che si teneva il cappello mi ha indicato la via. I vecchi mi hanno insegnato
parole di una lingua lontana, terre lontane dove tuttavia sono riuscita a
trovare una bottiglia di lambrusco. I cavalieri templari sono tornati dal
passato per mostrarmi la mappa segreta della città di ferro, e ho potuto
rivedere l’avanzata saracena e la partenza per le crociate.
Ho perso così il mio
tempo, sognando tutto questo dal letto della mia stanza, con un pigiama a righe
e il mal di stomaco.
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